Rabbia e desiderio di vendetta, un tema sempre attuale.

Interessante l’articolo pubblicato sul Sole 24 ore di oggi , con l’introduzione di Armando Massarenti : «Chi è benevolo non è portato alla vendetta, ma alla comprensione», scriveva Aristotele nell’«Etica nicomachea». E molti secoli dopo (1942) Gandhi avrebbe aggiunto: «Dobbiamo guardare in faccia il mondo con calma e occhi aperti, anche se gli occhi del mondo oggi sono iniettati di sangue». Per la filosofa americana Martha C. Nussbaum, di cui sta per uscire per il Mulino Rabbia e perdono. La generosità come giustizia, è una caratteristica dei grandi uomini quella di aver saputo reagire alle ingiustizie e alla violenza del mondo evitando l’odio, la rabbia, la vendetta, nella consapevolezza della loro sostanziale inutilità e per il modo in cui si rivelano controproducenti quando si tratta di costruire il proprio futuro. Il nostro vivere comune, e le istituzioni che lo informano, hanno bisogno di uno spirito di riconciliaizone e di una saggia ridefinizione di concetti come perdono, punizione, giustizia. Il che non significa che le ingiustizie non debbano essere contrastate. Anzi. Un’azione strategica e coraggiosa però «richiede intelligenza, autocontrollo, e generosità, una paziente e indefessa disposizione d’animo a vedere e cercare il bene più che a fissarsi ossessivamente sul male». All’analisi filosofica, Nussbaum unisce esempi concreti, come quello che vede protagonista – nello stralcio che proponiamo oggi in copertina e anche in questa newsletter – il leader sudafricano Nelson Mandela. Le sue 250 Lettere dalla prigione, ora inedite, verranno pubblicate dall’editore il Saggiatore, che ne ha acquisito i diritti per l’edizione che uscirà in tutto il mondo nel luglio del 2018, in occasione del centenario della nascita di Mandela. In molte di queste lettere chiaro ciò che sostiene Nussbaum: quanto il carattere del leader si sia costantemente ritemprato anche grazie alla lettura del filosofo-imperatore Marco Aurelio.”

Narcolessia, prima di arrivarci le paure e la disperazione dei genitori.

Troppi brividi hanno percorso il mio corpo mentre leggevo la lunga testimonianza di un papà (e di una mamma) per cercare di capire cosa non andava nel figlio , tra errate diagnosi, sensi di colpa, paure e infine la causa dei crolli del figlio: la narcolessia.

La responsabilità etica come forma di prevenzione del crimine .

Ora, o si opera in un sistema finanziario in cui è possibile leggere i bilanci, e allora vi saranno imprenditori e finanzieri veri; o si vive in un paese in cui sui bilanci non si può fare alcun affidamento, e allora vi saranno solo giocatori d’azzardo. Si può decidere di fare un investimento finanziario oculato se si conoscono tutte le carte; ma se si deve tirare a indovinare guardando negli occhi l’interlocutore perché i suoi bilanci non danno alcuna affidabilità, allora si agisce da giocatori di poker.

Non si può prescindere da questo aspetto del problema perché è da qui che deriva la sovraesposizione della magistratura, chiamata a fronteggiare fenomeni di massa da un lato, e dall’altro di qualità talmente alta da investire parte della classe dirigente o talora i suoi vertici.

Questo è potuto accadere perché sono mancati tutti l meccanismi di controllo alternativi a quelli della giustizia penale, lo vorrei vivere in un paese dove l’ordine giudiziario sia  il braccio secolare a cui le varie categorie consegnano i reprobi dopo averli allontanati dalle posizioni di responsabilità perché moralmente indegni, dicendo all’autorità giudiziaria: «guardate se per caso hanno commesso anche un delitto», invece succede li contrario. In Italia c’é chi è rimasto inchiodato al proprio posto fino a quando non sono arrivati i carabinieri a schiodarlo, e qualche volta anche dopo, Questo è avvenuto in quanto non hanno funzionato forme di responsabilità diversa, e ciò ha prodotto alcune conseguente devastanti.  In primo luogo, facendo coincidere la responsabilità etica, la responsabilità disciplinare, la responsabilità politica e la responsabilità morale in senso lato con la responsabilità penale, si è applicata in modo perverso la presunzione di non colpevolezza. In sostanza, assegnando il compito al giudice si è deciso che, in attesa della pronuncia della sentenza, valga la presunzione di non colpevolezza.

Ma a quel punto la valutazione della condotta di una persona è delegata solo ed esclusivamente al giudice. E sarà il giudice, allora, a decidere della carriera, per esempio, di un uomo politico. Perché altri meccanismi non hanno funzionato.

Poi, per il perverso intreccio dei meccanismi, dobbiamo anche ascoltare il ministro delle Finanze che in Parlamento dice! «Su 89 casi di sentenza di condanna irrevocabile per delitti contro la Pubblica amministrazione di appartenenti all’amministrazione finanziaria, nel settore civile (non abbiamo ancora l dati per quello militare), c’è stato un caso di rimozione», Allora ci si chiede: ma in che paese vivo?

Per poter riportare la situazione alla normalità, per ridurre la sovraesposizione della magistratura, bisogna prima di tutto riportare a un livello fisiologico la devianza utilizzando tutti gli altri strumenti di prevenzione in quanto l’intervento del magistrato è sempre un intervento tardivo. Interviene, infatti, dopo che un delitto è stato commesso.”

dal libro di Piercamillo Davigo “Il sistema della corruzione”.

Quando l’attenzione della politica è volontariamente tutta sulla microcriminalità mentre il vero cancro è la corruzione.

Un’ulteriore caratteristica del nostro paese è che da noi non esistono corpi di polizia giudiziaria. La polizia italiana ha corpi che sono, contemporaneamente, di sicurezza pubblica e di polizia giudiziaria, ma questo fa sì che essi siano organizzati soprattutto per la repressione dei cosiddetti «reati visibili», ossia di quelli che incidono immediatamente sull’ordine pubblico, con una particolare attenzione alla microcriminalità, anche perché per anni si è ripetuto che il problema principale del nostro paese è la sicurezza. Viceversa, la corruzione è molto più grave ed entra nella devianza dei cosiddetti «colletti bianchi».

Un esempio della gravità del fenomeno: al processo Parmalat (circa un decennio dopo le vicende da cui hanno preso avvio queste riflessioni) c’erano ben 45.000 parti civili, ovvero 45.000 vittime che chiedevano il risarcimento dei danni. Se il giudice avesse dovuto fare l’appello di tutti, avrebbe terminato l’udienza semplicemente chiamando le patti civili! Per fortuna molti avvocati rappresentavano più vittime e quindi si poté  procedere più rapidamente, ma questo caso illustra bene la vastità del fenomeno. Quanto ci impiega uno scippatore a mietere 45.000 vittime? Non solo: in tanti anni di magistratura non mi è mai capitato di incontrare qualcuno che nella borsa scippata conservasse i risparmi di tutta una vita, mentre molte di quelle parti civili nei bond Parmalat avevano investito tutti i loro risparmi. Non ho alcuna simpatia per gli scippatori, sia bene inteso. Questo però dà l’idea della diversa gravità dei due tipi di reato di cui si parla. Purtroppo, le strutture sono attrezzate per reprimere la microcriminalità e non la criminalità dei «colletti bianchi».

I corrotti, insomma, sono una minoranza informata contro una maggioranza di cittadini disinformata in quanto esclusa dalla conoscenza dei meccanismi, delle persone e dei fatti. Corrotti e corruttori non si presentano, almeno di solito, nella loro vera qualità, ma si proclamano onesti e le rare volte in cui vengono individuati tendono a definirsi vittime di persecuzioni giudiziarie o politiche, oppure di calunnie.

D’altra parte non siamo di fronte a una devianza individuale, ma piuttosto a un sistema criminale, esattamente uguale a quello del crimine organizzato. Ha un suo sistema di sanzioni che, magari, non è feroce quanto quello del crimine organizzato: non si spara, ma si esclude il soggetto inaffidabile dagli ulteriori appalti, lo si tiene fuori dalla cerchia delle notizie riservate.

(dal libro di Piercamillo Davigo, “Il sistema della corruzione” )

Medicine e bugie, contro le bufale della non-medicina.

E’ un libro molto molto interessante e ben scritto. Ieri l’ho trovato in libreria all’Ipercity di Albignasego e ne ho sfogliato alcune pagine che riguardavano l’agopuntura nonché la dentosofia , “pratica” usata dalla moglie dentista di una persona che conosco.

Il libro “Medicine e bugie”, in libreria da febbraio 2017

La crisi economica é colpa di manager (e politici) psicopatici

Merita la lettura un recentissimo articolo de L’Espresso che prende in rassegna un libro che analizza i comportamenti di manager e politici che conducono al fallimento sociale ed economico delle realtà dove operano.

Sì, c’è una dimensione individuale che può essere studiata e che andrebbe studiata prima di affidare incarichi di potere in ruoli delicati ed importanti. Isabella Merzagora, Guido Travaini, Ambrogio Pennati (una psicologa, un giurista, uno psichiatra esperti di criminologia), hanno dato alle stampe un libro dal titolo che già dice molto: Colpevoli della crisi? Psicologia e psicopatologia del criminale del colletto bianco (Franco Angeli). Secondo gli autori, una delle ragioni della crisi risiederebbe nel fatto che ai vertici di molte grandi aziende, e in particolare quelle finanziarie, vi fossero persone egocentriche, prive di capacità empatiche e di identificazione negli altri, spregiudicate, manipolatorie, machiavelliche, incapaci di rimorso, narcisiste, menzognere: in pratica veri e propri psicopatici.  Quoto direttamente dall’interessante articolo de L’Espresso :

Ma quali sono le caratteristiche dei criminali finanziari che portano al disastro le aziende e in certi casi lo Stato? Difficile elencarli tutti: gli autori parlano anzitutto della cosiddetta Triade Oscura, cioè il narcisismo, la psicopatia, il machiavellismo (l’idea che il fine giustifichi i mezzi e che si possano utilizzare gli altri come strumenti per raggiungere i propri scopi). Altri, e altrettanto salienti, aspetti sono l’assenza di rimorso, la freddezza emotiva, l’egocentrismo, la manipolazione, la mancanza di empatia (il non sapersi identificare nelle sofferenze altrui). Ma ci sono anche un atteggiamento interessato al qui e ora, l’instabilità nei rapporti sentimentali, l’indifferenza, la tendenza alla gratificazione immediata, la scarsa tolleranza alle frustrazioni, la prepotenza, la paura dell’insuccesso, la mancanza di coscienza sociale, l’irresponsabilità, ma anche insicurezza e ansia, ancora la disonestà, l’impulsività, l’incapacità di pianificare, un anticonformismo ribelle, l’esternalizzazione della colpa.
Molto interessante è anche vedere i meccanismi giustificativi che vengono addotti in caso di scoperta: si minimizza il danno provocato, si nega che la vittima sia tale, si condannano coloro che condannano, ci si richiama a ideali più alti, si diluiscono le responsabilità, si adottano frasi come “Nessuno è stato danneggiato o non volevamo danneggiare nessuno”, “È come nella giungla o divori o sei divorati”, “Non sapevo fosse illegale”, “Se non lo avessi fatto io l’avrebbe fatto qualcun altro, “Il mondo è un mercato e ognuno ha un suo prezzo”, “non stavamo proprio mentendo, solo non abbiamo detto tutta la verità”, “Lo facevano tutti”, “ho fatto quello che mi hanno ordinato di fare”.
Il ricorso a queste forme di razionalizzazione (“Che sono le stesse utilizzate anche in chi è accusato di abusi sessuali”, spiega Isabella Merzagora) sono evidenti in tutti i casi presi in considerazione dagli autori: tra gli altri, quelli della Clinica Santa Rita, il caso Moses e il crac della Parmalat. Gli autori notano anche che non c’è categoria immune dalla caduta del crimine (e non lo siamo neppure noi), semplicemente il danno causato dai manager è maggiore perché chi è più in alto può provocare autentiche catastrofi. Le donne psicopatiche sono in misura nettamente inferiore, anche se va detto che i dati sono legati anche al fatto che ve ne sono poche ai vertici. In generale però, mostrano più facilmente rimorso e più facilmente si accollano la colpa.

Ho già ordinato il libro su Amazon. che ne pensate ?

Il trapianto fecale nel libro “L’intestino felice” di Giulia Enders

Il problema dei probiotici è che appena si smette di assumerli ogni giorno, il più delle volte scompaiono subito dall’intestino. Ogni intestino è diverso dall’altro, esistono team di microbi che si aiutano a vicenda oppure si combattono; chi ruzzola giù all’improvviso, non ha molte chance di imporsi nella suddivisione dei posti, Ecco perché al momento i probiotici funzionano soprattutto come cura intestinale. Se si interrompe la terapia, tocca alla flora batterica autoctona portare avanti il lavoro. Al fine di garantire risultati a lungo termine, da qualche tempo si accarezza l’idea di mettere in atto una strategia di squadra mista: più batteri che si aiutano a vicenda a insediarsi in territori sconosciuti, si incaricano dello smaltimento rifiuti degli altri oppure producono cibo per i colleghi.

Alcuni prodotti in vendita in farmacia, in drogheria o al supermercato si basano già su questo principio del miscuglio di batteri lattici conosciuti. In effetti, lavorando in squadra possono sultare più efficaci. L’idea di installare stabilmente questi batteri nell’intestino è splendida, ma i risultati lasciano un po’ a desiderare… per usare un eufemismo.

D’altra parte, la strategia del “team mix”, se messa in atto cori forza, ha un’efficacia davvero impressionante. Per esempio, nella terapia delle infezioni da Clostridium difficile. Si tratta di batteri che sopravvivono facilmente agli antibiotici e sono in grado di occupare tutti gli spazi rimasti vuoti nell’intestino. Chi è affetto da questa patologia, a volte soffre per diversi anni di diarree mucose e sanguinolente che nessun antibiotico o preparato di probiotici è in grado di tenere a bada. Una malattia come questa non è solo sfibrante dal punto di vista fisico, ma porta alla disperazione.

In situazioni d’emergenza come questa, i medici devono attingere a tutta la loro creatività. Oggi esistono coraggiosi professionisti che effettuano trapianti di compatte squadre di veri batteri intestinali di tutti i tipi prelevati da persone sane. Fortunatamente, l’operazione è abbastanza semplice (nella medicina veterinaria questo metodo viene impiegato efficacemente da decenni). Bastano un po’ di escrementi sani comprensivi di batteri e il gioco è fatto. Questo “team mix” perfetto si chiama “trapianto di feci”. In forma medicinale le feci non vengono somministrate alo stato naturale, bensì purificate. Non importa se da dietro o da davanti.

In tutti gli Studi effettuati finora, il tasso di efficacia per i casi di Clostridium difficile è del 90 per cento. Ben pochi farmaci vantano percentuali di successo così elevate. Tuttavia, il provvedimento può essere adottato solo nei casi veramente disperati. Infatti, non si è ancora in grado di escludere del tutto la possibilità vii trasmissione di eventuali malattie o microbi potenzialmente dannosi dì altre persone. Alcune ditte farmaceutiche stanno già mettendo a punto prodotti artificiali da trapianto con garanzia di “assenza dì controindicazioni”. Se ci riescono davvero, avremo tatto un autentico passo avanti.

I probiotici infatti, possono esprimere tutto il proprio potenziale per mezzo dì un trapianto di batteri buoni in grado di moltiplicarsi in modo duraturo. Il trapianto ha dato primi risultati positivi anche nella cura di casi gravissimi di diabete. Attualmente, sono in corso studi per valutare se questo procedimento sia eventualmente in grado dì bloccare l’insorgenza del diabete di tipo 1.

Forse qualcuno potrebbe pensare che il collegamento fra feci e diabete sia un po’ azzardato. In realtà, però, è tutt’altro che fuorviante: non sì tratta infatti solo di un trapianto di batteri protettivi, bensì di un intero organo microbico, che contribuisce a regolare il metabolismo e il sistema immunitario. Più del 60 per cento dì questi mìcrobi intestinali è ancora a noi ignoto. La ricerca dì specie batteriche in grado di agire probioticamente è costosa, come lo è stata un tempo quella di principi attivi efficaci. Stavolta, però, il rimedio vive insieme a noi. Ogni giorno e ogni pasto influenzano anche il grande organo microbico, in modo positivo o negativo.

(dal libro “L’intestino felice” di Giulia Enders, scritto davvero in modo piacevole, di meno di 240 pagine che sto leggendo quando non sono troppo stanco, ovvero in circa sei mesi…)

L’ultimo elfo

Quando una persona speciale, perché ti è stata vicino e ti ha saputo aiutare in un momento della vita in cui non riuscivi a riprenderti, ti consiglia un libro , anche questo libro per te diventa speciale.

L’ultima copertina del libro “L’ultimo elfo”, che ho finito di leggere ieri.

In oltre un anno sono riuscito a leggere questo libro fantasy , fatto per i più piccoli (ma tanto rimaniamo sempre un po’ bambini, no ?) ma che è bello da leggere per chiunque. Questa persona ha pensato alla trama di questo libro perché le ricordavano i nostri dialoghi di vari mesi sul significato della vita, dell’azione delle persone, e su dove , almeno per me , dovrebbe portare la condotta umana.
Purtroppo, riesco a capire quello che leggo solo quando non sono stanco, la stanchezza portata dalla mia malattia, e questo vuol dire che riesco a leggere per meno di un’ora, solo di mattina, o di pomeriggio se ho riposato prima, possibilmente con la luce naturale. Ecco perché ci ho messo più di un anno per leggere un libro che altrimenti molti divorerebbero in una settimana. L’altro aspetto negativo di impiegare così tanto tempo è che quando arrivi alla fine devi fare mente locale sulla trama perché ti sei già dimenticato come iniziava. Ad ogni modo non sono sicuro nemmeno di aver inteso (se non sei esattamente neurotipico riesci ad avere una visione diversa delle cose rispetto a quella che la maggioranza delle persone darebbero, anche se non è sbagliata) il senso che l’autrice vuole trasmettere , ma ci provo.
Credo che quello che vuole comunicare il libro con questa favola sia che gli incontri casuali della vita , anche con persone diverse (e cosa di più diverso di un elfo rispetto agli esseri umani?), ma buone , ovvero che abbiano dentro di sé la voglia di non offendere gli altri (sia fisicamente che psicologicamente, ad esempio con l’umiliazione) ma anzi di aiutarli con il poco che sanno o che sanno fare (il piccolo elfo ha letto un sacco di libri di astronomia, sa resuscitare i moscerini ed anche curare piccole ferite delle persone, sa anche accendere un fuoco , ma non può scatenare un incendio d’inverno quando c’è troppa umidità !) possono darci la felicità. L’incontro con il diverso, anche con l’odiato elfo (la menzogna e la propaganda di un gruppo di balordi che si sono impossessati della città di Daligar avevano attribuito agli elfi distruzione, fame e povertà, quando invece questi balordi ne erano loro la causa, alimentata attraverso l’ignoranza , la costrizione fisica e la fame) di cui tutti parlavano male, ha rappresentato la via di salvezza per Robi, la figlia dei due esseri umani che l’elfo ha incontrato nel suo cammino e che erano morti per lui.

Tanta tristezza alla fine, quando il drago Ebrow , che il piccolo elfo ha come suo compagno di vita per un breve periodo, muore per salvare Robi ed il piccolo elfo. Il piccolo elfo e Robi sarebbero sopravvissuti, diceva la profezia, ma il drago in effetti nella profezia non c’era più alla fine. Il saggio drago diceva che la vita e la morte sono strettamente concatenate. Lo sappiamo tutti, anche se quando arriva il momento in cui le persone care ci abbandonano, il saperlo non ci aiuta nemmeno un po’.

Quel libro che parla di persone che aiutano i bambini autistici (ABA)

Non c’è modo migliore di iniziare un anno che spero sia di svolta positiva con un libro che parla di persone che aiutano le persone con disabilità !

Il manuale aba-vb , una tecnica utilizzata su bambini con disabilità autistiche e non solo.

Ma proviamo a chiederci il perché di tale successo e se questo è confinato all’applicazione dell’intervento ai disturbi dello spettro autistico o se è possibile generalizzarlo al campo delle disabilità nel loro insieme .
Una prima argomentazione è nel presupposto dell’ABA, che sposta il focus dall’intervento della persona al suo ambiente di vita quotidiana. Non abbiamo bisogno di chiedere al bambino di comportarsi diversamente né di cambiare quelle che sono le sue caratteristiche naturali, ma possiamo modificare le condizioni ambientali affinché lui possa ottenere le migliori opportunità di apprendimento , quindi sviluppo, altrimenti a lui negate. Cambiando i contesti , “protesizzando” gli ambienti, costruendo sistemi sociali inclusivi , otteniamo cambiamenti significativi e duraturi nel repertorio comportamentale e cognitivo della persona a prescindere dalle sue condizioni di salute. Questo è un fondamentale punto di forza dell’ABA :chiedere agli altri, le persone significative che sono in relazione con il bambino, di modificare i propri comportamenti per produrre dei segnali ed erogare delle conseguenze che hanno un effetto significativo nella vita della persona con disabilità.

I libri consigliati da papà.

Se c’è qualcosa che mi ha allontanato dalla lettura (ma per fortuna nel tempo ho rimediato scegliendo da me i libri) sono state le scelte molto sfortunate di papà in merito ai libri. Scritti da cani, in modo criptico, anche se magari su tematiche interessanti.

L’ultima “perla”, il libro di Luigi Cancrini, “Dialoghi col figlio”, e spero davvero che il figlio fosse immaginario, ovvero una finzione narrativa.  A pagina 102:

Figlio: Dicendo che non c’è bisogno di abbandonare la logica per accettare l’idea di un’attività del pensiero che si svolge ad un livello superiore a quelli delle attività di adattamento. Basta pensare che la mente è in grado di cogliere la struttura che connette e che ciò dà piacere.
Padre: Nel senso di Bateson ?
Figlio: Precisamente . “Per estetico – ricordi – intendo sensibile alla struttura che connette”. Affrontando gli studenti di una scuola d’arte Bateson si era presentato con un granchio cotto dicendo:” Voglio sentire da voi ragioni che mi convincano del fatto che questo oggetto è ciò che resta di un essere vivente. Potreste immaginare di essere dei marziani: su Marte avete dimestichezza con gli esseri viventi, dato che voi stessi siete vivi,  ma non avete mai visto i granchi nè le aragoste…”. Rispondendo, gli studenti si mostrarono sensibili alla struttura che connette. Notavano, cioè, i particolari pertinenti. Lo facevano con piacere. All’interno di una ricerca libera (cioè non seduttiva) , basata sull’attesa di un concetto capace di far vibrare le loro sensibilità.
Padre: La storia di Bateson la ricordo. Quello che vorrei capire però….
Figlio: E’ la pertinenza che io, tuo figlio, riconosco tra il significato di questa tua storia ed il tuo pessimismo ?
Padre: Sì.
Figlio: La struttura che connette, papà, non è solo un modo di piegare la realtà al nostro bisogno di rappresentarla. L’emozione estetica vissuta dagli studenti che colgono ciò che è pertinente alla vita nella struttura del granchio non è il risultato di una allucinazione. E’ o potrebbe essere il risultato dell’attività di un apparato percettivo estremamente sofisticato. Capace di eccitarsi di fronte all’immagine che riassume le speranze costitutive del granchio (la sua embriologia) semplicemente perchè esse sono parte integrante della sua propria embriologia.
Padre: E allora ?

Amen.