La scomparsa dell’individuo ci minaccia

da un editoriale del “Mattino di Padova” del 26 luglio 2016

Alla fine di ogni tentativo di spiegazione dei fenomeni c’è lui, violento o pacifico, solare oppure enigmatico, talvolta sublime talaltra illeggibile, ma pur sempre titolare di precise responsabilità, che non può trasferire sulle spalle del suo prossimo. L’individuo. Appesantito dai suoi gravami, dalle sue frustrazioni, dal suo male di esserci, sempre più tiepidamente registrato dai radar di coloro che vanno di corsa, chissà dove. Poi succede qualcosa e cominciano le analisi, ma quelle politiche e sociologiche ignorano l’individuo, lo tengono sullo sfondo fino a considerarlo un semplice accessorio. Prese come sono dai grossi calibri, che fanno audience, si illudono di potere fare a meno di lui.

Piacciono gli scenari planetari, i contesti continentali, i movimenti delle grandi masse. Fondamentali, senza dubbio alcuno, tuttavia il terminale di ogni progetto rimane lui, l’individuo, sulle cui spalle finiscono per agire le fragilità personali e le intenzioni malevole di chi tiene in mano la trama del romanzo, facendo di lui una munizione, micidiale ma inafferrabile. Troppo piccola al cospetto delle pinze macroscopiche degli analisti e dei politologi.

Eppure è lui la misura di tutto, proprio i malintenzionati ne sono maggiormente consapevoli, oramai edotti su vantaggi e complicità che possono reperire nelle pieghe della vita di tutti i giorni, in quella normalità, presunta o reale, che permette al killer di camuffarsi fino a un attimo prima di liberare l’arsenale, fatto anche di armi improprie, come un camion o un’accetta, sorprendendoci. Oggetti che passano facilmente i cancelli dei guardiani, così poco abituati a frugare nei cestini dell’ordinario. Costoro dimenticano che fu un individuo, frustrato da una vita grigia e stagnante, ad accendere la miccia della seconda guerra mondiale.

Le ultime azioni di violenza perpetrate da persone singole oppure da nuclei molto ristretti, ci dicono che la benzina arriva spesso da biografie individuali tormentate, a cui fattori ideologico-religiosi possono fornire un pretesto nobilitante, un finalismo epico. Lo stesso pretesto, tuttavia, faticherebbe a trovare soldati da arruolare se non vi fossero singoli uomini, sufficientemente disperati da decidere che può valere la pena passare dal niente al tutto, anche a costo di immolarsi, lasciando tracce di sé in un mondo che mai avrebbe registrato quelle presenze, condannate ad accomodarsi all’uscita, in assoluto silenzio.

Questo è il punto, per noi occidentali, capire finalmente che società troppo asimmetriche, come accade nei circuiti elettrici a forte differenza di potenziale, saranno incubatori di orrori sempre più sofisticati, proprio perché non abbisognano di armi tradizionali, bastano gli oggetti di uso comune, resi micidiali dall’odio verso chi il suo posto nella vita pare averlo trovato.

Un autorevole politico sostiene che avrebbe dovuto essere la famiglia a fare prevenzione, nel caso dell’omicida di Monaco. Già, ma forse sarebbe meglio domandarsi chi dovrebbe incrementare le competenze di quelle famiglie, considerato che il concetto di welfare sembra una romantica vestigia del passato. Di risorse economiche per riscattare chi non ne possiede di culturali, di morali e di materiali ce ne saranno sempre meno, mentre è sicuro che, specularmente, la violenza aumenterà perché le anime nere del fondamentalismo islamico troveranno manovalanza da esaltare a buon mercato. Bisogna ripensare il rapporto delle istituzioni con la persona, che di esse è la ragione, se vogliamo coltivare qualche speranza di lasciarci alle spalle questo medioevo montante, a meno che non si voglia risolvere il problema incollando un poliziotto ad ogni cittadino.

Si notano interessi complementari tra registi che odiano, in modo aspecifico, tutto ciò che non possono controllare, e individui che la vita aveva messo all’angolo, per mille ragioni. Il ragazzino di Monaco, prima di essere abbattuto, così come il diciassettenne accettatore del treno di Wurzburg, anch’esso perito, si sono messi a urlare la loro rabbia contro il mondo, feriti dall’insignificanza, dal timore di essere niente, lo stesso che mina le sicurezze di ciascuno di noi, nessuno escluso.

I registi rimarrebbero privi di comparse se non avessero scoperto questa nuova benzina, il disagio socio-culturale di persone respinte che, a loro volta, odiano ciò che incrementa i loro sentimenti di inadeguatezza e si consegnano al migliore offerente. Piuttosto che perdere faccio perdere gli altri, tutti coloro che non mi vollero riconoscere. Un ‘tutti’ impersonale, che può contenere persino correligionari che si mischiano agli infedeli, responsabili dell’emarginazione, condividendone i vizi e la gioia di vivere. Il camion assassino di Nizza, al pari dei camion a gas nazisti, si è cimentato in una strage senza capo né coda, spezzando anche vite di piccoli musulmani, a riprova che in questo inferno la logica e la ragione sono andate in quiescenza.

Dal niente al tutto, dicevamo, un’aspirazione che i maestri della radicalizzazione rapida conoscono a meraviglia. Ne individuano i portatori, affondano la lama nel ventre molle delle fragilità, forniscono una risposta semplice al loro stato di emarginazione, presentano (a modo loro) quello che sarà il bersaglio, quindi aspettano che le circostanze siano propizie perché sanno che l’allievo agirà.

Gli eventi di Nizza, più che quelli di Monaco di Baviera, aprono uno scenario del tutto nuovo, perché nella normalità è complicato trovare nessi che consentano di anticipatore il comportamento lesivo dell’impiegato quasi senza macchia o del ragazzino non troppo diverso dai nostri, che sorride cordiale ai vicini. Come in un romanzo di Philip Dick, niente è come appare, l’alieno sembra umano e viceversa, la sorpresa potrebbe giungere in qualsiasi istante.

Qualcuno, con qualche grado di faciloneria, parla di servizi di intelligence presi in contropiede, ma è ingiusto biasimare giacché esplorare la normalità in ogni istante è semplicemente illusorio. Monitorare le intenzioni di un guscio chiuso è impensabile, almeno allo stato dei fatti. Bisogna pensare e spendere nella direzione giusta, quella della redistribuzione e del riscatto sociale, lasciandosi alle spalle l’ossessione del benessere per pochi, alleato fedele della violenza

La folle strategia degli uomini soli al comando

Da un post di Mirko Pagliai su Facebook (https://www.facebook.com/mirko.pagliai/posts/10207767989944765)

Fai un partito verticistico, dove comandi soltanto tu. Chi ti contraddice va a casa, chi venendo annullato politicamente, chi persino tramite linciaggio («Enrico stai sereno», «Fassina chi?»).
Con la scusa della rottamazione del vecchio, fai fuori la vecchia classe dirigente del PCI e fai rientrare la vecchia classe dirigente della DC.

Gli iscritti passano da 540.000 nel 2013 a meno di 100.000 nel 2016, ma chi se ne frega, tanto contano i fan su Fb e i follower su Twitter, mica i circoli sui territori.

Chiudi con la sinistra, perché secondo te Verdini e Alfano sono interlocutori più affidabili per fare le riforme. Fai muro a prescindere al M5S, affondando proposte che sono le stesse che poi dirai di voler realizzare con il referendum.

Fai un’alleanza mal vista con Berlusconi (il patto del Nazareno), ma il bello è che freghi pure lui e poi lo scarichi non appena non ti serve più. Chiaramente quello se la segna, ma chi se ne frega, eh?

Fai un’alleanza con M5S e tutta la destra per far cadere il sindaco di Roma, così, senza motivo, solo perché ormai ti sta poco simpatico. Poi il M5S frega te, ma vabbè, tanto è solo Roma.

Proponi un referendum con l’obiettivo di rimanere l’unico soggetto sulla scena politica: per annientare le minoranze del Pd, la sinistra, il M5S, Salvini, Berlusconi, Meloni. Tutti. Sogni un parlamento dove vota un’unica persona, che si chiama Matteo Renzi.

Chiaramente, a quel punto, quei “tutti” ti si metteranno contro: ma dirai che si sono coalizzati loro, non che tu hai dichiarato guerra a tutti.

Fai una campagna referendaria con toni apocalittici: se non mi fate contento, finisce il mondo. Spacchi il paese, raccontando che chi sta con te lo vuole salvare, gli altri lo vogliono distruggere. E perdi.

«Adesso tenetevi Grillo, Salvini e la Meloni!!!». Ma che, fate davvero?

Lo sterminio dei bimbi di oggi è la giornata della Memoria

Il Talmud, libro importante per gli ebrei, dice che “Il mondo si regge sul respiro dei bambini”. “Perché?”, ha chiesto un bambino ebreo alla nonna. “Perché i bambini, ha risposto la nonna, vivono in eterno per interrogarci sul passato, che ci tormenta senza pace”. La risposta mi fa passare la “Giornata della Memoria” in modo non tradizionale. Le domande dei bambini di oggi, in un clima di Terza Guerra Mondiale, mi spostano l’obiettivo e non torno ai campi di concentramento di 70 anni fa, ma allo sterminio dei bambini di oggi. Non si vuole che la storia sia maestra di vita. Non riesco a pensare alla guerra senza una possibilità della pace. Perché ho fiducia nell’intelligenza della persone. Ama la guerra chi non l’ha mai vista in faccia, diceva Erasmo da Rotterdam. E oggi la vedono in faccia milioni di persone di ogni età, vittime di un sistema economico-politico che fabbrica armi, le vende, le fa comprare, sollecita l’uso della violenza armata. Papa Francesco domanda: Come è possibile che perduri la sopraffazione dell’uomo sull’uomo, che l’arroganza del più forte continui ad umiliare il più debole. Fino a quando la malvagità umana seminerà sulla terra violenza e odio, provocando vittime innocenti? Risponde Alex Zanotelli, frate comboniano, acceso difensore dei poveri: “Quello del papa è un grido di dolore che pone l’accento sulla profonda ingiustizia in questo mondo, quella economico-finanziaria, che permette al 20% del mondo di consumare da solo il 90% di beni prodotti sul nostro pianeta. Il peccato centrale del mondo è questo: che tre/quattro miliardi di persone siano costrette a vivere con due euri al giorno, che un miliardo siano affamati e un altro miliardo obesi, che muoiano per fame dai trenta ai cinquanta milioni di persone all’anno. Per mantenere questo sistema così profondamente ingiusto si ricorre alla guerra e si spendono ogni giorno cinque miliardi di dollari in armi. L’Italia da sola spende 80 milioni di euri. E allora: Maledetti voi che costruite le armi, dice papa Francesco. Dunque, conclude Zanotelli, coloro che fanno le guerre sono maledetti. Se la soluzione del problema sta in una più equa divisione dei beni, che fare? Le marce della pace – sottolinea Alex Zanotelli – non incidono efficacemente sul sistema criminale che produce la guerra. Della pace si parla, ma non si fa. Dobbiamo affrontare il problema alla radice. Più in profondità, don Gino Rigoldi, il noto prete di strada, aggiunge: Bisogna entrare nel politico per impedire il peccato originale. Oso dire che, per un cristiano, assumere la politica dei diritti è un dovere morale e non una iniziativa discutibile. Solo così la cultura non sarà condizionata dagli affari. Il cristiano è chiamato a dare una risposta cristallina alla domanda di Alex Zanotelli: Da che parte stai? La mia lettura della realtà si spiega perché ho scelto di stare dalla parte dei poveri. Se stai anche tu dalla parte del sistema, che uccide, è inutile che tu pianga per le vittime”. E cristallino è il pianto a Lampedusa di Papa Francesco, che di recente ha invitato credenti e non credenti a “uscire fuori dalla globalizzazione dell’indifferenza”, a sentire sulla nostra pelle la sofferenza degli altri, ad entrare nelle periferie del mondo. Perché è nelle periferie che si costruisce la pace. Suggeriamo un rimedio. Tutti i cristiani e le istituzioni che si ispirano al Vangelo di Gesù, tolgano i propri depositi e i propri risparmi dalle banche che sovvenzionano la fabbrica di armi. Avremmo miliardi spesi bene. Dice la Bibbia: “Il piccolo diventerà un migliaio e il minimo un immenso popolo” (Is 60, 22)

“Solo per giustizia”, di Raffaele Cantone

Sono riuscito – grazie ai vari viaggi in treno  che mi danno tempo libero per riposare e per leggere – a terminare in soli quattro mesi questo libro di poco piu’ di 300 pagine scritto dal magistrato antimafia Raffaele Cantone. Già in passato vi ho citato un passo che quasi sembrava raccontare un momento importante della mia vita – quello del concorso di categoria D. Ora che ho terminato questo libro posso confermarvi che è semplicemente appassionante, bello, e insegna un sacco di cose.

Un buon libro è come un buon amico.

Mi sono segnato i passi più interessanti per poterli condividere con voi , ma davvero sono tanti; da una descrizione semplice di come funziona il Csm, il Consiglio Superiore della Magistratura, con tutte le varie correnti, al rapporto con la sua famiglia ed i figli – lui che ha vissuto per anni sotto scorta per le minacce alla sua vita , ai racconti di tante e tante indagini. al ruolo che hanno avuto due leggi approvate dal governo Berlusconi (la ex Cirielli e la legge “del giusto processo”) nel dare una mano ai camorristi per fare in modo che i pentiti e i collaboratori di giustizia ritrattassero le loro accuse , alle soddisfazioni per i risultati ottenuti e altrettante volte lo sconforto per il lavoro reso inutile dai tempi troppo lunghi delle indagini.Nel libro si parla anche di Roberto Saviano – che ha spinto l’autore a scrivere questo libro e pure delle infiltrazioni della camorra a Parma , proprio mentre poche settimane fa si è consumato uno scontro tra l’autore del libro Gomorra (che non ho letto) ed il prefetto di Parma.

Un libro quindi scritto alcuni mesi fa ma che è e sempre sarà di attualità perchè racconta il mondo che ci circonda, nel bene e nel male, e dà anche un sacco di messaggi positivi , scritto da una persona che rischia la vita tutti i giorni e che non è un eroe ma si sente una persona qualunque (non è vero, in realtà, perché io non riuscirei mai a fare quello che fa lui).

Non posso citare per ovvi motivi di coyright tutte le parti del libro che vorrei condividere con voi (e questo per consigliarvi di acquistarlo e leggerlo) , ma ne cito alcune: “Il campo che mi incuriosiva di più era quello dei processi per bancarotta. Guardavo con una sorta di sinistra fascinazione come quello che doveva apparire l’inevitabile disastro di un’azienda nascondesse a volte vere e proprie truffe e come spesso il fallimento fosse un modo per acquisre denaro e merci da reinvestire subito in altre attività imprenditoriali. Con sconcertante frequenza, poi, dietro tutto ciò era possibile intravedere l’interess delle criminalità organizzata , pronta a sfruttare anche queste occasioni per arricchirsi ulteriormente”. [..] Nel libro si racconta anche come la camorra utilizzasse ogni mezzo, come quotidiani e tv locali di persone conniventi per screditare la sua persona, parlando di presunti scandali (mi viene in mente l’opera quotidiana del “Giornale” di Berlusconi ) che avrebbe riguardato la persona di questo magistrato, e addirittura un parlamentare di AN che sulla base di questi articoli aveva chiesto addirittura un’interrogazione parlamentare. Il tutto falso, ma utilissimo per evitare che eventuali collaboratori di giustizia potessero fare affidamento su quel magistrato della Direzione distrettuale antimafia (pgg. 104 e seguenti) (“La calunnia è un venticello che passa, ma qualcosa lascia” – dice un detto popolare.[…] Perchè si può distruggere un uomo, annientarlo, senza nemmeno torcergli un capello, E paradossalmente è molto difficile che ciò accada quando si uccide veramente . Credo sia questa la ragione perchè anche ne momenti di maggior pericolo per la mia vita non mi sono mai sentito così in affanno , così impotente, così annichilito come in quei giorni”).

Nel libro, un libro scritto prima delle gravi limitazioni all’uso delle intercettazioni come strumento di indagine effettuate dall’attuale governo Berlusconi (ha poco da dire Fini che sempre vuole smarcarsi dall’amico alleato di cui vota compatto tutte le leggi , che per i reati di mafia si potranno fare le intercettazioni – come si fa a stabilire prima di effettuare l’intercettazione se il reato in oggetto è di tipo mafioso o meno ? o che la persona da intercettare sia un insospettabile o un mafioso ?) , l’autore non si stanca mai di ripetere l’importanza strategica , fondamentale, delle intercettazioni per la soluzine di innumerevoli reati (“Per catturare il boss Fabbrocino erano state addirittura sottoposte a intercettazione numerose cabine telefoniche sull’autostrada, perché per contattarlo le cambiavano ogni volta in modo imprevedibile e casuale.”, pg. 139).

Un libro che parla di un magistrato che prima di tutto è un uomo, con poche certezze e molti dubbi, soprattutto nel ruolo di pm che può pronunciare una sentenza di condanna (“Il terzo killer era invece l’imputato più gravemente incriminato ed è stato anche il primo in assoluto per il quale io abbia chiesto l’ergastolo. Quando, alla fine della mia prima requisitoria , pronunciai quella parola che pure in seguito non sarebbe mai uscita dalle mie labbra con leggerezza, mi tremò la voce “, pg. 149).

Dopo aver visto i reati perpetrati dai poliziotti (tutti di Napoli, tra l’altro) del G8 di Genova , non mi sono stupito di leggere cose tipo “Malgrado [..] avessi già avuto a che fare con comportamenti illeciti anche gravi da parte di appartenenti alle forze dell’ordine , queste connivenze e complicità con la camorra mi sconcertarono non poco . Facevo fatica a credere che un uomo che ha scelto di vestire la divisa potesse svenderla in tal modo, e ancora oaggi mi sembra impossibile considerarla alla stregua di una comune corruzione e non piuttosto di una storia di intelligenza con il nemico.”, pg. 156. “La riforma del giusto processo – votata quasi all’unanimità  – e salutata da tutti come un’importante conquista di un principio di civiltà. non c’è dubbio che lo sia. Ma quali effetti potesse avere in una terra di mafia dove i principi di civiltà sono annullati dall’altra parte , era purtroppo facilmente prevedibile. [..] Quante volte in n processo i testi hanno finito per negare tutto quel che avevano dichiarato in precedenza e quante volte questo ha poi portato all’assoluzione dei presunti colpevoli ? La camorra sapeva che bastava intimidire i testimoni, e lo faeva ogni volta che poteva. Un imprenditore di quelle zone mi disse:” sino a oggi, chi rendeva dichiarazioni alla polizia, poteva dire ai camorristi che era stato minacciato o comunque intimidito dalle forze dell’ordine. Poi, in dibattimento, poteva anche negare, tanto sapeva che non sarebbe servito a invalidare le sue precedenti dichiarazioni. E questo bastava per metterlo al riparo. Invece adesso i camorristi sanno che basta farci ritrattare in dibattimento per averla vinta”. Possibile che nessun parlamentare ci abbia mai pensato ?

Ci sono ancora una decina di passi che davvero vorrei citare perché ancora tanto importanti a mio parere quanto quelli che vi ho scritto, ma non vorrei davvero citare troppi pezzi del libro – è vietato, come sapete. Se avrò  trasmesso in voi la curiosità e l’accrescimento etico e culturale che a me questo libro ha dato, sarò riuscito nel mio scopo. Buona lettura.


Il paese arretrato: assistenti sociali alla riscossa. Tolto alla madre perchè iscritto a Rifondazione

da “Repubblica” di oggi

Gli dicono che somiglia a Scamarcio, l’attore. A sedici anni, fa piacere. Ma ha promesso che oggi si taglia i capelli arruffati e magari non lo bollano più come comunista. Circolo Tienanmen, tessera dei Giovani comunisti, trovata dal padre, fotocopiata dai servizi sociali, allegata all’ordinanza del Tribunale di Catania, prima sezione civile, per dimostrare nella causa di affido che la madre non sa badare all’educazione del ragazzo il quale ha “la tessera d’iscrizione a un gruppo di estremisti”.

Quindi, M. P. – che preferisce non essere citato con il suo nome, visto che lui, ragazzo esuberante, lo conoscono un po’ tutti a Catania – è stato di fatto accusato di essere comunista rifondarolo, uno che frequenta “luoghi di ritrovo giovanili dove è diffuso l’uso di sostanze alcoliche e psicotrope”, dove cioè c’è il sospetto che si bevano birre e si fumino spinelli. Nel giudizio degli assistenti sociali, le cose stanno pure peggio perché i comunisti sono “estremisti, il segretario del circolo è un maggiorenne che pare abbia provveduto a convincere all’iscrizione e all’attivismo altri ragazzi”, tra cui l’amico del cuore del sedicenne, anche lui una testa matta che lo trascina nella vita “senza regole”. Non è l’unica ragione, ovvio, per far pendere la bilancia della contesa sull’affido dalla parte paterna, ma la militanza comunista è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. M. P. è stato tolto alla madre e ora assegnato al padre, insieme al fratello più piccolo.

Tra un uomo e una donna, dopo una travagliata separazione, la resa dei conti si scarica spesso sui figli. Cose che succedono, non dovrebbero. La ragione, si sa, non sta mai da una parte sola. Però a Catania, ora ci si è messa di mezzo la politica. Mai infatti i comunisti, rifondaroli o del Pdci, si erano sentiti citati in un tribunale come pericolosi, estremisti, prova provata e sintomo di devianza giovanile. “Fino a ieri si chiamava militanza, e Rifondazione era il partito del presidente della Camera, Fausto Bertinotti; la sinistra comunista aveva due ministri nel governo Prodi”, si sfoga Orazio Licandro, responsabile dell’organizzazione del Pdci. Nel partito di Diliberto hanno suonato l’allarme: comincia così la caccia alle streghe, usando in una storia delicata e complessa di affido familiare lo spauracchio dei comunisti, “è l’anticamera della messa al bando, siamo ormai extraparlamentari e anche pericolosi. Non è fascismo? Poco ci manca”. Elencati nel dossier del tribunale infatti ci sono la tessera, con il costo dell’adesione, il faccione di Che Guevara e la fede nella rivoluzione riassunta nella frase “No soy un libertador, los libertadores existen, son los pueblos quienes se liberan”. (nota mia: la citazione è sbagliata. Quella corretta è :No soy un libertador. Los libertadores no existen. Son los pueblos quieneas se liberan  a si mismos.)

C’è inoltre la parodia di una canzone dei Finley “Adrenalina”, ode alla cocaina, riferimenti che mandano in tilt un padre come una madre. Mamma Agata, medico ospedaliero, è disorientata. Il Tribunale la obbliga intanto a versare 200 euro al mese al marito per il mantenimento dei figli, a lasciare la casa nel comune etneo dove la famiglia risiedeva. Nel più pessimista dei suoi incubi, racconta, si aspettava un affido condiviso. L’Istat calcola che ormai in Italia i figli bipartisan del divorzio stanno crescendo fin quasi a diventare sette su dieci. Dev’essere la storia di un’altra Italia, non cose che capitano qua, da queste parti a Catania, taglia corto Agata. Non è disposta a riconoscere argomenti e legittimità delle richieste paterne, che invece ci sono. E il figlio? “Va al mare e studia, ha avuto tre debiti al penultimo anno del classico – greco, latino e filosofia – d’altra parte come può essere sereno con questa guerra in atto?”.

Non facile certo, spiegare a M. P. che le difficoltà della vita per alcuni, per lui ad esempio, si sono presentate in anticipo. Capita, ma s’impara prima. Difficile a quanto pare, far comprendere al padre che, come scriveva Freud, l’adolescenza è una malattia grave ma per fortuna si guarisce. L’avvocato della madre Mario Giarrusso assicura che tenterà altri approcci, mediazioni, soluzioni. I comunisti denunciano il clima da “anticamera della messa al bando” che si respira nell’isola. M. ha progetti bellicosi per l’autunno, ma tutti davvero poco preoccupanti: una band con gli amici dove lui vuole suonare il basso e la chitarra, la militanza politica, il teatro grande passione. “Con il suo gruppo ha vinto anche un premio”, s’inorgoglisce la dottoressa Agata. Nelle relazioni dei servizi sociali e nell’ordinanza del tribunale le si rimprovera di avere nascosto al marito che il ragazzo ha avuto una “irregolare frequenza scolastica”, di avere dato il suo beneplacito a “mancati rientri a casa”, oltre a una serie di leggerezze anche verso l’altro fratellino (la figlia più grande è maggiorenne). Ma mai si sarebbe aspettata di trovarsi sotto accusa per le idee del figlio.

Spainsat non serve solo a questo , ma…

La fonte è tutt’altro che attendibile (“Il Giornale“), ma l’articolo mi sembra interessante.

A 36mila chilometri di altezza sulla penisola iberica, dove nessun sin papel lo possa vedere o anche solamente immaginare. Lì il ministero della Difesa spagnolo ha piazzato «Spainsat», un satellite «spia» di quasi quattro tonnellate di peso che diventerà presto il centro di coordinamento del già avanzatissimo sistema spagnolo per la lotta all’immigrazione clandestina.
Secondo El País il gioiello tecnologico alla corona della intelligenza iberica entrerà in funzione prima della fine di quest’anno, garantendo a Zapatero un nuovo strumento per la sua politica di serrato controllo dell’immigrazione clandestina oltre che del traffico di droga.
Una volta acceso, «Spainsat» diventerà una specie di messaggero zelante in grado di mettere in collegamento tutte le forze impegnate nella lotta all’immigrazione. Il satellite sarà infatti il cuore di una rete cifrata chiamata Sea Horse Network alla quale parteciperanno anche altri quattro Paesi direttamente interessati dal fenomeno immigrazione: Capo Verde, Senegal, Mauritania e Portogallo. La base di controllo è stata fissata nelle isole Canarie, a Las Palmas. A lei si affiancheranno due centri in Mauritania, uno in Senegal, uno a Capo Verde ed uno a Lisbona. Secondo fonti del ministero della Difesa non è stato possibile aprire basi anche in Marocco perché il Governo marocchino non ha voluto partecipare al progetto.
A Las Palmas – ma è previsto un centro di emergenza a Madrid – arriveranno anche tutte le informazioni trasmesse dagli agenti segreti del Cni sparsi per l’Africa e quelle inviate dalla cosiddetta barriera elettronica Sive. Il Sistema Integrato di Vigilanza Esterna è uno dei più avanzati dispositivi di monitoraggio esistenti al mondo ed è in uso in Spagna dal 2001. Il sistema impiega telecamere ad alta definizione affiancate a dispositivi all’infrarosso, sensori acustici e radar capaci di individuare una barca di legno a 20 chilometri di distanza, un gommone a 34 o una nave da trasporto a 130.
Dopo averlo provato per la prima volta sullo stretto di Gibilterra ed aver visto i risultati, la Spagna ha seminato le sue coste meridionali e quelle orientali delle Isole Canarie con questi dispositivi tanto che oggi sono almeno 30 i punti Sive attivi ed il Governo sta pensando di aumentarne presto il numero. Ai punti fissi si sono poi affiancati quelli montati sulle motovedette e sui furgoni della Guardia Civil che si muovono lungo le coste quando è necessario.
Con l’arrivo di Spainsat tutti gli sforzi dovrebbero essere allo stesso tempo facilitati e coordinati in totale segretezza. L’idea è che se una patera – così si chiamano in spagnolo le carrette del mare – parte dalle coste del Senegal o della Guinea Bissau, l’allarme venga già lanciato dagli agenti segreti presenti sul posto o quando la barca sospetta passa vicino a Capo Verde. In questo modo le motovedette della Marina possono andare incontro alla barca prima ancora che questa raggiunga le Canarie. Lo stesso discorso è valido per le carrette del mare che partono dal Marocco e che devono essere individuate in tempi ancora minori per impedire che arrivino sulle coste dell’Andalusia o di Murcia.
Entro quest’anno, il governo Zapatero potrà quindi contare su un alleato in orbita per continuare ad applicare la mano dura che iniziò ad usare contro gli immigrati illegali nel 2005. Nel settembre di quell’anno a Ceuta e Melilla – le due enclave spagnole sulle coste del Marocco – migliaia di clandestini provarono a scavalcare le recinzioni per entrare in territorio spagnolo.

Morirono vari immigrati durante gli assalti che terminarono solo quando Zapatero utilizzò l’esercito ed alzò le barriere sino a sei metri. Da allora la Spagna è stata sommersa dagli arrivi via mare (quasi 2.000 imbarcazioni nel 2006 e 2007) a cui il Governo ha risposto con un serrato controllo e con una politica di espulsioni che ha già rispedito al mittente circa 370.000 extracomunitari in quattro anni.

p.s. L’ultimo scoop che ho avuto il fegato di leggere su “Il Giornale” riguardava la falsa laurea di Di Pietro, poi risultata vera. Il parlamentare però è dovuto scendere in piazza per mostrarne una fotocopia, per essere creduto. Potenza dei media (e creduloneria di troppa gente).

Viva Zapatero

La locandina
E’ il nome del bellissimo documentario che ho visto ieri pomeriggio al Cinema Edera di Treviso , al prezzo scontato di 4,50 euro dato che era mercoledì. Non ho fatto che bestemmiare all’andata e al ritorno, in macchina, per percorrere i 52 km da Padova Ovest al cinema : all’andata per evitare il caos che ci accompagnerà per almeno una settimana a Padova Est per l’apertura dell’Ikea (grazie Forza Italia ed in particolare alla intelligente donna che ha guidato il Comune negli scorsi 5 anni), all’andata sono passato per Pontevigodarzere e la miriade di strade statali e provinciali costruite al tempo degli antichi romani , tra cardi e decumani, la splendida Noale, il tutto in soli 1 ora e 40 minuti alle 15.40 del pomeriggio !
Ma torniamo al documentario, che parla della soppressione della trasmissione RaiOt di Sabrina Guzzanti; un documentario alla Michael Moore, che punta il dito non sono sul governo An-Lega-Forza Italia (l’Italia, secondo l’associazione indipendente Freedom House, è passata dal 40 esimo al 77 esimo posto per la libertà di stampa e di informazione). Durante la sua visita a Sofia , Berlusconi pronunciò il famoso “editto di Sofia” contro Biagi, Luttazzi , Santoro e Freccero. Tutti cacciati dalla RAI e mai più tornati.
La scusa per bloccare la trasmissione satirica della Guzzanti l’ha data guarda caso Mediaset con una querela alla RAI per svariati milioni di Euro. La RAI per “tutelarsi” (“allora se uno querela il tg1 cosa facciamo, lo chudiamo per tutelarci in attesa della sentenza del giudice ?” – diceva ironicamente ieri la Guzzanti) ha così deciso di sospendere la trasmissione. Il giudice ha dato ragione alla Guzzanti , non solo confermando che essendo la trasmissione satirica non poteva essere querelata, ma soprattutto perchè “i fatti riferiti erano veri”.
Nel documentario si parla anche di Petruccioli dei Ds, che non ha difeso in nessun modo il programma, e che anzi è su posizioni coincidenti con il centrodestra (ma a nessuno dei lettori del blog è saltata la pulce all’orecchio notando l’assonanza d’Alema-Alemanno ?). Cosa risaputa. Quand’era al governo l’Ulivo non ha fatto una legge contro il conflitto d’interessi e l’eccessiva concentrazione del potere mediatico.
E voi direte: cosa c’entra Zapatero ? Ha operato una riforma con la quale, finalmente il governo non nomina più i vertici dell’azienda televisiva di Stato. Ovviamente su un sito di Forza Italia questa riforma è presentata come un attacco alla libertà di informazione. Per fortuna che non mancava nel documentario di ieri che ho visto al cinema, un pezzo di “Porta a Porta” con il premier che cantava. E un succo dell’informazione nell’era Berlusconi : cani abbandonati per strada e le migliori ricette per scoprire l’Italia. Un ‘Italia alla frutta.