dal magazine del “Corriere”
Nel grande salone della Stazione Centrale di Milano non funziona neanche un orologio. Parte degli ambienti è imballata da tendoni e transenne. Su tutto spicca un gigantesco cartellone di pubblicità del film La mummia. I lavori sono in corso dal 2005 (costo previsto 120 milioni di euro). Gruppi di viaggiatori, molti gli stranieri, si aggirano cercando l’uscita giusta per la metropolitana, i taxi, il pullman per Malpensa. Ai binari è in corso la solita caccia al tesoro per trovare una macchinetta obliteratrice che funzioni. Non è il massimo come accoglienza nella futura città dell’Expo. Ma prestissimo, assicurano le Ferrovie dello Stato e Grandistazioni, Milano centrale diventerà la porta d’accesso alla “nuova frontiera del viaggiare”. Dal 13 dicembre, tra 66 giorni, come le Fs annunciano da mesi con i due totem del conto alla rovescia a Milano e a Bologna (e persino con email ai possessori di Cartaviaggio), per percorrere i 182 chilometri che tagliano la pianura padana basterà un’ora. Per arrivare a Roma ne occorreranno 3 e 40 minuti (3 ore e mezza per il no-stop), che si ridurrano a 3 alla fine del 2009. Ci sono voluti oltre 30 anni (e 45 milioni di euro a km) per concludere una vicenda iniziata a metà anni Ottanta, sotto la gestione di Ludovico Ligato, quando si costituisce la Sistav-Italferr Spa per creare infrastrutture per l’alta velocità. Nel 1991 nasce la Tav Spa (società pubblica al 40% e privata al 60%), per costruire otto tratte di AV con un investimento di oltre 26 miliardi di lire. È una storia molto italiana, questa, ricostruita nel marzo scorso in un’audizione al Senato dal presidente e dall’ad delle Ferrovie dello Stato Spa, Innocenzo Cipoletta e Mauro Moretti, fatta di costi che lievitano all’infinito, grazie al sistema dei general contractors (ovvero un concessionario committente che può trarre vantaggio dal fatto che i lavori siano più lenti e costosi possibile), varianti, compensazioni alle amministrazione locali, milioni di euro che si trasformano in debito pubblico. «Credo che se nel 1991 ci avessero detto che l’alta velocità andava realizzata tutta con denaro pubblico, ci avremmo riflettuto bene», commentò un senatore. Ma tant’è. Tra un paio di mesi per i 16.335 chilometri delle ferrovie italiane (di cui 9.282 a binario unico) inizierà ufficialmente l’era della doppia velocità: quella alta, tra Milano e Napoli, tratta su cui attualmente si concentra il 45% dei passeggeri, e quella bassa, che riguarda principalmente i due milioni di pendolari. Realtà che corrono parallele su binari, è il caso di dirlo, che non si incrociano mai.
Con la liberalizzazione ferroviaria in Europa del 2010 e l’imminente arrivo dei privati (vedi pag. 53) cambieranno le abitudini dei viaggiatori. È già successo nei paesi europei che hanno investito sul trasporto di uomini e merci su rotaia: secondo la Uic (Unione internazionale ferrovie, l’organismo internazionale che riunisce le aziende ferroviarie del mondo) in Francia dal 1995 al 2006 l’aumento dei passeggeri è stato del 42%, in Spagna del 32, in Germania del 23. I confronti tra noi e il resto del mondo sono impietosi. Berlino ha un servizio ferroviario suburbano dal 1930 con una rete per l’area metropolitana di 3000 km. A Francoforte è di 1500, a Parigi di 1400, contro i 188 di Roma dove da vent’anni si discute di anello ferroviario e i 180 di Milano dove il Passante, iniziato nel 1984, non è ancora finito. La Ue punta sulla rotaia. E alcuni paesi si attrezzano: il trasporto di merci su ferrovia in Germania tra il ’95 e il 2006 è aumentato del 30%, da noi, dove si continuano a costruire autostrade come la Mantova-Cremona, è diminuito del 6% (mentre il grande genio del Governatore della Regione Veneto Galan non pensa mai alla ferrovia quando si parla della A4 intasata di TIR, ma di una eventuale quarta corsia, ma tanto è stravotato e adorato dai veneti e dalle venete! , ndR) . Ma cosa deve aspettarsi il viaggiatore in Italia dal 13 dicembre, dopo il grande concerto rock previsto per l’inaugurazione della nuova Centrale di Milano? Le incognite sono ancora molte e fino al 30 ottobre, data della conferenza stampa annunciata da Trenitalia, resteranno tali. Innanzitutto i prezzi. I nostri, nonostante gli aumenti (un Eurostar Milano-Roma in II classe costa 59 euro, nel 2001 ne costava 46,48), le tariffe, soprattutto dei treni tradizionali, restano basse, frutto della logica: «paghi poco, pretendi meno». Moretti ha detto che aumenti ci saranno, a partire dalla tratta Milano- Bologna, «anche se non al livello di Francia e Germania», e che l’alta velocità «deve essere un servizio di massa», smentendo una previsione dell’Economist: «L’AV è il modo futuro di viaggiare dei ricchi europei, mentre i poveri useranno i voli low-cost con livelli di comfort molto inferiori ». Certo, si pagherà di più: se ne sono accorti gli abbonati della tratta AV Napoli-Roma, già attiva, che hanno iniziato a utilizzarla con l’abbonamento Intercity di 160 euro (in seconda) più coupon da 2 euro a viaggio, salvo scoprire dopo poco che era salito a 5.
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Il sistema sarà completato nel 2009 quando saranno terminate, secondo le previsioni, anche le firmatissime stazioni AV: Napoli Afragola (15 km dal centro della città) progettata da Zaha Hadid, Firenze Belfiore (Norman Foster e Ove Arup), Torino Porta Susa (Gruppo Arep), Roma Tiburtina (Paolo Desideri), Bologna (Arata Isozaki). A quel punto si capirà se le previsioni di Fs (incremento di passeggeri sulle tratte nobili, miglioramento del servizio per i pendolari grazie alla liberazione delle tratte) si avvereranno. I diretti interessati, i pendolari, ne dubitano. Uno dei rischi, segnalato dallo stesso Cipoletta al Senato, è che, liberate le tratte, manchino i treni. Come per la Milano-Lecco: binari finiti, dopo 30 anni di lavori, treni inesistenti. Mancano i soldi, paradosso per un’azienda che di denaro pubblico ne ha consumato a fiumi. Occorrono 6 miliardi e mezzo per l’acquisto degli attesi 1000 nuovi treni per i pendolari. E i nuovi Etr600 e 610 sono costosissimi. In compenso la Corte dei conti in maggio ha reso noto l’importo del trattamento di fine rapporto dell’ingenger Elio Catania: 8.535.089,69 euro, oltre due milioni in più rispetto alla liquidazione di 6 milioni e 7 che spettò a Giancarlo Cimoli quando lasciò Fs per Alitalia
Così sulle tratte dei pendolari circolano treni vecchi, sporchi, affollati fino all’inverosimile. E incredibilmente lenti. In Lombardia, dove la Regione (con il decreto Bassanini le competenze relative al trasporto ferroviario locale sono state trasferite dallo Stato alle Regioni che stipulano contratti con i concessionari, in primo luogo Trenitalia) ha già annunciato aumenti intorno al 10% per il 2009, arriva in ritardo un treno su tre. La stessa percentuale indicata dal Censis: un terzo dei treni parte e arriva in ritardo, in media di 16 minuti per spostamento. Su alcune tratte l’effetto lumaca è assicurato: Roma-Viterbo, un’ora e 50 minuti per 80 km, Trento-Venezia, più di 3 ore per 148 km, Terontola- Perugia tre quarti d’ora per 39 km. Poi ci sono i treni-incubo come il Mantova-Milano delle 5.25 capace di arrivare dopo oltre 2 ore e mezza di viaggio. Per non parlare delle tratte a sud di Napoli. Da Palermo a Trapani, 107 km di distanza, occorrono, se va bene, 2 ore e 20 minuti, ma ci sono treni che ci mettono anche 3 ore e mezza. Al netto dei ritardi, s’intende. Insieme alla sporcizia, l’affollamento delle carrozze, i ritardi sono l’incubo dei pendolari. Un’indagine di Legambiente basata su dati Censis (Pendolaria 2008) li ha fotografati. Quelli del treno sono tanti (2 milioni, su 13 di italiani che si spostano quotidianamente), in continuo, sebbene lento, aumento, spendono una media di 50 euro al mese, la maggioranza percorre tratte intorno ai 25 km, solo un 4% va da una regione all’altra. Impiegano in media 45 minuti per ogni tragitto. Ultimamente si sono organizzati: sognando la class action, alcuni gruppi pensano a cause per danno biologico, altri auspicano quello che i dirigenti Fs temono: l’arrivo, salvifico, dei tedeschi o dei francesi (ricorda qualcosa?). Ci sono comitati più istituzionali, come la battagliera associazione dei pendolari di Piacenza, che non disdegna consigli pratici (come, per chi va a Milano, di fare l’abbonamento da Pontenure: è più lontano ma costa meno, misteri del federalismo ferroviario), i pendolari di Terni, quelli di Bergamo. Qui le speranze di cambiamento non arrivano: prevale un rassegnato pessimismo. Mortificati dalla rete ferroviaria, cercano il riscatto (caustico) in rete. I più attivi sono Frenitalia, La Repubblica dei pendolari, Fratelli di Tav, Binario Morto, Ritarditalia, sottotitolo: «Tutti i ritardi dei treni minuto per minuto, con la collaborazione involontaria ma indispensabile di Trenitalia», tenuto da un perito informatico, che ha aggiornato le leggi di Murphy («Primo principio del pendolare: Se arrivi alla stazione in orario il treno è in ritardo. Se arrivi alla stazione in ritardo il treno è in orario»). A dispetto della volontà di ammodernamento le Fs restano, in effetti, una fonte di umorismo involontario: a volte memorabile, come lo spot che invitava a fare il biglietto per andare a trovare lo zio Pietro a Matera, città non raggiungibile in treno. O la vicenda surreale dei treni Vivalto in Liguria: acquistati per la linea tra Savona a Spezia, si fermano a Sestri Levante perché troppo alti per le gallerie. O quella dei cani con le pulci proporzionate al peso corporeo.
I treni italiani sono roba da iniziati. Gente che non si stupisce se sulla stessa tratta si possono pagare decine di tariffe differenti grazie a una classificazione di treni e di piani tariffari da mal di testa. Gente che sa che i ritardi si registrano non al momento dell’arrivo del treno al binario, ma nel cosiddetto «segnale di porta», punto che segna l’ingresso nell’area stazione, a un chilometro e mezzo dal binario: così i 15 minuti dichiarati diventano 20. Ne servono 25 sull’Eurostar per ottenere non un rimborso, bensì un bonus del 50% del prezzo del biglietto; con Intercity ed Eurocity, servono 30 minuti per un bonus del 30%; con Espresso ed Intercity notte, per un ritardo di un’ora il bonus è del 30%.
Vallo a spiegare a uno straniero: forse per questo il modulo per i rimborsi è solo in italiano, anzi in “trenitaliano”, la lingua in cui il controllore si chiama personale viaggiante, i treni materiale rotabile e i passeggeri che salgono sul treno l’incarrozzamento. Non è stata un’estate facile per Trenitalia: due incidenti su Eurostar in una settimana a Milano, viaggiatori attaccati da zecche e pulci, la protesta dei passeggeri dell’Eurostar Lecce-Milano per 7 ore di ritardo. Ma l’autunno sembra promettere bene, complice anche la crisi Alitalia che ha provocato il travaso di passeggeri su Trenitalia. A Natale, con il nuovo orario, potrebbe fare il pieno. Peccato che chiamando il call center 892021 vi sentirete rispondere che ancora non si possono acquistare. «Riprovi più avanti, magari in novembre».
Stefania Ulivi