Le vetture di tipo Z a scompartimenti, ora quasi scomparse e lo scandalo Freccia sulla Milano-Venezia

(Articolo aggiornato nel 2017).

Nella foto, un gruppo di sportivi si gode una bella giornata di sole mentre sopra alla loro testa sta correndo veloce su un viadotto un intercity internazionale trainato dal “Caimano” E.656  , una serie di carrozze UIC-X , una vettura Z1 a scompartimenti ed una semipilota francese .

L'Intercity internazionale....di casa

In realtà la giornata non è di sole ma di nebbia e quello che state vedendo si trova più o meno a due metri di altezza, sopra la libreria del soggiorno / cucina dell’appartamento dove vivo.  La carrozza grigia che vedete è una delle più confortevoli del parco ferroviario italiano, e purtroppo si trova solo in qualche raro Intercity.
La maggior parte delle carrozze di tipo Z, che qui sotto vedete nella colorazione bellissima che aveva negli anni ’90 (la prima carrozza, quelle successive avevano già la nuova livrea che è ancora differente da quella di adesso), quando gli intercity erano veloci quanto i  Frecciabianca fino al 2017 (Padova-Milano Intercity anni ’90 impiegavano 2 ore e 5 miuti, nel 2016 i Frecciabianca che hanno le stesse vetture “ristrutturate ” – ma ne parliamo dopo – 2 ore e 8 minuti, con un nuovo tratto ad alta velocità tra Pioltello e Treviglio che negli anni ’90 non c’era) ma costavano dalla metà a 1/4 (raffronto fatto sulla tratta Padova-Vicenza, dove nel 2012 un viaggio in Frecciabianca di 16 minuti costava 9 euro, pari a circa 18.000 lire , con le quali si arrivava a Milano nel 1995, e nel 2017, appena cinque anni dopo,  costa il doppio, ovvero 18 euro ).

Solo nel 2017, con l’apertura della tratta Milano-Brescia ad Alta Velocità, i treni Frecciabianca sono stati quasi tutti sostituiti con treni Frecciarossa (che , solo tra Milano e Brescia, possono viaggiare a 300km/h) , con un risparmio di 10′ di tempo, facendo passare il tempo di viaggio da 2 ore e 7 minuti a 1 ora e 57 minuti (contro le 2 ore e 8 minuti degli intercity del 1995…).

Il costo , raddoppiato dal 2012 al 2017, di un treno Freccia tra Padova e Vicenza. Con la metà di questi soldi, 18.000 lire, nel 1995 si andava da Padova a Milano su un Intercity in due ore e cinque minuti.

Le vetture di tipo Z (la prima ancora con la colorazione originaria) a Vicenza

La gestione Moretti di Trenitalia per aumentare i prezzi al ritmo vertiginoso che chi viaggia in treno ha toccato per mano, per cui andare da Padova a Desenzano sul Garda costa ora meno in auto da soli che in treno in Frecciabianca , anche conteggiando benzina, pedaggio e parcheggio nonchè ammortamento del mezzo, ha utilizzato la tecnica del “revamping”, ovvero della ristrutturazione delle carrozze. Nuovi nomi (“Frecce” che , sulle linee tradizionali hanno gli stessi tempi di percorrenza e gli stessi treni dei vecchi Intercity!) , nuovi colori (basati su rosso bianco e grigio che io trovo molto più tristi di quelli degli anni ’95-2000, ma più “manageriali”) ma categoria di treno differente. Gli Intercity quasi scompaiono e vedono un aumento medio del 20% l’anno, mentre al posto degli intercity appaiono i Frecciabianca. Sono le stesse carrozze degli Intercity a cui vengono tolti gli scompartimenti , messi nuovi sedili (che personalmente trovo più scomodi) , con l’aggiunta di prese di corrente in ogni posto (e questa è l’unica cosa che ho trovato di positivo) e molto più rumorose di prima della ristrutturazione, con numerosi problemi alle porte di acesso al treno (!) e dell’aria condizionata, per cui sono un forno d’inverno e un frigorifero d’estate. Tant’è che Trenitalia ha rescisso il contratto per inadempimento con le società che hanno effettuato la trasformazione (leggi qui).
Anche se queste carrozze danno un comfort inferiore a prima della trasformazione, il viaggiatore paga molto caro un viaggio su questi treni, gli unici rimasti sulla Milano-Venezia, dove nè la regione Veneto nè la regione Lombardia hanno più pagato i servizi per i veloci interregionali che c’erano fino al 2005 (Padova-Milano 2 ore e 30 minuti) , che avevano una frequenza di uno all’ora , mentre nel 2012 ne erano rimasti  sono quattro in tutto il giorno e impiegavano 2 ore e 55 minuti e nel 2015 sono stati incredibilmente cancellati, nonostante le proteste e le petizioni dei viaggiatori, solo per rendere più lento e complicato (con il cambio a Verona) un viaggio su treni differenti dalle Frecce.

La Venezia-Milano, a quanto mi risulta, è l’unica linea convenzionale dove non ci siano più treni intercity e il motivo è chiaro ! Dato che non c’è la concorrenza, data dai treni regionali veloci che la regione Veneto (virtuosa, la chiama Zaia) ha tolto quasi del tutto , Trenitalia ha libero gioco nel prevedere in offerta treni carissimi, con tariffe alta velocità, ma che fermano ogni 50 km…per cui la tariffazione Frecciabianca è una follia (vedi il caso di Padova-Vicenza 18 euro o dei 22 euro di Padova-Verona). Se ci fosse un azionista serio (il Ministero del Tesoro) in questo paese che avesse a cuore il core-business di una azienda di trasporto pubblico , che dovrebbe essere aumentare la quota di viaggiatori che usa il treno a discapito dell’auto (per le note conseguenze ambientali e di incidenti stradali) , tutto questo non avverrebbe. E invece abbiamo manager strapagati che hanno come unico fine il far quadrare i conti ed il bilancio. E così ogni anno Trenitalia perde viaggiatori (leggi qui).
Si potrebbe dire che i colori dei treni italiani sono la cartina tornasole del Paese…. siamo diventati grigi.

 

Dal terrore al reincontro – il coraggio di riscattarsi

? lo sono Elena, un’insegnante di scuola superiore.

Ho iniziato il progetto “Il carcere entraascuolalescuoleentrano in carcere” circa dieci anni fa. Facevo la supplente in una scuola di Padova: Un giorno, in sala insegnanti trovai la rivista “Ristretti” e fui catturata dal progetto che alcunecolleghe seguivano. In seguito, lo proposi in un’altra scuola in cui ho insegnato.

Oggi i membri della redazione di Ristretti che ho conosciuto in quel periodo non sono più in carcere: Nicola, Marino, Elton, Maurizio, Sandro, Dritan, Andrea e altri ancora… sono tutte persone che ricordo con emozione e affetto, come le loro storie che ho avuto modo di conoscere.

La mia storia è molto semplice. Il secondoanno in cui, insieme al collegadi religione,abbiamo proposto il progetto a scuola, mentre ascoltavo con attenzione il raccontodi Nicolaeledomande degli studenti, incuriositi dal suo raccontodi rapinatore,qualcosa è scattato in me, così forte da to- gliermi il respiro, lì in classe.

Nella mia mente era riaffiorato un episodio precedente di qualche anno in cui io ero stata usata come ostaggio in una rapina in banca. Avevo rimosso l’episodio come qualcosa di bruttissimo che mi era capitato per sfortuna edi cui non volevo più parlare. Credevo fosse superato. Invece no. L’angoscia provata in quegli attimi, la pistola puntata al la testa, le grida, gli spintoni, la paura di morire per mano di un uomo che non sapeva nulladi meeper il quale io non contavo nulla: tutto riemerse con prepotenza, facendomi quasi esplodere il cuore dall’agitazione. Ricordo come fissai Nicolacon rancoreecomin- ciai a chiedergli che cosa aveva provato lui atenere un ostaggio. Gli chiesi se si era mai chiesto come stessero le persone usate durante le rapine. Ero furiosa. Lui rimase pietrificato e quasi senza parole. Ricordo solo che aliatine del l’incontro, faccia a faccia, quasi si scusò lui perquell’altro rapinatore che mi aveva usato. Ricordo che mi mise un braccio intorno alle spalle, quasi a proteggermi. Fu un’emozione forte, per entrambi.

Daqui nacque un confronto molto bello con lui e con altri detenuti che avevano commesso delle rapine, uno scambio in cui io e loro abbiamo messo in tavola i nostri sentimenti e la nostra umanità.

Ricordo quanto fui “piccola” in quell’occasione, lo che amo vivere nella legalità persi la ragione e non fui fiera di me stessa. Lì, dentro al la banca, dove tutti erano terrorizzati, io quasi mi nascosi e, nel mio cuore, mi augurai che prendessero qualcun altro per

scappare. Ecco, non importava chi fosse. C’era anche una signora incinta, lo mi augurai che prendessero lei, non me. Ma presero me ancora. Perfortunami lasciarono subito fuori dalla porta. E ancora, alle domande dei carabinieri io risposi ma nel mio cuore mi augurai che non li prendessero mai quei rapinatori. Temevo, nella mia ignoranza di allora, che avrei dovuto testimoniare contro di loro e avevo paura.

Ora ritorno sempre con grande emozione in carcere, partecipo al progetto e cerco di coinvolgere soprattutto quegli studenti più esuberanti o pieni di pregiudizi per fa re conosce re le sto ri e e I e umane vicissitudini che hanno portato i detenuti nellasituazione di dover scontare una pena. L’ultimo incontro,quiainizio maggio è stato molto toccante. Ricordo, in particolare, due parole: “sentimenti” e “sogni”. Due bellissime parole. E poi, le storie che abbiamo sentito hanno anche parlato della scuola, dell’importanza di trovare l’insegnante gi usto, che sapesse capi re quei bambini oquegli adulti in momenti difficili. Proprio perché, appunto, “nessuno cambia da solo”.

Mi sono spesso chiesta cosa provino quei delinquenti che uccidono senza pensare che la persona ammazzata magari ha una famiglia, dei figli, una moglie, una madre, un padre. Ecco, penso spesso al dolore di chi resta ad affrontare l’abisso pauroso della perdita di una persona cara. In quest’ultimo incontro ho avuto una risposta: spesso “non provano sentimenti”, ci hanno detto i detenuti, perché la legge della strada o di certi quartieri difficilissimi insegna a focalizzarsi su altro. Ma come fanno questi bambini, ragazzi, uomini a non provare sentimenti? Forse, mi sono detta io, è solo che sulla loro strada non hanno trovato qualcuno che li sostenesse, li capisse, a scuola, nella quotidianità. 0 forse, erano talmente circondati dal “brutto” cheeraimpossibilesognare. Ma come si fa a vivere senza sogni? Alcuni detenuti hanno detto che ora, dopo avere rielaborato la loro storia, si sono assunti le proprie colpe e non si sentono più vittime.

Ma io, durante rincontro, facevo fatica a non pensare che q uei bambini che erano stati un tempo, non fossero altro che delle vittimedell’ambienteorrendoin cui erano cresciuti, vittime di quellascuolachenon li aveva saputi capire, vittime anche a volte della brutalità di chi ha arrestato una madre portandola via a un bambino di 8 anni durante la notte. Cosa potrà nascere da tanta violenza e squallore?

Ricordo che in quel momento, dentro di me ho fissato a lungo quel detenuto che raccontava questi fatti e abbracciato forte il bambino chelui non era più,che non ha potuto essere. Ho pensa- toallasuainfanzia violata. Ho pensato ai miei figli: cosa avrebbero provato? I bambini sono sempre bambini siache nascano a Padova sia che nascano nelle squallide periferie di Napoli. Vittime? lo mi sono detta che quel detenuto era stato, da bambino, solounavittimadi un sistema del male che era molto più grande di lui e che lui da bambino non aveva saputo riconoscere e neanche aveva trovato i mezzi per difendersi.

Da insegnante ho anche apprezzato la grande importanza che tutti hanno dato alla scuola, allo studio comestru mento per elevarsi al di sopra del la bruttezza in cui erano cresciuti o in cui si erano imbattuti. Ricordo gli occhi vivaci e sorridenti di un detenuto e l’enorme gratitudine che si avvertiva lui provava nei confronti di una maestrache, in carcere, lo aveva avvici nato al la scuola da lui in precedenza tanto detestata e la dolcezza con cui questa gli avesse fatto capire che anche lui era un essere speciale e che poteva fare altro, molto di più edi meglio.

Miètornatain mente unafrase che sta attaccata alla lavagnetta magnetica della mia cucina, giusto perché nessuno di casa possa passare di lì e non leggerla. È una frase di Nelson Mandela che dice: «L’educazione è l’arma più potente chesi possa usare percambia- re il mondo», lo ci credo.

Dentro di me si è radicata l’idea che la redazione di “Ristretti” sia una scuola di vita, di umana fragilità e di coraggio: il coraggio del riscatto.E a ogni incontro con gli studenti propone sempre grandi insegnamenti, fa aprire gli occhi ai ragazzi nei confronti di quello che hanno e che spesso sottovalutano, come la scuola.

Elena B. insegnante

 

Michele Bravi .

La sua canzone “Il diario degli errori” con cui si è esibito a Sanremo mi è piaciuta molto, ma al pari mi piacciono : “Cambia”, “Diamanti”, “Pausa”, “Solo per un po’”, “Due secondi (cancellare tutto)”. A conti fatti, mi piacciono tutte le canzoni dell’album tranne due carine ma che non mi prendono tantissimo. Poi, comprato a 4,99 euro su Itunes..😉 . Le sue canzoni hanno molto di Mengoni e di Tiziano Ferro ….

Ed ha anche tanta tanta ironia !!!

I volontari spagnoli in Grecia

I volontari spagnoli in Grecia tra i migranti che cercano di tenere corsi di lingua , in un servizio che ho visto al Tg3 nazionale poco fa  :”Siamo quattro gatti che tentiamo di fare quattro cose , ma è l’unico modo che abbiamo per restare umani “. <3

 

Se ami qualcuno che ha la ME/CFS….

“Se ami qualcuno con la ME/CFS (encefalomielite mialgica / sindrome da fatica cronica), saprai che soffriamo di un male severo, che varia di giorno in giorno e di ora in ora. Proprio così, non possiamo prevedere quale sarà la nostra capacità di gestirlo in ogni momento…

Per questo voglio che tu sappia che noi cerchiamo sempre di accettare il nostro corpo con le sue limitazioni, il che non è facile per chi ha sempre amato ciò che faceva…

Non c’è cura per la ME/CFS, possiamo solo alleviare i sintomi ogni giorno. Non lo abbiamo chiesto noi di soffrire di questa malattia…

Molte volte ci sentiamo noiosi e non possiamo affrontare più tensioni di quelle che abbiamo.

Se ti è possibile, non provocare più tensioni al mio corpo e alla mia mente…

Se qualche volta non voglio parlare, rispetta il mio silenzio. A volte un semplice dialogo ci fa scaricare…

Anche se ti sembra che sto bene, non mi sento bene!

Devo imparare a vivere con una spossatezza costante la maggior parte dei giorni. Quando mi vedi felice, non significa necessariamente che io stia bene, semplicemente sto riuscendo a convivere con lei…

Alcune persone pensano che non posso stare cosi male, se mi vedono bene.  L’affaticamento fisico e mentale non si vede! Questa è una malattia cronica “invisibile” e non è facile per noi sopportarla…

Ti prego, cerca di capire, che per il fatto di non poter lavorare come prima, non vuol dire che sono diventato pigro. La mia stanchezza e dolore sono imprevedibili e a causa di questa situazione, devo fare aggiustamenti nel mio stile di vita.

Qualcosa che sembra semplice e facile da fare per qualsiasi altra persona, per noi invece può causare molto stanchezza e dolore. Non vuol dire che qualcosa che non posso fare oggi, non possa farlo domani…

A volte ci si sente depressi. Chi non si deprimirebbe con una sensazione  forte e costante di influenza ?

E ‘ stato dimostrato che la depressione si presenta con la stessa frequenza nella ME/CFS come in qualsiasi altra situazione di dolore cronico. Non siamo stanchi perché siamo depressi, ma ci deprimiamo per la spossatezza e l’incapacità di fare quello che avevamo l’abilità di fare…

Noi ci sentiamo ancor più male quando non troviamo il sostegno e la comprensione dei medici, familiari e amici. Per favore, cerca di capire, sostienimi e aiutami ad alleviare la mia situazione!…

Se alzo la mia voce, non è per mettere a tacere la tua…

Se urlo e piango, ti prego, non puoi farci nulla…

La nostra disperazione di essere diversi, si riflette attraverso la mia tristezza !

Non chiamarla crisi “isterica”. Semplicemente non ho la capacità di controllare le mie emozioni… E questo ci rende sofferenti!..

Non dubito che mi ami. Solo ho bisogno di te e non capisci…

Anche se sembra che riesco a dormire tutta la notte, non dormo bene e abbastanza. Le persone con ME/CFS hanno un sonno di scarsa qualità, il che porta ad essere ancora più stanchi nei giorni seguenti

Non ci è facile svolgere le attività più comuni come camminare, fare i lavori di casa, mantenere la concentrazione per una qualsiasi attività per molto tempo.  Questo ci causa nebbia mentale e una grande stanchezza anche fisica e ci serve un po ‘ di tempo per recuperare. Quindi evitiamo (quando possiamo) le attività che sappiamo ci provocano un peggioramento dei sintomi. A volte, non sappiamo rifiutare e accettiamo per quieto vivere… di fare qualcosa, pur sapendo le conseguenze che ne deriveranno.

Mi fa impazzire se a volte mi dimentico di piccole cose, di quello che sto dicendo, del nome di qualcuno o scambio le parole. Questi sono problemi cognitivi propri della ME/CFS e che succedono normalmente nei giorni in cui sono più stanco…

È qualcosa di strano sia per te, come per me.

Ridi con me, mi aiuta a mantenere il senso dell’umorismo!…

La maggior parte delle persone con ME/CFS è più esperta di questa malattia che alcuni medici e altre persone, perché siamo stati costretti ad imparare e capire il nostro corpo. Così, per favore, se mi vuoi suggerire una “cura” non farlo! Non è che non apprezzi la tua guida e non voglia stare meglio, ma perché mi tengo molto informata.

Ci sentiamo molto felici quando capita un giorno con poco o zero dolore, quando riusciamo a dormire bene, quando facciamo qualcosa che da molto tempo non facevamo, quando ci capiscono…

Scusa per le mie limitazioni!

Abbiamo “febbre” elevate permanenti e il termometro non lo rileva… Se accadesse non saresti al mio fianco e mi daresti il tuo aiuto?

Per favore, dammi la tua mano!

Non lasciarmi mai!

In verità, io apprezzo tutto quello che hai fatto e puoi fare per me, compreso il tuo sforzo per capirmi…

Piccole cose significano molto per me e ho molto bisogno che mi aiuti!

Sii gentile e paziente…

Ricorda che all’interno di questo corpo dolorante e stanco ci sono io!

Sto cercando di imparare a vivere giorno per giorno con i miei nuovi limiti e di mantenere la speranza nel domani.

Aiutami a ridere e a vedere le cose meravigliose che ci sono intorno a me…

Grazie per aver letto ed avermi dedicato il tuo tempo.

Forse, a partire da ora, potrai capirmi meglio…

Apprezzo il tuo interesse e sostegno!”

Lettera di una pagina portoghese trovata nel web riguardante la fibromialgia e riadattata con pochissime modifiche alla mia situazione con ME/CFS

Non dimenticare.

Lentamente, un frammento alla volta, la memoria storica di questo paese, sbiadisce come una vecchia fotografia e la mistificazione dei fatti è ormai una prassi quotidiana. Discutevo oggi, con un altro “smemorato”, sulla fine del duce, appeso a testa in giù in Piazzale Loreto. È rimasto impresso nella memoria collettiva quel finale grottesco del regime fascista, ma sul perché scelsero di appendere Mussolini pubblicamente pare sia del tutto dimenticato. Condannare l’accanimento del branco sul cadavere di Mussolini mi sembra scontato, ma la motivazione (giusta o sbagliata che sia) che spinse la folla ad appendere il duce non andrebbe mai dimenticata. Solo tra l’8 settembre 1943 e il 25 aprile 1945, migliaia di uomini, poco più che ragazzi, furono torturati, fucilati, impiccati (171 furono impiccati solo nell’eccidio di Bassano del Grappa) e lasciati insepolti per giorni e giorni sulle piazzette dei paesi di montagna, in mezzo ai boschi, agli angoli delle grandi città perché la gente vedesse e non osasse ribellarsi all’infamia dell’occupazione nazista e delle violenze sanguinose dei fascisti.
Le persone passavano a fianco a quei cadaveri appesi ai lampioni e guardavano dall’altra parte. Facevano finta di non vedere per paura, per indifferenza o semplicemente perché approvavano l’operato dei fascisti. Oggi, è molto più facile guardare altrove, perché questa memoria storica è pressoché sparita. E per chi ama sottolineare che molti partigiani erano “banditi”, ribadisco un concetto semplicismo: potete dipingere TUTTI i partigiani come criminali e TUTTI i repubblichini come bravi ragazzi, ma non avrò mai alcun dubbio da che parte stare. C’è chi combatteva dalla parte giusta e chi dalla parte sbagliata. C’è chi liberò l’Italia dal nazifascismo e chi giurò fedeltà ad Adolf Hitler. Chi non riconosce l’impronta fondamentale della Resistenza Italiana nella nostra libertà odierna, ripercorre le orme di quei passanti che superavano i cadaveri impiccati nelle piazze e nelle strade, senza (voler) accorgersi di nulla.

(da un profilo Facebook condiviso da un ex-collega di lavoro , nel periodo in cui ero precario, e dal quale seppi del concorso che mi diede il lavoro di tecnico informatico che avevo sempre sognato – e che ora non ho più).