La folle strategia degli uomini soli al comando

Da un post di Mirko Pagliai su Facebook (https://www.facebook.com/mirko.pagliai/posts/10207767989944765)

Fai un partito verticistico, dove comandi soltanto tu. Chi ti contraddice va a casa, chi venendo annullato politicamente, chi persino tramite linciaggio («Enrico stai sereno», «Fassina chi?»).
Con la scusa della rottamazione del vecchio, fai fuori la vecchia classe dirigente del PCI e fai rientrare la vecchia classe dirigente della DC.

Gli iscritti passano da 540.000 nel 2013 a meno di 100.000 nel 2016, ma chi se ne frega, tanto contano i fan su Fb e i follower su Twitter, mica i circoli sui territori.

Chiudi con la sinistra, perché secondo te Verdini e Alfano sono interlocutori più affidabili per fare le riforme. Fai muro a prescindere al M5S, affondando proposte che sono le stesse che poi dirai di voler realizzare con il referendum.

Fai un’alleanza mal vista con Berlusconi (il patto del Nazareno), ma il bello è che freghi pure lui e poi lo scarichi non appena non ti serve più. Chiaramente quello se la segna, ma chi se ne frega, eh?

Fai un’alleanza con M5S e tutta la destra per far cadere il sindaco di Roma, così, senza motivo, solo perché ormai ti sta poco simpatico. Poi il M5S frega te, ma vabbè, tanto è solo Roma.

Proponi un referendum con l’obiettivo di rimanere l’unico soggetto sulla scena politica: per annientare le minoranze del Pd, la sinistra, il M5S, Salvini, Berlusconi, Meloni. Tutti. Sogni un parlamento dove vota un’unica persona, che si chiama Matteo Renzi.

Chiaramente, a quel punto, quei “tutti” ti si metteranno contro: ma dirai che si sono coalizzati loro, non che tu hai dichiarato guerra a tutti.

Fai una campagna referendaria con toni apocalittici: se non mi fate contento, finisce il mondo. Spacchi il paese, raccontando che chi sta con te lo vuole salvare, gli altri lo vogliono distruggere. E perdi.

«Adesso tenetevi Grillo, Salvini e la Meloni!!!». Ma che, fate davvero?

Il messaggio di una mamma al proprio figlio gay.

Non guardo mai i programmi Mediaset e se non fosse stato per l’insistenza continua del mio amico Andrea , non avrei visto nemmeno questa puntata di “Uomini e donne”. Da quest’anno oltre ai contendenti di sesso opposto, la trasmissione ha anche un “tronista” (ovvero chi può scegliere tra i tanti una persona che gli piace per conoscerla meglio ecc.) gay.

Al di là del contenuto , la trasmissione ha un grande merito: quello di portare al grande pubblico, se vuoi anche quello a volte meno istruito, tematiche che normalmente non arrivano, come quello dell’amore omosessuale .

In una delle puntate di questa stagione c’è un momento che mi è piaciuto davvero tanto, ed è quando la mamma di uno dei partecipanti parla di suo figlio Francesco.

Uno dei commenti su Facebook rispecchiava la stessa cosa che ho pensato io : Per lo stronzo che sono ero pieno di pregiudizi. Ero pure arrivato a dire che prestarsi a fare quella trasmissione sarebbe stato controproducente e denigrante per l’intera comunità. Non ho mai guardato una puntata intera, perché non ce la posso fare, ma ho visto degli spezzoni sul sito di mediaset. Anche se non mi sono appassionato alle storie, sono stato molto colpito dalla riflessione che, quel pubblico che ho sempre criticato, oggi è educato a qualcosa che mi emoziona. Alle tre del pomeriggio, dei ragazzi in cui mi posso finalmente identificare parlano di sentimenti in modo pulito e non macchiettistico. Mia madre e tutte le persone di quella generazione a cui tanto si è tollerato perché non avevano i mezzi per capire, dopo essersi appassionate a christian e tara, ora si sono affezionate a claudio, mario e francesco. Mi sono dovuto rimangiare le parole, perché voi e quella trasmissione state facendo quello che anni di attivismo, pride e piazze non sono riuscite. Mi rode, ma vi ammiro.

E’ un momento , bellissimo, autentico, in cui una madre parla dell’amore per il proprio figlio gay e lancia un messaggio anche agli altri genitori. (dal minuto 43:00, dopo la pubblicità).

Lunedì 7 novembre – Aspettando la scintilla…

 

 

 

27 settembre, la giornata #MillionsMissing per chiedere più ricerca sulla ME/CFS

C’è una campagna di sensibilizzazione a favore della CFS/ME, in questi giorni, che si chiama #Millionsmissing. Il senso è quello di dire che ci sono milioni di persone “scomparse” (missing) dalla propria vita a causa della malattia, persone che “si perdono” (missing) molte cose della propria vita perché stanno troppo male.

Jamison Hill, scrittore e allenatore in palestra che si è ammalato improvvisamente di ME/CFS dopo una mononucleosi, ora non lavora e riesce con difficoltà a fare i lavori di casa più leggeri . E' uno dei protagonisti del documentario
Jamison Hill, scrittore e allenatore in palestra che si è ammalato improvvisamente di ME/CFS dopo una mononucleosi, ora non lavora e riesce con difficoltà a fare i lavori di casa più leggeri . E’ uno dei protagonisti del documentario “Forgotten Plague” sulla ME/CFS.

Ci sono varie iniziative legate a questa campagna, come potete vedere sul sito http://millionsmissing.org. Oggi ad esempio, in molte città (Washington, DC, Seatle, San Francisco, Dallas, Atlanta, Boston, Londra, Melbourne) vengono organizzate delle proteste. Alcuni parteciperanno solo “virtualmente” inviando al proprio posto (essendo troppo malati per esserci di persona) un proprio paio di scarpe. Verranno create così delle “installazioni artistiche” che potranno essere riutilizzate anche in futuro, per mostrare fisicamente quanta gente non può esserci perché semplicemente non è in grado.

La nuova analisi dei dati grezzi del trial PACE sull’efficacia della terapia cognitivo comportamentale nella ME/CFS

Quanto segue è la traduzione di quanto scritto a questo link:
http://www.meaction.net/2016/09/09/qmul-releases-pace-data/
(in un post sotto, l’originale) presa dal profilo Facebook dell’Associazione CFS Italiana (https://www.facebook.com/CFS-Associazione-Italiana-CFS-Italian-Association-268416998510/?fref=nf)

La Queen Mary University of London (QMUL) ha reso pubblici i dati PACE ai pazienti che lo hanno richiesto sulla base del Freedom of Information Act, come ordinato da un recente tribunale, nell’ultimissimo giorno possibile per presentare un appello contro l’ordine della corte.

La mossa segue la pubblicazione tre giorni prima di una lettera aperta da parte di un gruppo di scienziati inclusi il dottor Ron Davis, Vince Racaniello e Jonathan Edwards, che sollecitava il preside della QMUL, il professor Simon Gaskell, a non appellarsi alla decisione del tribunale.

I dati sono stati richiesti nel marzo del 2014 da Alem Matthees, per permettere il calcolo dei principali risultati del trial e i tassi di guarigione secondo i metodi specificati nell’originario protocollo del trial. Gli originali metodi di analisi sono stati abbandonati una volta che il trial era in corso e rimpiazzati da altri, inclusa un’analisi in cui i pazienti potevano diventare più invalidi e nonostante ciò essere classificati come fossero “guariti”.

Tom Kindlon, un paziente la cui critica delle analisi dei PACE è stata pubblicata in riviste mediche, ha detto: “Questo è un gran giorno per i pazienti. Lo abbiamo aspettato per anni. Finalmente, sarà possibile per parti indipendenti esaminare i dati e, in particolare, scoprire quali sarebbero stati i risultati senza tutti i cambiamenti ingiustificati al protocollo dello studio. Sarà anche molto interessante guardare a come i dati obiettivi si relazionano agli esiti soggettivi”.

Ha aggiunto, “Questo è un trial finanziato da fondi pubblici ed è costato 5 milioni di sterline di tasse dei contribuenti – i dati non sarebbero mai dovuti essere tenuti segreti”. È molto deludente che sia gli investigatori del trial PACE che la QMUL abbiano litigato il caso così duramente, costringendo Alem Matthees a dedicarci così tanto lavoro quando lui stesso non sta bene e respingendo altre richieste su informazioni di base”.

Il giorno prima che i dati fossero resi pubblici, gli autori del PACE hanno pubblicato online i risultati principali del trial usando i metodi specificati per il protocollo originario. I nuovi risultati mostrano che solo un terzo dei pazienti indicati erano migliorati secondo l’analisi definita secondo il protocollo, comparata ai numeri riportati su The Lancet nel 2011.

I risultati confermano i sospetti a lungo avuti dai pazienti e gli scienziati che hanno studiato in modo critico il trial che se gli investigatori del PACE fossero rimasti legati al loro stesso protocollo di analisi originario, il PACE sarebbe apparso un trial di successo molto minore.

Immagine

I nuovi risultati mostrano che solo il 21% dei pazienti sono stati classificati come “miglioranti” nel gruppo di terapia dell’esercizio graduato, comparati al 61% dichiarato nell’articolo di the Lancet usando un’analisi sviluppata dopo che il trail era in corso. Il 10% dei pazienti nel gruppo che non ha ricevuto alcuna terapia erano “miglioranti”, cosa che indica che, anche con le misurazioni soggettive usate, solo un paziente su dieci riportava un miglioramento dall’addizionale terapia dell’esercizio graduato. I risultati per il gruppo della CBT erano simili a quelli per il gruppo dell’esercizio graduato.

Questi risultati re-interpretati sono stati resi pubblici senza fanfara sul sito web della QMUL. Nonostante il drammatico crollo dei tassi di miglioramento, gli autori dello studio hanno detto che gli esiti erano “molto simili a quelli riportati nell’articolo principale dei risultati PACE” e hanno sostenuto le loro conclusioni del Lancet che la CBT e l’esercizio graduato, aggiunti alla cura medica standard, “migliorano moderatamente” i risultati per i pazienti di CFS.
Ma il dottor David Tuller, della University of California, Berkeley, giornalista e esperto di salute pubblica, che ha criticato il trial in dettaglio, ha detto. “Siamo chiari. Queste scoperte sono molto peggio di quelle presentate negli articoli “peer-reviewed” pubblicati. Se queste sono state le migliori scoperte per 8 milioni di dollari, allora veramente i PACE non sopravvivranno un legittimo esame minuzioso”.

Ma ora, con i crudi dati originali che vanno a Alem Matthees, è sicuro che seguirà una revisione più indipendente.
Nel corso degli scorsi mesi, a seguito del primo degli articoli critici del dottor Tuller, i pazienti e gli scienziati si sono uniti insieme in tutto il mondo per fare pressione sulla QMUL perché rendesse pubblici i dati. Una petizione guidata da #MEAction con oltre 12.000 firme è apparsa sul Wall Steet Journal, ed è stata presentata in tribunale come prova del livello dell’interesse pubblico che i dati venissero resi pubblici; e 24 organizzazioni di ME/CFS in 14 Paesi, in rappresentanza di decine di migliaia di pazienti, hanno scritto lettere aperte all’università. L.A. Cooper, capo del #MEAction Network UK ha detto: “I nostri ringraziamenti vanno a Alem Matthees, che ha lavorato incredibilmente duro per ottenere che venissero resi pubblici i dati PACE a quello che è stato quasi certamente un enorme costo fisico. Grazie, Alem!”.

Non è solo l’ISIS, è un mondo violento che genera violenza. Ovunque.

Ho trovato molto interessante l’articolo “La scomparsa dell’individuo ci minaccia” , insieme ad altri editoriali che recentemente sono apparsi sul Mattino di Padova ed altre testate nazionali. Quello su cui concordano in molti analisti ed opinionisti (certo, dovreste lasciar perdere le trasmissioni-spazzatura in tv delle reti Mediaset) é che il problema della violenza e del terrorismo non é più un problema che arriva da fuori ma che già si trova dentro l’Europa. E non solo. Proprio pochi giorni fa , dopo l’incidente ferroviario che è costato la vita a molte persone ho trovato particolarmente illuminante un commento che invitava a non cadere nel facile gioco delle (pur esistenti, ci mancherebbe) responsabilità individuali, perché se inizia a non funzionare più niente è perché il sistema in cui si lavora, o si vive, é profondamente sbagliato.
Volendo sintetizzare al massimo, il succo è che una società violenta crea violenza e che quando la competitività sfrenata genera maggiori diseguaglianze ed esclusione sociale (ovunque) diventa un fenomeno non più controllabile. Noi in Europa ora ci preoccupiamo (io nemmeno tanto, dato che la mia qualità della vita è sufficientemente compromessa a causa della mia CFS da farmi perdere già ogni giorno le piccole cose semplici, a costo zero, della vita, come le amicizie, gli affetti, la lettura di un buon libro, una sana risata in compagnia la sera) , ma gli USA vivono da sempre una mini-guerra civile interna di omicidi e serial killer, nonostante abbiano la pena di morte , proprio perché è la società ad essere organizzata in quel modo. Armi per tutti, zero welfare, se ti ammali sono cazzi tuoi…e se quello che si ammala si incazza, sono cazzi di tutti.

Un commento sull’incidente ferroviario in Puglia

Dico la mia, da appassionato ed in qualche modo competente , almeno per le tematiche di base, in tema di circolazione dei treni e del tragico incidente avvenuto ieri in Puglia.

I sistemi di circolazione come quelli del blocco telefonico sono più soggetti all’errore umano del più recente SCMT (Sistema di Controllo Marcia Treno), che deve essere attivato con ingenti investimenti sia sul circuito dei binari che su tutti i mezzi che circolano sulla linea . Tuttavia senza l’errore umano questi sistemi funzionano. Era ed è sempre opportuno investire in sistemi di sicurezza passiva, ovvero che funzionano senza l’intervento dell’uomo . Non è sempre stato così però.

Diverso fu il caso dell’incidente di Crevalcore o ancora peggio del deragliamento del Pendolino a Piacenza : https://it.wikipedia.org/…/Incidente_ferroviario_di… . In particolare si legge : “La Polizia ferroviaria evidenziò nelle indagini che dal 1999 al 2004 sulla stessa linea ferroviaria si erano già verificati altri cinque casi classificati come “SPAD” (incidenti derivanti dal superamento di segnali disposti a via impedita) per errore del personale di condotta, di cui ben quattro avvenuti tra i mesi di gennaio e febbraio a causa della fitta nebbia. Uno di questi episodi coinvolse proprio lo stesso treno IR 2255, che il 18 dicembre 2000 aveva superato il segnale rosso (di via impedita) a Poggio Rusco. Tali eventi non avevano comportato alcuna conseguenza fatale soltanto perché non avevano coinvolto alcun treno viaggiante in senso opposto sullo stesso binario.”

Qui c’è un problema diverso, più grande, e di cui non si parla MAI in questo paese, ovvero la possibilità per il lavoratore , a conoscenza di possibili pericoli per i destinatari del proprio servizio (passeggeri trasportati, futuri pensionati, malati in ospedale, ecc.) di ESSERE TUTELATI e non licenziati o subire mobbing sul posto di lavoro quando , a conoscenza di situazioni di pericolo, le denunciano pubblicamente. Questa tutela non c’è in Italia, nè formalmente, nè praticamente. Il caso degli autisti TPL a Roma, dopo l’intervista a PresaDiretta, ma anche quello dei ferrovieri (!) che denunciarono a Report la mancanza di sicurezza per il malfunzionamento di luci sulle locomotive e sulle carrozze di coda e nelle lunghissime gallerie della Bologna-Firenze , vennero licenziati (e riassunti dopo anni di cause legali GRAZIE alla Magistratura e CONTRO il datore di lavoro).

Lo sfogo di una giovane donna veneta malata di CFS

Lo riporto perché molto spesso non so trasmettere agli altri quanto difficile sia fare le cose banalissime, scontate e normali, che tutti fanno nella vita di ogni giorno, quando si ha la CFS , che comporta, alla radice di tutto , un malfunzionamento nel metabolismo energetico per cui mancano le forze fisiche e mentali anche per le più banali attività quotidiane .

Mi sento molto giù oggi, e chiedo perdono davvero se mi sfogo qui. Da dieci anni a questa parte problemi ogni giorno. Il fisico che non ce la fa. Anche se io sono una che combatte, e che non molla, e che cerca sempre di “mascherare” alla meglio. La malattia che ho, e che, non vedendosi per la maggior parte, ma che c’è, fa sì che oltre al danno, abbia anche la disapprovazione della gente che vede che non lavoro, e che non sa che un giorno sto bene e cinque no, o che basta un po’ di umidità e crollo, o che basta un temporale e ho parestesie fortissime su tutto il corpo per giorni e giorni, o che basta un cibo diverso e ho giorni di diarrea continua, o che basta un po’ di caldo in più e in auto non riconosco più le distanze, e vado in confusione, e collasso per la strada. O che basta una banale aspirina a mandarmi in crisi totale perché sono intollerante a molti farmaci. O che, se faccio due stupidaggini più di quelle che faccio di solito, mi viene la febbre un mese, anche se ho imparato a uscire lo stesso, per quanto mi riesce. O che la notte ho delle apnee ingestibili. Il controllo a Trieste di mercoledì in cui forse ho messo troppo, e che forse non porterà alla soluzione, perché una soluzione non c’è. Ma uno si aspetterebbe almeno una presa in carico. Il diritto di essere vista. Gli aiuti che non esistono, tanto che io ci ho rinunciato, e rido sempre e non domando più nulla a nessuno, a costo di passare da scema, perché tanto chiedere aiuto produce solo l’effetto contrario. Io che tiro su tutto, e lo stesso non arrivo a fine mese. Le persone preposte che provi a chiamare per avere appoggio e che tanto ti ignorano. So che non bisogna sfogarsi su fb, perché fra l’altro, quando cerco comprensione, mi trovo le peggio parole e le peggio offese del mondo, che non ho ancora compreso il perché, ma sono un essere umano, e sebbene io sia molto forte, alle volte è complicato gestire una situazione più grande di te di milioni di volte. Fra l’altro chi scrive quei commenti così tanto per scrivere, tanto per spargere cattiveria, senza sapere cosa produce in una persona, prima dovrebbe conoscere le situazioni, come sta vivendo quella stessa persona. Sapere se quella persona fa fatica a tirare a campare, per quanto uno si dica: “mea culpa perché non lavoro.” Il problema però è che non lavoro perché non sono in grado, e non perché non voglio. E che ci ho provato con entusiasmo in decine di occasioni, e che, appena si accorgono che sto male così spesso, mi lasciano a casa, e peggio diventava un problema riportarmi a casa. Idem i ragazzi, che prima partono in quarta, dicendo che risolveranno tutto loro, pensando forse che io stia fingendo, e poi mi mollano perché si accorgono che non posso avere la vita normale che hanno gli altri. Idem io, che allontano tutti ormai perché<< so che tanto, quando si accorgono che non sono in grado di uscire ogni giorno come tutti, e di fare le cose che fanno tutti, mi rendo conto che mi buttano via come uno straccio vecchio. Mi sento molto sola. Molta abbattuta. E adesso la visita di mercoledì vorrei come saltarla, perché sono anni che andiamo avanti di settimana in settimana, di visita in visita, di stress in stress, di aspettativa in aspettativa, e che non cambia mai niente. E adesso che stiamo arrivando alla meta, perché una diagnosi c’è, sono esausta. Fisicamente. Economicamente. Francamente sapevo della visita il quindici giugno, e mi ero detta che se andava bene, bene, altrimenti mi sarei assunta il peso di decisioni drastiche. Perché qui, nella mia città, nel mio paese, si aiuta solo chi fa comodo aiutare, come se ci fossero persone in difficoltà di serie A, e persone in difficoltà di serie B. E poi si domandano perché la gente arriva farla finita. Domandati cosa hai fatto per dare alle persone malate una rete sociale, invece. Domandati se hai una persona che sta chiedendo aiuto inutilmente da dieci anni. Domandati se può farlo solo perché è masochista e ci si diverte, o se invece ci sia qualcosa sotto. Comunque, problemi miei. Maledetta CFS. Maledetta Sindrome di Bechet. Maledetta Emocromatosi. Fanculo.

La sindrome da fatica cronica viene finalmente presa sul serio ?

Ringrazio Sara Fumagalli per la traduzione in italiano.

Un tempo respinta da molti medici come malattia psicologica, la ricerca attuale suggerisce che la CFS abbia le sue radici nelle infezioni – e c’è speranza di successo di trattamento.

di David Cox – Lunedi 4 aprile 2016

Jose Montoya era un medico tirocinante, quando il suo supervisore gli disse che se avesse continuato a specializzarsi nel trattamento della sindrome da fatica cronica (CFS), sarebbe finito senza fissa dimora. “Circa 15 anni fa, ho iniziato a lavorare con 10 pazienti che avevano avuto le loro vite devastate da questa malattia”, dice Montoya, ora professore alla Stanford University e uno dei maggiori esperti mondiali sulla malattia. “Sono stato in grado di aiutarli, così ho portato i miei risultati al mio mentore accademico e lui mi ha detto: ‘Sta commettendo un suicidio accademico. Sta trasformando la sua carriera in un pasticcio. ‘ “

Mesi dopo, Montoya, stava andando ad una conferenza a Parigi con il suo mentore e l’argomento tornò di nuovo. “C’era un senza tetto sdraiato ubriaco in strada e, indicandolo, mi disse: “Ecco come andrà a finire se continua a studiare la sindrome da fatica cronica.'”

Si stima che la CFS colpisca in tutto 1 milione di americani e circa 250.000 persone nel Regno Unito. Gli effetti possono essere devastanti. “Mio figlio ha CFS ed è solo in grado di alzarsi dal letto per una mezz’ora al giorno”, dice Mary Dimmock, un attivista della CFS che ha lavorato nell’industria farmaceutica per 30 anni. “La malattia non è tanto la stanchezza, è che i pazienti semplicemente crollano se oltrepassano la loro energia disponibile. Queste persone stanno così male che possono avere solo l’energia sufficiente per lavarsi i denti o masticare il loro cibo.”

Eppure, per gran parte degli ultimi tre decenni, la CFS è stata trattata come il proverbiale scheletro nell’armadio del mondo medico. I potenziali ricercatori sono stati spaventati dallo stigma associato alla malattia, e il finanziamento del governo è stato inesistente.

“Quando ero uno studente di medicina negli anni ’90, ci hanno istruito che i pazienti di CFS non potevano essere visti nella nostra clinica”, ricorda Montoya. “E una lettera è stata inviata a quei pazienti dicendo loro di non venire.”

Per capire perché l’industria medica abbia trattato la malattia con tale disprezzo, si deve tornare indietro al 1955, a uno scoppio improvviso di CFS presso il Royal Free Hospital di Londra che aveva colpito circa 300 persone e portato alla chiusura dell’ospedale per tre settimane. Le cause di questa misteriosa epidemia erano sconosciute, ma i risultati clinici suggerivano che qualcosa doveva aver innescato un’infiammazione nel cervello e nel midollo spinale, ma senza una causa obiettiva i funzionari della sanità incaricati di indagare l’epidemia due decenni più tardi conclusero che si fosse trattato di un caso di isteria di massa. Nel 1980, psichiatri negli Stati Uniti e nel Regno Unito coinvolti nelle indagini di un simile caso di epidemia di CFS in Nevada hanno deciso che la malattia fosse in gran parte psicogena, il risultato di pazienti che credevano di essere veramente malati e consentivano a se stessi di decondizionarsi. Si tratta di un marchio che è rimasto fino ad oggi. Nel 2011, il Trial Pace – uno studio di cinque anni sulla CFS finanziato dal governo del Regno Unito – ha raccomandato la terapia cognitivo-comportamentale e un regime di esercizio fisico graduale come trattamenti per la malattia.

Nel corso degli ultimi 20 anni, però, una manciata di scienziati ha sfidato le convenzioni, studiando più in profondità la malattia rispetto al passato, a volte su ispirazione di eventi casuali.

Il professor Garth Nicolson, fondatore dell’Istituto di Medicina Molecolare in California, ha notato un’ondata di CFS nei soldati di ritorno dalla guerra del Golfo del 1990-91, tra i quali la propria figlia. “Quanto più abbiamo guardato dentro, tanto più abbiamo scoperto che le infezioni sembrano essere la causa principale, che era il motivo per cui alcuni dei pazienti passavano la CFS ai familiari” dice. “Le infezioni non sono una causa universale, ma sono sicuramente uno dei principali fattori che contribuiscono alla malattia.”

Nicolson e altri credono che, come con tante malattie complesse, CFS sia in realtà un termine generico per tutta una varietà di malattie sottostanti – alcune psicologiche o dovute ad ansia correlata a intolleranza all’esercizio, ma molte altre che vanno fino a danni neurologici, insufficienza di produzione di energia o anche disfunzioni autoimmuni.

“Abbiamo preso malattie che non sono nemmeno collegate le une alle altre, ma poiché la fatica è il sintomo unificante, le abbiamo gettate tutte nello stesso calderone e trattate allo stesso modo”, dice Dimmock. “Se si prescrive un regime di esercizio graduale ad un paziente di CFS con una menomazione nella produzione di energia, si può fare un sacco di danni. Sarebbe come se tu mettessi tutti insieme i pazienti che soffrono di mancanza di respiro, pur avendo alla radice cause diverse che vanno dall’asma all’angina. Non li tratteresti mai come uno stesso gruppo di pazienti”.

Montoya ritiene che circa l’80% dei pazienti con CFS che ha in trattamento abbiano sviluppato la loro condizione a causa di un’infezione. Ma poichè alcuni di loro arrivano a vedere uno specialista solo quando sono malati da molti mesi o addirittura anni, i batteri o i virus responsabili si sono nascosti da lungo tempo all’interno delle cellule del corpo, il che significa che molti esami standard del sangue sembrano mostrare che non ci sia nulla di sbagliato. “Questo è il motivo per cui molti medici hanno liquidato la CFS come psicologica in passato”, dice.

Presso la Columbia University, la professoressa Mads Hornig studia le varie cause e possibili trattamenti per la CFS. “La gamma di sintomi nei pazienti con CFS è estremamente varia” dice. “In alcuni casi, c’è qualcosa che ha danneggiato i mitocondri che forniscono energia alle cellule del sistema immunitario, alle cellule del cervello e alle cellule muscolari, e tali pazienti possono migliorare molto da trattamenti come la sostituzione dei lipidi di membrana. Per altri, virus o batteri sembrano avere indotto anticorpi che possono reagire contro parti di organi, compresi il cervello e i tessuti muscolari, causando disturbi. C’è un gruppo in Norvegia che ha avuto successo con l’immunoterapia nel trattamento di alcuni pazienti con CFS”.

Ma mentre questi scienziati hanno combattuto una battaglia solitaria per molti anni, l’onda del cambiamento sembra finalmente attraversare la comunità medica.

L’anno scorso, l’Istituto di Medicina degli Stati Uniti ha pubblicato un rapporto che descrive la CFS come una “malattia grave, cronica, complessa e sistemica”.

Molti sperano che questo porterà a nuovi investimenti e a nuovi trattamenti. “Le aziende farmaceutiche non sono state in grado di investire nella malattia in passato poichè ci sono stati pochi finanziamenti per la ricerca accademica”, dice Dimmock. “Le aziende hanno bisogno di questa conoscenza per cercare di sviluppare farmaci.”

Montoya e Hornig hanno entrambi ricevuto assegnazioni dal National Institute of Health per identificare con maggiore precisione i sottogruppi di pazienti all’interno della CFS. “Dobbiamo cercare di sviluppare biomarcatori per la CFS che individuino quali sono le cause di fondo”, dice Hornig. “Per alcune persone può essere una flora batterica intestinale anomala che può danneggiare la funzione del sistema immunitario e il trattamento probiotico potrebbe aiutare. Altri possono avere più nebbia del cervello, disturbi del sonno che potrebbero essere dovuti a un’infezione emigrata nel loro liquido spinale, quindi hanno bisogno di un trattamento antibiotico o antivirale “.

Ma, in ultima analisi, il Santo Graal per tutti i ricercatori della CFS è quello di capire il motivo per cui alcune persone sono sensibili alla malattia, mentre altre possono essere esposte alle stesse infezioni o cause e tuttavia provare solo un piccolo cambiamento. “Questa è davvero la grande domanda”, dice Montoya. “Se si prende il virus di Epstein-Barr, che provoca la febbre ghiandolare, solo il 10-15% circa delle persone tende a continuare ad avere un prolungato caso della malattia che conduce alla CFS. Ma perché questo insieme di individui ha questo tipo di risposta a determinati virus, mentre altri no? Ci sono fattori genetici o c’è proprio un agente patogeno del tutto diverso che non abbiamo ancora scoperto? Non lo sappiamo, ma con le maggiori risorse finanziarie stanziate e con gli istituti di ricerca nel mondo arrivati alla conclusione che questa è una malattia che richiede ricerca e attenzione serie, credo che sapremo la risposta ne prossimi 5, 10 anni”.

© 2016 Guardian News and Media Limited o delle sue società affiliate.

La crisi economica é colpa di manager (e politici) psicopatici

Merita la lettura un recentissimo articolo de L’Espresso che prende in rassegna un libro che analizza i comportamenti di manager e politici che conducono al fallimento sociale ed economico delle realtà dove operano.

Sì, c’è una dimensione individuale che può essere studiata e che andrebbe studiata prima di affidare incarichi di potere in ruoli delicati ed importanti. Isabella Merzagora, Guido Travaini, Ambrogio Pennati (una psicologa, un giurista, uno psichiatra esperti di criminologia), hanno dato alle stampe un libro dal titolo che già dice molto: Colpevoli della crisi? Psicologia e psicopatologia del criminale del colletto bianco (Franco Angeli). Secondo gli autori, una delle ragioni della crisi risiederebbe nel fatto che ai vertici di molte grandi aziende, e in particolare quelle finanziarie, vi fossero persone egocentriche, prive di capacità empatiche e di identificazione negli altri, spregiudicate, manipolatorie, machiavelliche, incapaci di rimorso, narcisiste, menzognere: in pratica veri e propri psicopatici.  Quoto direttamente dall’interessante articolo de L’Espresso :

Ma quali sono le caratteristiche dei criminali finanziari che portano al disastro le aziende e in certi casi lo Stato? Difficile elencarli tutti: gli autori parlano anzitutto della cosiddetta Triade Oscura, cioè il narcisismo, la psicopatia, il machiavellismo (l’idea che il fine giustifichi i mezzi e che si possano utilizzare gli altri come strumenti per raggiungere i propri scopi). Altri, e altrettanto salienti, aspetti sono l’assenza di rimorso, la freddezza emotiva, l’egocentrismo, la manipolazione, la mancanza di empatia (il non sapersi identificare nelle sofferenze altrui). Ma ci sono anche un atteggiamento interessato al qui e ora, l’instabilità nei rapporti sentimentali, l’indifferenza, la tendenza alla gratificazione immediata, la scarsa tolleranza alle frustrazioni, la prepotenza, la paura dell’insuccesso, la mancanza di coscienza sociale, l’irresponsabilità, ma anche insicurezza e ansia, ancora la disonestà, l’impulsività, l’incapacità di pianificare, un anticonformismo ribelle, l’esternalizzazione della colpa.
Molto interessante è anche vedere i meccanismi giustificativi che vengono addotti in caso di scoperta: si minimizza il danno provocato, si nega che la vittima sia tale, si condannano coloro che condannano, ci si richiama a ideali più alti, si diluiscono le responsabilità, si adottano frasi come “Nessuno è stato danneggiato o non volevamo danneggiare nessuno”, “È come nella giungla o divori o sei divorati”, “Non sapevo fosse illegale”, “Se non lo avessi fatto io l’avrebbe fatto qualcun altro, “Il mondo è un mercato e ognuno ha un suo prezzo”, “non stavamo proprio mentendo, solo non abbiamo detto tutta la verità”, “Lo facevano tutti”, “ho fatto quello che mi hanno ordinato di fare”.
Il ricorso a queste forme di razionalizzazione (“Che sono le stesse utilizzate anche in chi è accusato di abusi sessuali”, spiega Isabella Merzagora) sono evidenti in tutti i casi presi in considerazione dagli autori: tra gli altri, quelli della Clinica Santa Rita, il caso Moses e il crac della Parmalat. Gli autori notano anche che non c’è categoria immune dalla caduta del crimine (e non lo siamo neppure noi), semplicemente il danno causato dai manager è maggiore perché chi è più in alto può provocare autentiche catastrofi. Le donne psicopatiche sono in misura nettamente inferiore, anche se va detto che i dati sono legati anche al fatto che ve ne sono poche ai vertici. In generale però, mostrano più facilmente rimorso e più facilmente si accollano la colpa.

Ho già ordinato il libro su Amazon. che ne pensate ?

Renzi ed il caso Tempa Rossa

Non è mia abitudine commentare i fatti di cronaca perché trovo spesso articoli più interessanti che condivido in rete , scritti in modo più articolato e più comprensibile e preferisco condividere quelli. Il caso di Tempa Rossa però mi lascia allibito come pochi altri.

renzi tempa rossa

Renzi continua a ribadire la necessità di “non interrompere” attività come quelle di Tempa Rossa dove gli IMPRENDITORI (occhio, IMPRENDITORI) hanno smaltito (leggi: sversato) rifiuti pericolosi (per la salute e l’ambiente) qualificandoli come pericolosi, hanno REINIETTATO nel sottosuolo rifiuti tossici della lavorazione del petrolio in un paese in cui l’aria è irrespirabile eppure è consentita la coltivazione di ortaggi, frutta, ecc. E Renzi difende a spada tratta questo modo di fare imprenditoria, e di come “il fine” (“sbloccare le opere”) giustifichi tranquillamente i mezzi (il famoso emendamento). Ci troviamo di fronte ad un caso in cui un emendamento è servito per fare opere e premiare società guidate da persone (dirigenti, ecc.) che hanno AVVELENATO l’ambiente, il territorio e le persone. Renzi è in prima linea per difendere questo modo di fare. Certo che dice che è giusto che la magistratura punisca i colpevoli, ma si capisce benissimo che per lui sono “dettagli”. In Economia politica l’inquinamento di mari, terreni, ecc. da parte di industrie ecc. viene chiamato “esternalità negativa”. Costerebbe troppo in termini di competitività (magari con la Cina ?) smaltire e depurare tutto in casa , per cui …. si scarica fuori, ed sce dal conto dell’impresa ed entra in quello di tumori , inquinamento e …spesa pubblica. Sono schifato.