Draquila

Sono stato poco fa al Cinecity con Marta per vedere Draquila. Mi è piaciuto – a dispetto di molti commenti negativi nelle recensioni – perchè ha mostrato qualcosa che non conoscevo. Fa anche una analisi , nemmeno troppo di parte , di come è stata gestita la non-ricostruzione. Di fatto, dopo un anno nessuno è potuto rientrare nelle proprie case nel centro della città , ancora inagibile e militarizzato , inaccessibile sia ai giornalisti che alle persone.

Anche nelle tendopoli (smantellate il 30 settembre scorso) vigeva, in virtù di ordinanze che ai cittadini non venivano mostrate ma solo citate, il divieto di assemblea, divulgazione di volantini, e gli striscioni contro la gestione dell’emergenza venivano tolti o da membri della Protezione Civile o di Carabinieri o Esercito.

Si parla anche della famosa legge 225/92 opportunamente modificata da Berlusconi per includere nei compiti della Protezione Civile in cui poteva operare in deroga alla legge non solo le emergenze (in quella dei rifiuti  , vennero bruciati nell’inceneritori rifiuti pericolosi e tossici se bruciati…ed è reato manifestare vicino agli impianti, violando il sacrosanto diritto democratico , in una gestione militarizzata del Paese) , ma anche i grandi eventi, il 55% dei quali (ma va ? ) sono eventi di tipo religioso, pagati dal contribuente. Finora, 10 miliardi di euro, pari a quasi metà della manovra correttiva prevista.

Con i soldi della Protezione Civile , anche privati hanno potuto costruire alberghi con piscina in una zona di esondazione del Tevere, e quando la magistratura ha iniziato ad indagare la legge è stata modificata per includere tra i destinatari degli interventi (soldi del contribuente) non solo le attività pubbliche ma anche quelle private.

E, tra tutto , il vedere che si sono spesi un bel po’ di soldi (il triplo della norma, a detta di alcuni ingegneri) per una new town in una zona fuori dal centro e priva di negozi e servizi (un quartiere dormitorio), mentre non si è fatto nulla per far tornare nelle proprie case, almeno in quelle poco danneggiate, i cittadini che hanno il divieto di accedere al centro.

Ho faticato non poco per trovare un’altra recensione di questo film, qui trovate il link.

La violenza tra coniugi

Murray Straus ha sostenuto che la qualifica di genitore garantisce una “licenza di picchiare” e che il “certificato di matrimonio autorizza le percosse” . L’accettabilità culturale di queste forme di violenza dometica è espressa dalla vecchia canzoncina:

A woman, a horse and a hickory tree,
The more you beat’em the better they be.

(Uma donna, un cavallo e un noce
più li percuoti, meglio è).

Nell’ambiente di lavoro e in atri contesti pubbici si osserva la norma generale che proibisce di picchiare qualcuno, non importa quanto il suo comportamento sia stato riprovevole o irritante. Ciò non vale all’interno della famiglia. Molte ricerche hanno dimostrato che una percentuale significativa di coppie ritiene che in alcune circostanze matrattare fisicamente il proprio coniuge sia legittimo. Circa il 25 per cento degli americani di entrambi i sessi pensa che il marito possa avere le sue buone ragioni per picchiare la moglie: Una percentuale alquanto più bassa crede che questa regola valga anche nel caso inverso [ Greenblat 1983].

La vioelnza familiare, tuttavia, riflette anche modelli di comportamento più generali. Molti dei mariti che picchiano mogli e bambini hanno precedenti di violenza in altri contesti. Uno studioc ondotto da Jeffrey Fagan e dai suoi collaboratori [1983] su un campione nazionale di mogli picchiate dai mariti ha dimostrato che più della metà di questi ultimi si comportava in modo violento anche con altri. Oltre l’80 per cento degli uomini in questione aveva addirittura subito almeno un arresto per episodi di violenza extradomestica [Fagan, Stewart e Hansen 1983].

dal manuale di sociologia di Anthony Giddens, che sto leggendo al ritmo di 10 pagine a mese , conclusione prevista nel 2014, insieme al collegamento ferroviario tra Venezia e l’Aeroporto di Tessera (7km).

La prostituzione infantile

In alcuni paesi del mondo, ad esempio la Tailandia o le Filippine, la prostituzione infantile fa parte di quell’industria nota come “turismo del sesso”. Pacchetti di offerte tutto compreso ispirate al sesso attirano in questi paesi uomini provenienti dall’Europa, dagli Stati Uniti e dal Giappone. I gruppi femminili asiatici hanno organizzato manifestazioni pubbliche di protesta contro questi viaggi, che però non sono cessati. Il turismo del sesso in Estremo Oriente ha le sue origini nella prostituzione legata alla presenza delle truppe americane durante la guerra di Corea e del Vietnam. In Tailandia, nelle Filippine, in Vietnam , in Corea e a Taiwan furono costruiti allo scopo centri di “riposo e ricreazione”. Alcuni esistono ancora, specialmente nelle Filippine , e hanno una clientela alimentata da regolari flussi turistici e dai militari di stanza nella regione.

(dal libro “Sociologia” di Anthony Giddens, , ed. 2003 non più in vendita).

L’anomia come causa del crimine

Merton ha modificato il concetto di anomia riferendolo alla tensione cui è sottoposto il comportamento individuale quando le norme accettate dal soggetto entrano in conflitto con la realtà sociale. Nella società americana – e in una certa misura in altre società industrializzate – i valori generalmente accettati enfatizzano il “farsi strada” , il “fare soldi” e così via: in poche parole il successo materiale. Si suppone che il raggiungimento di tali obiettivi passi attraverso l’autodisciplina e il duro lavoro. Secondo questa convinzione , chi lavora veramente sodo può avere successo indipendentemente dal suo punto di partenza nella vita. In realtà non è così, perchè la maggior parte di coloro che partono svantaggiati ha possiblità di avanzamento molto limitate. Quelli che non “riescono”, però, si vedono condannati per l’apparente incapacità di ottenere successi materiali  . In questa situazione sono forti le pressioni che spingono a “farsi strada” in ogni modo, legittimo o illegittimo che sia.

(dal meraviglioso libro “Sociologia” di Anthony Giddens, che sto leggendo al ritmo di 100 pagine all’anno ma consiglio vivamente a tutti).

Gli alibi della sinistra

La storia degli ultimi vent’anni è stata fatta dalla destra, ma ha dato ragione alla sinistra. Con un briciolo di onestà intellettuale, gli ideologi della destra neoliberista oggi dovrebbero scriere un biglietto di scuse al mondo e suicidarsi, o almeno ritirarsi in un convento. Non ne hanno azzeccata una. La crisi economica e quella ambientale, il fallimento militare in Iraq e Afghanistan , gli sconquassi della globalizzazione selvaggia e il tramonto definitivo dell’idea di un mondo governato unilateralmente dalla potenza americana, tutti questi fatto hanno sgomberato il campo una volta per tutte dalle cianfrusaglie teoriche dei necoconservatori. quelli per cui la storia era finita con il trionfo planetario del liberismo. Avevano ragione su tutta la linea i movimenti della sinistra, il pacifismo , l’ambientalismo , i no global. Ora, la domanda da un milione di dollari sulla quale si arrovellano le migliori menti del riformismo è la seguente: se la destra ha avuto torto e la sinistra ragione, perchè nella crisi i partiti di sinistra perdono consensi ? Ma la risposta è banale: perchè la sinistra in questi vent’anni non ha mai fatto la sinistra. Ha imitato la destra. Si è proposta di fare lo stesso lavoro del liberismo, ma in maniera piu’ gentile e moderata , promettendo di applicare le ricette conservatrici con un grado inferiore di conflitto sociale. [..] Ha esaltato la globalizzazioen senza regole, come prova della propria “modernità”, smantellato altri pezzi di welfare, appoggiato le missioni di guerra, devastato l’ambiente, sia pure con maggior discrezione. Ma soprattutto, ed è il dato più grave, le sinistre al governo non si sono mai opposte in concreto ad una distribuzione del reddito dal basso verso l’alto, all’impoverimento dei ceti popolari, alla perdita progressiva dei diritti e di potere d’acquisto dei lavoratori .

(dal bellissimo libro di Curzio Maltese, “La bolla- la pericolosa fine del sogno berlusconiano” che sto leggendo in queste settimane).

I pigmei Mbutu

dal meraviglioso libro “Sociologia” di Anthony Giddens (esaurito in libreria) che sto leggendo , come sempre molto lentamente, da alcune settimane.

[…] La guerra intesa nel senso moderno risulta completamente sconosiuta a queste comunità, in cui sono assenti i guerrieri professionisti. La caccia stessa è principalmente un’attività cooperativa. Accade che gli individui vadano a caccia da soli, ma quasi sempre ne dividono il frutto – ad esempio la carne di cinghiale – con il resto del gruppo . I cacciatori- raccoglitori non sono soltanto popolazioni “primitive” il cui modo di vita non presenta più alcun interesse per noi. Lo studio della loro cultura ci consente di vedere più chiaramente che alcune delle nostre istituzioni sono ben lontane dall’essere aspetti “naturali” della vita umana. Non si deve naturalmente idealizzare il contesto in cui i cacciatori-raccoglitori sono vissuti, ma ciò nonostante l’assenza della guerra, la mancanza di grosse differenze in termini di ricchezza e potere , nonché l’accento posto sulla cooperazione piuttosto che sulla competizione sono tutti aspetti istruttivi che ci ricordano come il mondo creato dalla civiltà industriale non vada necessariamente identificato con il “progresso”.

“Solo per giustizia”, di Raffaele Cantone

Sono riuscito – grazie ai vari viaggi in treno  che mi danno tempo libero per riposare e per leggere – a terminare in soli quattro mesi questo libro di poco piu’ di 300 pagine scritto dal magistrato antimafia Raffaele Cantone. Già in passato vi ho citato un passo che quasi sembrava raccontare un momento importante della mia vita – quello del concorso di categoria D. Ora che ho terminato questo libro posso confermarvi che è semplicemente appassionante, bello, e insegna un sacco di cose.

Un buon libro è come un buon amico.

Mi sono segnato i passi più interessanti per poterli condividere con voi , ma davvero sono tanti; da una descrizione semplice di come funziona il Csm, il Consiglio Superiore della Magistratura, con tutte le varie correnti, al rapporto con la sua famiglia ed i figli – lui che ha vissuto per anni sotto scorta per le minacce alla sua vita , ai racconti di tante e tante indagini. al ruolo che hanno avuto due leggi approvate dal governo Berlusconi (la ex Cirielli e la legge “del giusto processo”) nel dare una mano ai camorristi per fare in modo che i pentiti e i collaboratori di giustizia ritrattassero le loro accuse , alle soddisfazioni per i risultati ottenuti e altrettante volte lo sconforto per il lavoro reso inutile dai tempi troppo lunghi delle indagini.Nel libro si parla anche di Roberto Saviano – che ha spinto l’autore a scrivere questo libro e pure delle infiltrazioni della camorra a Parma , proprio mentre poche settimane fa si è consumato uno scontro tra l’autore del libro Gomorra (che non ho letto) ed il prefetto di Parma.

Un libro quindi scritto alcuni mesi fa ma che è e sempre sarà di attualità perchè racconta il mondo che ci circonda, nel bene e nel male, e dà anche un sacco di messaggi positivi , scritto da una persona che rischia la vita tutti i giorni e che non è un eroe ma si sente una persona qualunque (non è vero, in realtà, perché io non riuscirei mai a fare quello che fa lui).

Non posso citare per ovvi motivi di coyright tutte le parti del libro che vorrei condividere con voi (e questo per consigliarvi di acquistarlo e leggerlo) , ma ne cito alcune: “Il campo che mi incuriosiva di più era quello dei processi per bancarotta. Guardavo con una sorta di sinistra fascinazione come quello che doveva apparire l’inevitabile disastro di un’azienda nascondesse a volte vere e proprie truffe e come spesso il fallimento fosse un modo per acquisre denaro e merci da reinvestire subito in altre attività imprenditoriali. Con sconcertante frequenza, poi, dietro tutto ciò era possibile intravedere l’interess delle criminalità organizzata , pronta a sfruttare anche queste occasioni per arricchirsi ulteriormente”. [..] Nel libro si racconta anche come la camorra utilizzasse ogni mezzo, come quotidiani e tv locali di persone conniventi per screditare la sua persona, parlando di presunti scandali (mi viene in mente l’opera quotidiana del “Giornale” di Berlusconi ) che avrebbe riguardato la persona di questo magistrato, e addirittura un parlamentare di AN che sulla base di questi articoli aveva chiesto addirittura un’interrogazione parlamentare. Il tutto falso, ma utilissimo per evitare che eventuali collaboratori di giustizia potessero fare affidamento su quel magistrato della Direzione distrettuale antimafia (pgg. 104 e seguenti) (“La calunnia è un venticello che passa, ma qualcosa lascia” – dice un detto popolare.[…] Perchè si può distruggere un uomo, annientarlo, senza nemmeno torcergli un capello, E paradossalmente è molto difficile che ciò accada quando si uccide veramente . Credo sia questa la ragione perchè anche ne momenti di maggior pericolo per la mia vita non mi sono mai sentito così in affanno , così impotente, così annichilito come in quei giorni”).

Nel libro, un libro scritto prima delle gravi limitazioni all’uso delle intercettazioni come strumento di indagine effettuate dall’attuale governo Berlusconi (ha poco da dire Fini che sempre vuole smarcarsi dall’amico alleato di cui vota compatto tutte le leggi , che per i reati di mafia si potranno fare le intercettazioni – come si fa a stabilire prima di effettuare l’intercettazione se il reato in oggetto è di tipo mafioso o meno ? o che la persona da intercettare sia un insospettabile o un mafioso ?) , l’autore non si stanca mai di ripetere l’importanza strategica , fondamentale, delle intercettazioni per la soluzine di innumerevoli reati (“Per catturare il boss Fabbrocino erano state addirittura sottoposte a intercettazione numerose cabine telefoniche sull’autostrada, perché per contattarlo le cambiavano ogni volta in modo imprevedibile e casuale.”, pg. 139).

Un libro che parla di un magistrato che prima di tutto è un uomo, con poche certezze e molti dubbi, soprattutto nel ruolo di pm che può pronunciare una sentenza di condanna (“Il terzo killer era invece l’imputato più gravemente incriminato ed è stato anche il primo in assoluto per il quale io abbia chiesto l’ergastolo. Quando, alla fine della mia prima requisitoria , pronunciai quella parola che pure in seguito non sarebbe mai uscita dalle mie labbra con leggerezza, mi tremò la voce “, pg. 149).

Dopo aver visto i reati perpetrati dai poliziotti (tutti di Napoli, tra l’altro) del G8 di Genova , non mi sono stupito di leggere cose tipo “Malgrado [..] avessi già avuto a che fare con comportamenti illeciti anche gravi da parte di appartenenti alle forze dell’ordine , queste connivenze e complicità con la camorra mi sconcertarono non poco . Facevo fatica a credere che un uomo che ha scelto di vestire la divisa potesse svenderla in tal modo, e ancora oaggi mi sembra impossibile considerarla alla stregua di una comune corruzione e non piuttosto di una storia di intelligenza con il nemico.”, pg. 156. “La riforma del giusto processo – votata quasi all’unanimità  – e salutata da tutti come un’importante conquista di un principio di civiltà. non c’è dubbio che lo sia. Ma quali effetti potesse avere in una terra di mafia dove i principi di civiltà sono annullati dall’altra parte , era purtroppo facilmente prevedibile. [..] Quante volte in n processo i testi hanno finito per negare tutto quel che avevano dichiarato in precedenza e quante volte questo ha poi portato all’assoluzione dei presunti colpevoli ? La camorra sapeva che bastava intimidire i testimoni, e lo faeva ogni volta che poteva. Un imprenditore di quelle zone mi disse:” sino a oggi, chi rendeva dichiarazioni alla polizia, poteva dire ai camorristi che era stato minacciato o comunque intimidito dalle forze dell’ordine. Poi, in dibattimento, poteva anche negare, tanto sapeva che non sarebbe servito a invalidare le sue precedenti dichiarazioni. E questo bastava per metterlo al riparo. Invece adesso i camorristi sanno che basta farci ritrattare in dibattimento per averla vinta”. Possibile che nessun parlamentare ci abbia mai pensato ?

Ci sono ancora una decina di passi che davvero vorrei citare perché ancora tanto importanti a mio parere quanto quelli che vi ho scritto, ma non vorrei davvero citare troppi pezzi del libro – è vietato, come sapete. Se avrò  trasmesso in voi la curiosità e l’accrescimento etico e culturale che a me questo libro ha dato, sarò riuscito nel mio scopo. Buona lettura.


Solo per giustizia

Un lento – 2 ore per 120km – viaggio a Pordenone nella giornata di domenica mi ha consentito di iniziare un libro (“Solo per giustizia” di Raffaele Cantone) che all’inizio avevo trattato con diffidenza per l’argomento sicuramente non leggero: il lavoro di magistrato a Napoli  nella Direzione distrettuale Antimafia . Leggo in media un libro all’anno. Trovare il tempo , ma soprattutto il rilassamento mentale per godere della lettura, è una cosa per me molto difficile.
Appena finisco di cenare crollo a letto e assolutamente non riesco mai a leggere. Il treno è l’unica – ottima – occasione per leggere (se non viaggio in piedi, come mi è capitato ieri da Pordenone a Mestre).
Ecco perchè anche questo libro , che ho appena iniziato, già mi piace un sacco, perchè nell’esperienza di questa persona riesco a vedere qualcosa che ho passato anch’io.
Una lezione di storia, di vita, sul modo di vedere gli avvenimenti di cronaca e qualcosa di utile sull’Anm (l’Associazione Nazionale Magistrati), vista dal punto di vista di chi ci lavora dentro.
Ecco qualche riga che non potevo non riportare, dato che mi ha riguardato da vicinissimo nell’oramai noto concorso di cat. D per il quale ho studiato l’anno scorso:
“Quel che infatti mi teneva sulle spine era la convinzione che non fosse andata troppo male. Delle tre prove scritte -civile, amministrativo e penale – la prima, che riguardava la materia che conoscevo meno, mi sembrava abbastanza nella media, mentre l’ultima, per la quale ero più preparato, pensavo di averla svolta decorosamente. Ma la vera incognita era la prova di mezzo, quella di diritto amministrativo, che era risultata la più difficile agli altri candidati, tant’è vero che moltissimi, fra cui tutti i miei amici del corso di preparazione, si erano ritirati senza consegnare. Già di per sé quella materia era considerata la più insidiosa, in quanto la meno sistematica. In più quella volta la traccia riguardava un aspetto molto marginale che stava a cavallo fra diritto amministrativo e diritto penale: la trasformazione degli illeciti penali in sanzioni amministrative. Cì fu un boato generale di disapprovazione e di sconforto quando la commissione la lesse. Nemmeno io avevo ristudiato quell’argomento, ma l’avevo già incontrato a un esame, e, soprattutto, era stato l’oggetto di una lezione del corso di specializzazione postlaurea in diritto e procedura penale che avevo frequentato. Dunque io avevo gli elementi per impostare il tema e per il resto cercavo di basarmi sul codice e sulla conoscenza della materia sedimentata negli ultimi anni. Per me rappresentava un altro colpo di fortuna e forse la prova che la prima parte della mia odissea non era stata una peregrinazione del tutto vana.”

La disciplina dei marchi

Il marchio è disciplinato in Italia dal R.d. 21 giugno 1942, n. 929. La
normativa si applica anche alla ditta e all’insegna.

Il marchio è un segno suscettibile di essere rappresentato graficamente e identifica l’impresa da cui proviene il prodotto o servizio. Il marchio deve essere nuovo ( artt. 16 e 17), suscettibile di una rappresentazione grafica ( art. 16), deve possedere capacità distintiva ( art. 16), deve essere lecito ( art. 18). Possono essere registrati come marchi ( art. 16) le parole , i nomi di persona, i disegni, le lettere, le cifre i suoni, la forma o la confezione del prodotto, le combinazioni o tonalità cromatiche. È fatto divieto di registrare come marchi ( artt. 18 e 21) i segni contrari all’ordine pubblico o al buon costume, le denominazioni generiche, i segni
costituiti dalla forma imposta dalla natura del prodotto, gli stemmi i segni considerati dalle convenzioni internazionali, i segni ingannevoli sulla provenienza geografica o sulla natura e qualità di prodotti o servizi, i ritratti e nomi di persona senza autorizzazione.

Il titolare del marchio d’impresa registrato ( art. 1) ha il diritto dell’uso esclusivo dello stesso ed ha il diritto di vietare ai terzi non autorizzati di usarlo , adottando un segno identico o simile per prodotti o servizi identici o affini, causando confusione tra i consumatori, oppure sfruttando in modo parassitario la notorietà acquisita dal marchio registrato nell’apporre un segno identico o simile su prodotti o servizi non affini.
Il marchio può essere ceduto parzialmente( uso solo su una parte dei prodotti per il quale è stato registrato) o totalmente. E’ possibile anche stipulare contratti di licenza con o senza esclusiva per un uso del marchio limitato nel tempo. Il titolare del marchio ha l’onere di controllare che l’uso del marchio non sia ingannevole per il consumatore, ad esempio, relativamente alla qualità dei beni o servizi prodotti e offerti dai licenziatari ( art. 15).
Il marchio dura dieci anni ( art. 4), ma è possibile rinnovarlo, se non è decaduto o stato dichiarato nullo ( artt. 41 e 47) per non uso, volgarizzazione del marchio , ingannevolezza del segno distintivo, contrarietà all’ordine pubblico o al buon costume, per assenza dei requisiti essenziali (artt.16 e 17), per malafede del registrante (artt. 18 , 21, 22, comma 2) o è stata fatta la registrazione dal non avente diritto ( art. 25, comma 3, lett.b). Il marchio può perdere la sua capacità distintiva ( volgarizzazione del marchio) a causa dell’uso generalizzato che ne viene fatto per identificare un prodotto ( art.41, comma 1, lett. a )( casi nylon, riloga, thermos, cellophane, premaman e così via). Possono invece costituire oggetto di registrazione come marchio i segni che prima della domanda di registrazione , per l’uso che ne è stato fatto, abbiano acquistato carattere distintivo (secondary meaning) ( art. 19). I marchi collettivi( art. 2) sono concessi ai soggetti che svolgono la funzione di garantire l’origine, la natura, la qualità di determinati prodotti o servizi.
La domanda di registrazione del marchio ( art. 25) deve essere fatta dall’avente diritto ai sensi della legge italiana o delle convenzioni internazionali, o dal suo avente causa. Essa va deposita presso L’Ufficio Brevetti della Camera di commercio della provincia di residenza ed indirizzata all’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi (UIBM). Presso tale ufficio il titolare di un marchio registrato
in un Paese estero può, entro sei mesi dalla registrazione, rivendicare la priorità
del precedente deposito ottenendo la protezione in Italia ( art. 16, d.lgs 4.12.1992, n. 480).

Il c.d. marchio di fatto è quel segno distintivo che non è stato registrato (art. 17, lett. b), ma è stato usato dall’imprenditore per distinguere i suoi prodotti o servizi. Se tale uso non importi notorietà del segno o importi notorietà solo locale, esso non toglierà il requisito della novità allo stesso o simile segno distintivo che altri abbiano registrato. Il marchio di fatto sarà tutelato solo nell’area territoriale in cui si dimostrerà che è noto, mentre l’analogo segno distintivo registrato avrà la protezione su tutto il territorio nazionale. E’ possibile ottenere la tutela del proprio segno distintivo oltre le frontiere nazionali facendo ricorso sia alle singole registrazioni nei singoli Stati, che utilizzando la procedura del marchio internazionale, la quale in base all’Accordo di Madrid consente di attuare un deposito unico in una sola lingua presso l’Organizzazione Mondiale della Proprietà Intellettuale (OMPI) di Ginevra indicando quali sono gli Stati per i quali si chiede la protezione, oppure richiedendo il marchio comunitario che produce gli stessi effetti in tutto il territorio dell’Unione europea, chiedendo direttamente la registrazione presso l’Ufficio per l’armonizzazione del mercato interno (UAMI), oppure chiedendola dopo aver registrato il marchio nel proprio Paese . Tale marchio dura dieci anni e può essere rinnovato.

Requisiti [modifica]

Il segno che si intende registrare come marchio deve avere i seguenti requisiti:

capacità distintiva
deve contraddistinguere un prodotto o un servizio differenziandolo da quello di altri;
novità estrinseca

non deve essere stato usato in precedenza come marchio, ditta o insegna per prodotti o servizi simili a quelli per cui si richiede la registrazione;

originalità

non può consistere in una denominazione generica o descrittiva di prodotti o servizi;

liceità

non deve essere contrario alla legge, all’ordine pubblico e al buon costume.

Nullità e decadenza [modifica]

Il marchio è nullo:

  • se manca di uno dei requisiti sopra elencati;
  • se con sentenza passata in giudicato si accerta che il diritto alla registrazione spetta ad un soggetto diverso da chi abbia depositato la domanda di registrazione.

Si possono distinguere due specie di nullità, assolute e relative. Le prime possono essere fatte valere da chiunque vi abbia interesse, e quindi dai consumatori e dalle associazioni di questi. Le seconde nullità sono invece relative, in quanto possono essere fatte valere soltanto da alcuni soggetti qualificati, in virtù della titolarità di un segno potenzialmente confusorio con quello che si intende impugnare.

Il marchio decade:

  • per volgarizzazione, cioè se il marchio sia divenuto nel commercio denominazione generica del prodotto o servizio oppure se abbia perduto la sua capacità distintiva;
  • per illiceità sopravvenuta cioè:
    • se sia divenuto idoneo a indurre in inganno il pubblico;
    • se sia divenuto contrario alla legge, all’ordine pubblico o al buon costume;
    • per omissione da parte del titolare dei controlli previsti dalle disposizioni regolamentari sull’uso del marchio collettivo.
  • per non uso, cioè se il titolare del marchio registrato non ne fa un uso effettivo entro cinque anni dalla registrazione o se ne sospende l’uso per un periodo ininterrotto di cinque anni, salvo che il mancato uso non sia giustificato da un motivo legittimo;

Marchio registrato [modifica]

Il marchio registrato è un marchio protetto giuridicamente.

A seconda del territorio in cui sono tutelati si distinguono i seguenti tipi di marchio registrato:

Marchio nazionale [modifica]

La tutela giuridica del marchio nazionale è limitata al solo territorio italiano.

In Italia i marchi vengono registrati presso gli UPICA (Ufficio Provinciale Industria Commercio e Artigianato) – sezione Ufficio Brevetti per Invenzioni, Modelli e Marchi – che si trovano presso le Camere di Commercio di ogni Provincia.

Marchio comunitario [modifica]

Con un’unica azione legale la tutela giuridica del marchio comunitario è valida per tutti i Paesi membri dell’Unione Europea.

La registrazione avviene presso l’U.A.M.I. (Ufficio per l’Armonizzazione nel Mercato Interno).

Marchio internazionale [modifica]

I titolari di un marchio nazionale possono estenderne la tutela nei Paesi europei ed extraeuropei che aderiscono a due accordi internazionali (l’Accordo di Madrid e il Protocollo di Madrid) depositando una domanda di marchio internazionale. La registrazione si effettua presentando un’unica domanda in una sola lingua ed è valida in tutti i Paesi aderenti.

Simboli [modifica]

In Italia non esistono leggi che impongono particolari simboli per contraddistinguere i marchi registrati. L’aggiunta del simbolo ® accanto al marchio serve solamente a ricordare che è stato registrato ma non aggiunge nessuna tutela.

Al contrario la legge vieta l’utilizzo del simbolo ® accanto ad un marchio non registrato. Poiché un marchio non si considera registrato alla domanda di deposito ma solo dopo la concessione della registrazione, anche nel periodo di tempo che intercorre tra questi due momenti non è possibile apporre il simbolo ®. In attesa dell’effettiva registrazione però si può solo accostare al marchio la D di marchio depositato o il simbolo ™ (dall’inglese Trade Mark).

Tipologie di marchio [modifica]

Oltre al marchio registrato la legislazione italiana e internazionale individuano altre tipologie di marchi:

Marchio di fatto [modifica]

È un marchio non registrato. Il marchio di fatto pur non essendo registrato gode di una particolare tutela: chi ne ha fatto uso può continuare ad usarlo anche dopo la sua registrazione ottenuta da altri purché il suo uso sia confinato nei limiti territoriali e merceologici antecedenti la registrazione.

Marchio forte e marchio debole [modifica]

A seconda del loro potere di individualità si usa distinguere i marchi tra forti e deboli.

  • È un marchio forte quello che ha spiccata originalità e notevole capacità distintiva (ad esempio non deve avere attinenza con il prodotto o servizio a cui si riferisce).
es. Rolex (orologi), Strega (liquore)
  • È, invece, un marchio debole quello che presenta una minore originalità (ad esempio per una diretta relazione con il prodotto o servizio che contraddistingue) pur mantenendo una minima capacità distintiva necessaria per differenziarlo ed essere tutelato.
esempi sono molto diffusi soprattutto in ambito farmaceutico (Benagol, Golasan, Momendol, No gas), in attività di vendita al dettaglio e all’ingrosso (La casa del mobile, La casa del colore, Il caffè della stazione, ecc.).

Marchio individuale e marchio collettivo [modifica]

  • Il marchio individuale ha il compito di distinguere il singolo prodotto o servizio di un imprenditore.
  • Il marchio collettivo, invece, serve a garantire l’origine, la natura o la qualità di prodotti o servizi. La registrazione di marchi collettivi è concessa a quei soggetti che svolgono la funzione di garantire l’origine, la natura o la qualità di determinati prodotti o servizi e che possono concedere l’uso dei marchi stessi a produttori o commercianti che rispettino determinati requisiti.

Di solito il “marchio collettivo” è chiesto da enti e/o associazioni per dare certezza alla provenienza e garanzia alla qualità. L’uso non può essere limitato ad operatori affini all’attività non economica, ma deve essere ceduto nel rispetto del regolamento di utilizzo, allegato alla richiesta di protezione, prodotta dall’ente o associazione nella fase della prima registrazione.

es. Vero Cuoio Italiano, marchio collettivo gestito dal consorzio Vero Cuoio Italiano formato da 12 concerie della provincia di Pisa.
es. Pura Lana Vergine, marchio collettivo gestito dalla società australiana Woolmark Company.
es. IMQ

Marchio di fabbrica e marchio di commercio [modifica]

Il codice civile distingue tra il marchio di fabbrica apposto dal produttore e il marchio di commercio apposto dal rivenditore del prodotto. Il marchio di fabbrica viene apposto a colui che costruisce il prodotto. Il marchio di commercio invece, viene apposto a colui che fa circolare il prodotto.

Marchio di qualità [modifica]

Un marchio di qualità ha la funzione di certificare che il prodotto sul quale è apposto abbia determinate caratteristiche qualitative e/o sia stato prodotto seguendo determinati procedimenti. Qui di seguito sono elencati i principali marchi di qualità:

Marchio CE [modifica]

Per approfondire, vedi la voce Marchio CE.

Il Marchio CE attesta che il prodotto su cui è apposto è conforme a tutte le Direttive comunitarie ad esso applicabili.

Marchio di origine (Ue) [modifica]

L’Unione Europea per promuovere e tutelare i prodotti agroalimentari ha creato con il Regolamento CEE n. 2081/92 i seguenti marchi:

  • DOPDenominazione di Origine Protetta (PDO – Protected Designation of Origin), identifica la denominazione di un prodotto la cui produzione, trasformazione ed elaborazione avvengono in un’area geografica determinata.
es. di prodotti DOP: prosciutto di Parma, pecorino Sardo, mozzarella di bufala campana
  • IGPIndicazione Geografica Protetta (PGI – Protected Geographical Indication), identifica la denominazione di un prodotto di cui almeno uno degli stadi della produzione, trasformazione o elaborazione avviene in un’area geografica determinata.
es. di prodotti IGP: lardo di Colonnata, pomodoro di Pachino
  • STGSpecialità Tradizionale Garantita (TSG – Traditional Speciality Guaranteed), ha il compito di valorizzare una composizione tradizionale del prodotto o un metodo di produzione tradizionale, ma non fa riferimento ad un’origine.
es. di prodotti STG: mozzarella

Questa categoria di marchi non deve essere registrata, ma la tutela deriva da apposite leggi.

Curiosità: l’Italia attualmente vanta il primato europeo tra i prodotti DOP, IGP e STG.

Questo sistema di tutela introdotto dalla legislazione europea nel 1992 è molto simile ad alcuni sistemi già presenti in alcuni stati europei: in Italia dal 1963 è in vigore la Denominazione di Origine Controllata (DOC), in Francia esiste l’Appellation d’Origine Contrôlée (AOC), in Spagna la Denominación de Origen.

Marchio di origine (It) [modifica]

Denominazione di Origine Controllata è un sistema di certificazione nazionale della qualità di prodotti agroalimentari. In seguito all’entrata in vigore nel 1992 dei marchi DOP, IGP e STG questo sistema di certificazione è stato utilizzato esclusivamente per contraddistinguere i vini di qualità:

  • Vini a Denominazione d’Origine Controllata e Garantita, il marchio DOCG indica il particolare pregio qualitativo di alcuni vini DOC di notorietà nazionale ed internazionale. Per la certificazione DOCG sono richiesti requisiti tra i quali l’imbottigliamento nella zona di produzione e in recipienti di capacità inferiore a cinque litri
es. Chianti, Franciacorta spumante
es. Dolcetto d’Alba, Sangiovese di Romagna

Ad un livello inferiore rispetto ai vini DOCG e DOC si posizionano i Vini ad Indicazione Geografica Tipica, il marchio IGT indica vini da tavola di qualità prodotti in aree generalmente ampie. I requisiti sono meno restrittivi di quelli richiesti per i vini DOC.

Per approfondire, vedi anche alla voce Vino il paragrafo Legislazione Italiana

Marchio biologico [modifica]

Ne esistono di vari tipi sia pubblici come il marchio Agricoltura biologica sia marchi privati. Questi ultimi indicano il rispetto del regolamento comunitario oppure l’adozione di norme più restrittive.

  • Agricoltura biologica, è un marchio regolato dal regolamento CEE n.2092/91. Può essere apposto volontariamente dai produttori di prodotti sottoposti a un controllo e risultati composti da ingredienti di cui almeno il 95% ottenuti con il metodo biologico.

Tra i marchi privati:

Trasferimento del marchio [modifica]

Il marchio può essere trasferito per la totalità o per una parte dei prodotti o servizi per i quali è stato registrato.

Licensing [modifica]

Con il licensing il titolare del marchio concede ad un terzo il diritto di uso del marchio stesso.

Di norma i contratti di licensing prevedono il diritto del licenziante di controllare la qualità dei prodotti sui quali il licenziatario appone il marchio.

Merchandising [modifica]

Il merchandising di un marchio consiste nello sfruttamento della notorietà di un marchio in settori diversi da quello in cui il marchio originariamente si era affermato. Si distinguono diverse categorie di merchandising, tra cui il corporate merchandising, avente ad oggetto lo sfruttamento di un marchio, e il character merchandising, che invece sfrutta l’immagine di una persona o un personaggio di invenzione. Il merchandising, oltre che un contratto atipico costituisce una modalità del marketing di un determinato prodotto. L’efficacia del merchandising è direttamente legata alla notorietà del brand che si utilizza. Il merchandising può realizzarsi producendo internamente o in outsourcing i prodotti sui quali apporre il marchio e provvedendo alla loro distribuzione direttamente o tramite intermediari. In questa seconda ipotesi si può ricorrere al licensing.

La conciliazione in via breve di una sanzione amministrativa

Il pagamento in misura ridotta di una sanzione amministrativa è previsto e disciplinato nell’ambito della legge 689/1981, relativa all’illecito amministrativo, alla applicazione delle sanzioni amministrative ed alla depenalizzazione di alcuni reati.

All’art. 16 della predetta normativa si prevede il possibile pagamento di una somma in misura ridotta pari alla terza parte del massimo della sanzione prevista per la violazione commessa o, se più favorevole, al doppio del minimo della somma edittale entro il termine perentorio di 60 giorni dalla contestazione immediata o dalla notifica.

Il pagamento di tale somma libera il responsabile dell’illecito amministrativo dall’obbligo di pagare la somma prevista come sanzione dall’autorità competente.

In realtà il pagamento nel termine perentorio dei 60 giorni è una delle fasi del procedimento per l’applicazione delle sanzioni amministrative disciplinato, appunto, dalla L. 689/1981, nella sezione II, capo I. Le disposizioni contenute in tale capo si applicano, salvo che diversamente disposto, a tutte le violazioni per le quali è prevista la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro.

Qualora la conciliazione in via breve non avvenisse il procedimento preposto per l’applicazione della sanzione procede fino alla determinazione da parte dell’autorità competente, sentiti gli interessati, ove questi ne abbiano fatto richiesta, ed esaminati i documenti inviati e gli argomenti esposti negli scritti difensivi, della somma dovuta per la violazione ed della ingiunzione del pagamento.

È possibile, però, che l’autorità ritenga infondato l’accertamento della violazione e dunque emetti ordinanza motivata di archiviazione degli atti, comunicandola integralmente all’organo che ha redatto il rapporto.

In tal senso, dunque, non possiamo dire che i termini del pagamento in 60 giorni e quindi, il pagamento stesso sia obbligatorio: si può sempre rinunciare alla fase di conciliazione rischiando il pagamento, sia delle spese, sia di una somma superiore, ma anche potendo, attraverso una adeguata documentazione ottenere l’archiviazione e non pagare la sanzione.

Concludendo, il termine dei 60 giorni di cui all’art. 16 L. 689/1981 è perentorio in quanto la sua inosservanza da luogo alla decadenza del diritto di liberarsi dall’obbligo del pagamento della sanzione amministrativa. In altre parole l’ordinamento pone il titolare di fronte ad una alternativa: o avvalersi del diritto di pervenire ad una conciliazione breve o perderlo e rischiare il pagamento della intera sanzione così come tentare, attraverso una adeguata prova l’archiviazione degli atti.