I tre fratelli che non dormivano mai

Ora che la trasmissione Quante Storie ha spoilerato alcuni pezzi del libro del neurologo Prof. Plazzi, uno dei massimi esperti mondiali di malattie del sonno, posso raccontare un piccolo frammento della mia esperienza leggendo (non l’ho ancora finito, purtroppo per me leggere è diventato faticoso) il suo ultimo libro “I tre fratelli che non dormivano mai”. 
La cosa affascinante di un libro è che ciascun lettore può prendere una parte delle molte pagine e farla sua. Una mia cara amica che per me è stata un vero fulmine a ciel sereno, conosciuta ad un matrimonio, un giorno mi disse (se ricordo bene):” Le cose non hanno un perché. Siamo noi che diamo un perché alle cose.” 
E forse vale così anche quando raccontiamo l’esperienza della lettura di un libro.


Se parlassi di onde delta e di ritmi circadiani, io che non ho nemmeno studiato medicina, probabilmente combinerei qualche guaio. E allora penso ad una parola, una, che l’autore ha utilizzato raccontando la stranissima malattia di Padre S. che si sentiva indemoniato. E dalla lettura del libro pare che la preoccupazione maggiore del Padre non fosse tanto quella di non riuscire a dormire (appena si addormentava delle scosse prendevano il sopravvento sul suo corpo) quanto di essere espulso dalla sua comunità.
L’autore , il prof. Plazzi, uomo di scienza, raccontando della risoluzione di questa malattia che sembrava essere opera del diavolo, grazie ad un farmaco che Padre S. ora prende a vita, per descrivere il ritorno di Padre S. , dice che Padre S. è tornato “in famiglia”. Una famiglia che è la comunità di sacerdoti di cui faceva parte.
Nella scelta di questa parola si nota un grande rispetto per ciò che ciascuno di noi intende come comunità, ma anche il proprio lugoo, la propria famiglia.
In un biglietto di auguri Padre S. augura al Prof. Plazzi “che Dio la liberi da ogni dolore futuro.” E il prof: Plazzi risponde :” Basterebbe un buon farmaco.” 
Entrambi augurano all’altro ogni bene, ciascuno con il proprio sistema di valori.
Ecco, non servirebbe pensarla tutti allo stesso modo, ma cercare di aiutare gli altri con quello che ciascuno può fare.