La foto dice tutto.
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Un paese da Berlusconi
La farmacia della famiglia Sacconi (della serie: per fortuna tutto questo è finito!)
In Farmindustria il personaggio più interessante da raccontare è il direttore generale Enrica Giorgetti , nominata in quell’incarico dopo esser stata direttore dei rapporti istituzionali e della comunicazione di Autostrade , e successivamente responsabile dell’area strategica impresa e territorio di Confindustria . Il compito più importante di Farmindustria è di negoziare con l’Aifa (Agenzia italiana del farmaco) la presenza dei medicinali nel prontuario, l’iter autorizzativo , prezzo e rimborso pubblico.
Dal risultato di queste negoziazioni dipende una larga parte del conto economico delle aziende farmaceutiche attive in Italia. Il compito, nel caso della signora Giorgetti , è particolarmente facilitato dal fatto che il ministro è suo marito: Maurizio Sacconi, titolare della delega al Lavoro e alla Salute
(dal libro “Il partito dei padroni”, che prevedo di ultimare nel 2012)
Questo è il partito (e gli uomini) che tiene in piedi il governo Berlusconi
Draquila
Sono stato poco fa al Cinecity con Marta per vedere Draquila. Mi è piaciuto – a dispetto di molti commenti negativi nelle recensioni – perchè ha mostrato qualcosa che non conoscevo. Fa anche una analisi , nemmeno troppo di parte , di come è stata gestita la non-ricostruzione. Di fatto, dopo un anno nessuno è potuto rientrare nelle proprie case nel centro della città , ancora inagibile e militarizzato , inaccessibile sia ai giornalisti che alle persone.
Anche nelle tendopoli (smantellate il 30 settembre scorso) vigeva, in virtù di ordinanze che ai cittadini non venivano mostrate ma solo citate, il divieto di assemblea, divulgazione di volantini, e gli striscioni contro la gestione dell’emergenza venivano tolti o da membri della Protezione Civile o di Carabinieri o Esercito.
Si parla anche della famosa legge 225/92 opportunamente modificata da Berlusconi per includere nei compiti della Protezione Civile in cui poteva operare in deroga alla legge non solo le emergenze (in quella dei rifiuti , vennero bruciati nell’inceneritori rifiuti pericolosi e tossici se bruciati…ed è reato manifestare vicino agli impianti, violando il sacrosanto diritto democratico , in una gestione militarizzata del Paese) , ma anche i grandi eventi, il 55% dei quali (ma va ? ) sono eventi di tipo religioso, pagati dal contribuente. Finora, 10 miliardi di euro, pari a quasi metà della manovra correttiva prevista.
Con i soldi della Protezione Civile , anche privati hanno potuto costruire alberghi con piscina in una zona di esondazione del Tevere, e quando la magistratura ha iniziato ad indagare la legge è stata modificata per includere tra i destinatari degli interventi (soldi del contribuente) non solo le attività pubbliche ma anche quelle private.
E, tra tutto , il vedere che si sono spesi un bel po’ di soldi (il triplo della norma, a detta di alcuni ingegneri) per una new town in una zona fuori dal centro e priva di negozi e servizi (un quartiere dormitorio), mentre non si è fatto nulla per far tornare nelle proprie case, almeno in quelle poco danneggiate, i cittadini che hanno il divieto di accedere al centro.
Ho faticato non poco per trovare un’altra recensione di questo film, qui trovate il link.
Rosarno e Maroni, anche questa è Italia
Non sono riuscito a trattenere il mio disgusto sentendo, dopo la rivolta di centiana di extracomunitari sfruttati da imprenditori senza scrupoli (chiamalo mercato, chiamalo capitalismo puro rispondente alla pura logica della domanda dell’offerta, chiamalo mafia, quello è) in quella regione dalla quale scappare che è la Calabria , quella dove una legge regionale “per snellire l’attività burocratica” consente di effettuare controlli a campione (non in loco ma in ufficio) sulle costruzioni effettuate anche nelle zone sismiche, per cui si costruisce anche sul letto dei fiumi, in nome di una italianissima “libertà di costruire” , le dichiarazioni del ministro leghista Maroni. “E’ perchè c’è stata troppa tolleranza”. Verso gli immigrati si intende. Non verso lo sfruttamento clandestino. Non verso la mafia o la n’ndrangheta. Non perchè ci sono procure dei tribunali dove manca persino la corrente, non parliamo del personale.
Ma questo è il governo del low-cost, salvo che il debito pubblico sta esplodendo e non c’è un servizio che funzioni , dalle Poste alle Ferrovie alle società autostradali (pochi giorni fa eravamo fermi in coda per oltre 5 km , due ore e mezza per fare una cinquantina di km nei pressi di Avigliana Ovest per traffico intenso, nessuna notizia né sul bollettino Isoradio, né sul sito della concessionaria autostradale) . Vivere in Italia sta diventando sempre più caro, molto più caro degli altri paesi europei. Eppure, a sentire i nostri ministri e governanti, questo è l’autentico governo dei miracoli: +30% dei biglietti ferroviari in 12 mesi con le ferrovie che cadono a pezzi , uffici postali con code impossibili, mesi e mesi per prenotare una visita medica nel magico Veneto che fino a una decina di anni fa era un centro di eccellenza (per la precisione, ho richiesto una visita oculistica a dicembre 2009 e mi è stato porposto ottobre 2010, per la prevenzione contro i melanomi visita di controllo con tempi di attesa di 12 mesi, poi mi spieghino a cosa servono ospedali nuovi , con i soldi dati ai costruttori e senza un numero di medici adeguati alla domanda) .E’ il governo che ti introduce anche 38 euro di “tassa” per ricorrere al giudice di pace. Non sempre condivido quello che scrive Beppe Grillo, ma la sua chiarezza è questa volta esemplare:
Cosa ci fanno più di diecimila immigrati irregolari nelle campagne calabresi? E’ ovvio, portano benessere a chi li sfrutta. Per farlo vivono in condizioni igieniche da porcile, sono pagati poco e in nero, non hanno nessun tipo di assistenza. La risposta cieca pronta e assoluta del solito coglione terzomondista è sempre la stessa: “Sono qui da noi perché fanno i lavori che gli italiani non vogliono più fare!“. Tutto il contrario, pagate gli italiani il giusto e ci sarebbe la fila di calabresi disoccupati per prendere il loro posto.
Gli immigrati lavorano in condizioni disumane che gli italiani non possono più tollerare, per questo sono qui. E allora, ancora, chi ci guadagna? I nuovi latifondisti, la criminalità in cerca di mano d’opera a basso costo, chi affitta dei tuguri a peso d’oro? Questa è solo la prima fascia, quella più visibile. Gli immigrati sono un bacino elettorale, portano voti sia a destra che a sinistra. Sono uno strumento di distrazione di massa usato dai partiti. La Lega e il Pdl vivono dell’uomo nero, del babau. Il Pdmenoelle e dintorni del buonismo a spese delle fasce più deboli della popolazione che vivono a diretto contatto con gli emigrati e si disputano le risorse. Voti a destra, voti a sinistra. In uno Stato dove migliaia di irregolari sfilano esasperati in una cittadina, Rosarno, e la mettono a ferro e a fuoco è evidente che lo Stato non c’è più. Africani contro calabresi, in mezzo il nulla di chi non si è mai fatto carico dei flussi migratori, dell’accoglienza, dell’integrazione.
Voglio l’immigrato a chilometro zero o l’immigrato integrato. Non abbiamo bisogno di nuovi schiavi, ne abbiamo a sufficienza di autoctoni. E così, una rivolta di Spartacus neri, diventa SOLO un problema di ordine pubblico, di controllo del territorio. Maroni, dico a lei anche in rappresentanza dei ministri degli Interni precedenti: “Dove erano, dove sono, le Forze dell’Ordine in Calabria, le stesse che riescono a sequestrare con occhiuta precisione un cartello 30 x 50 cm contro Schifani a un cittadino, ieri a Reggio Emilia?“.
Gli africani irregolari sono sempre stati lì, splendenti nel sole dei campi del Sud e a marcire nelle topaie. E dov’erano, dove sono le varie istituzioni che fracassanno i coglioni all’ultima bancarella del mercato per l’igiene, lo scontrino, la licenza, la tassa di occupazione, dove sono? E soprattutto perché le paghiamo se vedono sempre e solo il fuscello e non la trave? L’Italia è un piccolo Paese, con poche risorse e un tasso di disoccupazione da far paura. Dobbiamo avere il coraggio di dirci che gli immigrati sono in prevalenza forza lavoro sfruttata, merce per imprenditori senza scrupoli e per politici e giornalisti con la erre moscia che cianciano di pozzi avvelenati. Una risorsa preziosa per i politici che li lasciano al loro destino. E’ in corso una guerra, che qualche volta esplode, tra poveri: immigrati e cittadini italiani, entrambi presi per i fondelli. Lo Stato si è fermato a Rosarno.
Queste sono le persone che abbiamo al Governo
Bugiargi, bugiardi, bugiardi, senza pudore. Il trio Belpietro Gelmini Castelli.
Gli alibi della sinistra
La storia degli ultimi vent’anni è stata fatta dalla destra, ma ha dato ragione alla sinistra. Con un briciolo di onestà intellettuale, gli ideologi della destra neoliberista oggi dovrebbero scriere un biglietto di scuse al mondo e suicidarsi, o almeno ritirarsi in un convento. Non ne hanno azzeccata una. La crisi economica e quella ambientale, il fallimento militare in Iraq e Afghanistan , gli sconquassi della globalizzazione selvaggia e il tramonto definitivo dell’idea di un mondo governato unilateralmente dalla potenza americana, tutti questi fatto hanno sgomberato il campo una volta per tutte dalle cianfrusaglie teoriche dei necoconservatori. quelli per cui la storia era finita con il trionfo planetario del liberismo. Avevano ragione su tutta la linea i movimenti della sinistra, il pacifismo , l’ambientalismo , i no global. Ora, la domanda da un milione di dollari sulla quale si arrovellano le migliori menti del riformismo è la seguente: se la destra ha avuto torto e la sinistra ragione, perchè nella crisi i partiti di sinistra perdono consensi ? Ma la risposta è banale: perchè la sinistra in questi vent’anni non ha mai fatto la sinistra. Ha imitato la destra. Si è proposta di fare lo stesso lavoro del liberismo, ma in maniera piu’ gentile e moderata , promettendo di applicare le ricette conservatrici con un grado inferiore di conflitto sociale. [..] Ha esaltato la globalizzazioen senza regole, come prova della propria “modernità”, smantellato altri pezzi di welfare, appoggiato le missioni di guerra, devastato l’ambiente, sia pure con maggior discrezione. Ma soprattutto, ed è il dato più grave, le sinistre al governo non si sono mai opposte in concreto ad una distribuzione del reddito dal basso verso l’alto, all’impoverimento dei ceti popolari, alla perdita progressiva dei diritti e di potere d’acquisto dei lavoratori .
(dal bellissimo libro di Curzio Maltese, “La bolla- la pericolosa fine del sogno berlusconiano” che sto leggendo in queste settimane).
La beffa degli arbitrati mai aboliti : l’anno scorso sono stati 20 milioni
ROMA – «Mai più», avevano garantito non più tardi di un anno e mezzo fa. La parola «arbitrato» sarebbe stata bandita dai vocabolari della Pubblica amministrazione italiana, allontanata come una peste che ogni anno provoca un salasso di centinaia di milioni di euro per le casse pubbliche e fa ricchi gli arbitri. La fine di un’ epoca era stata decisa con la legge Finanziaria del 2008 per volontà dell’ ex ministro Antonio Di Pietro, non senza contrasti e difficoltà. Ma si era evidentemente sottovalutato il potere delle lobby. Quelle dei costruttori, che grazie agli arbitrati rimpinguano i bilanci e sistemano i conti. Quelle degli avvocati privati. E quelle degli arbitri «pubblici» e dei presidenti dei collegi arbitrali, quasi sempre alti burocrati come magistrati amministrativi e avvocati dello Stato che arrotondano cospicuamente le loro entrate. Con in più la beffa: perché in questa specie di giustizia privata che serve a regolare il contenzioso fra le imprese e la Pubblica amministrazione e alla quale si fa regolarmente ricorso, perché la tradizionale giustizia civile non funziona, lo Stato perde quasi sempre. Così, di proroga in proroga, gli arbitrati sono sopravvissuti. E sopravvivranno almeno fino al 31 dicembre di quest’ anno. Poi si vedrà. Intanto il 2008 è stato un altro anno nero per le «stazioni appaltanti», come fa intendere senza troppi giri di parole la relazione dell’ Autorità sui contratti e le forniture pubbliche, presentata ieri dal presidente Luigi Giampaolino. Lo scorso anno sono stati attivati 184 arbitrati. In quattro casi il collegio ha rigettato tutte le richieste, sia quelle dell’ impresa che quelle dell’ amministrazione. In due si è dichiarato incompetente. Ma ben 173 volte le richieste delle imprese private sono state accolte: quasi sempre parzialmente, talvolta completamente. In appena cinque circostanze su ben 184 le pretese dei privati sono state invece del tutto rigettate. La sostanza è che nel 94% dei giudizi, davanti a un collegio spesso presieduto da un dipendente statale di alto rango, lo Stato ha perduto. Avendo la meglio in meno del 3% dei casi. Con il risultato che l’ opera, prendendo per buone le stime storiche, costerà anche il 30% più del preventivato e i cantieri si chiuderanno come al solito in ritardo. E nemmeno gratis, perché due volte su tre l’ amministrazione pubblica «soccombente» ha pure dovuto pagare la salata parcella degli arbitri. Quanto salata? Gli arbitrati sono di due categorie: quelli «amministrati» e quelli «liberi». I primi seguono le procedure previste da un organismo indipendente, la Camera arbitrale, in particolare per la nomina del presidente e per i compensi degli arbitri. Negli arbitrati liberi, invece, il presidente viene scelto di comune accordo fra le parti e il collegio si «autoliquida» le parcelle. Va da sé che questi ultimi sono di gran lunga i più gettonati: lo scorso anno sono stati 158 contro 26. Non che per lo Stato ci sia stata una grande differenza, visto che la parte pubblica è risultata soccombente nell’ 88% degli arbitrati amministrati (23 volte su 26) contro il 95% degli arbitrati cosiddetti «liberi» (150 volte su 158). Ma almeno ha risparmiato sulle parcelle degli arbitri, decisamente più modeste. Perché negli arbitrati liberi, dove i compensi dovrebbero pure fare riferimento a delle tariffe stabilite, il collegio può aumentarsi fino al doppio la retribuzione massima, «in relazione alla particolare complessità delle questioni trattate, alle specifiche competenze utilizzate e all’ effettivo lavoro svolto». Per farla breve, in un arbitrato relativo a un contenzioso da 35 milioni di euro, il collegio si è «autoliquidato» un compenso di un milione 320 mila euro, cifra pari a sei volte e mezzo un «massimo tabellare» di 200.822 euro e 84 centesimi. E non è stato certamente l’ unico caso. In un altro arbitrato da 133 milioni il compenso «autoliquidato» del collegio ha raggiunto 1,4 milioni, quattro volte il massimo tabellare. In un terzo giudizio, nel quale si discuteva per 38 milioni, gli arbitri si sono staccati un assegno da 1,3 milioni, sei volte la tariffa massima. Tirate le somme, gli arbitri si sono messi in tasca lo scorso anno 20 milioni, euro più euro meno. Sergio Rizzo Il caso
Quello che non leggeremo più
da “Repubblica” di oggi
“Se escono fuori registrazioni lascio questo Paese”. Lo disse Berlusconi l’anno scorso, ad Ancona, e così annunciò la sua offensiva contro le intercettazioni. Più che un’offensiva, la distruzione risolutiva di uno strumento d’indagine essenziale per la sicurezza del Paese e del cittadino. “Permetteremo le intercettazioni – disse nelle Marche quel giorno, era aprile – soltanto per reati di terrorismo e criminalità organizzata e ci saranno cinque anni di carcere per chi le ordina, per chi le fa, per chi le diffonde, oltre a multe salatissime per gli editori che le pubblicano”.
Come d’abitudine, il Cavaliere la spara grossa, grossissima, consapevole che quel che ha in mente è un obiettivo più ridotto, ma tuttavia adeguato alla volontà di togliere dalla cassetta degli attrezzi della magistratura e delle polizie un arnese essenziale al lavoro. E, dagli strumenti dell’informazione, un utensile che, maneggiato con cura (e non sempre lo è stato), si è dimostrato molto efficace per raccontare le ombre del potere. La possibilità di essere ascoltato nelle sue conversazioni – magari perché il suo interlocutore era sott’inchiesta, come gli è accaduto nei colloqui con Agostino Saccà o, in passato, con Marcello Dell’Utri – è per il Cavaliere un’ossessione, un’ansia, una fobia. Ci è incappato più d’una volta.
Nel Capodanno 1987, alle ore 20,52 dalla villa di Arcore (Berlusconi festeggia con Fedele Confalonieri e Bettino Craxi).
Berlusconi. Iniziamo male l’anno!
Dell’Utri. Perché male?
Berlusconi. Perché dovevano venire due [ragazze] di Drive In che ci hanno fatto il bidone! E anche Craxi è fuori dalla grazia di Dio!
Dell’Utri. Ah! Ma che te ne frega di Drive In?
Berlusconi. Che me ne frega? Poi finisce che non scopiamo più! Se non comincia così l’anno, non si scopa più!
Dell’Utri. Va bene, insomma, che vada a scopare in un altro posto!
La conversazione racconta la familiarità tra il tycoon e un presidente del consiglio allora in carica che gli confeziona, per i suoi network televisivi, un decreto legge su misura, poi bocciato dalla Corte Costituzionale.
Già l’anno prima, il giorno di Natale del 1986, il nome di Berlusconi era saltato fuori in un’intercettazione tra un mafioso, Gaetano Cinà, e il fratello di Marcello Dell’Utri, Alberto.
Cinà. Lo sai quanto pesava la cassata del Cavaliere?
Dell’Utri. No, quanto pesava, quattro chili?
Cinà. Sì, va be’! Undici chili e ottocento!
Dell’Utri. Minchione! E che gli arrivò, un camion gli arrivò?
Cinà. Certo, ho dovuto far fare una cassa dal falegname, altrimenti si rompeva!
Perché un mafioso di primo piano come Cinà si prendesse il disturbo di regalare un monumento di glassa al Cavaliere rimane ancora un enigma, ma documenta quanto meno il tentativo di Cosa Nostra di ingraziarselo.
Al contrario, è Berlusconi che sembra promettere un beneficio ad Agostino Saccà, direttore di RaiFiction quando, il 6 luglio 2007, gli dice: “Io sai che poi ti ricambierò dall’altra parte, quando tu sarai un libero imprenditore, mi impegno a … eh! A darti un grande sostegno”. Che cosa chiedeva il premier? Il favore di un ingaggio per una soubrette utile a conquistare un senatore e mettere sotto il governo Prodi. O magari…
Ancora uno stralcio:
Saccà. Lei è l’unica persona che non mi ha mai chiesto niente, voglio dire…
Berlusconi. Io qualche volta di donne… e ti chiedo… per sollevare il morale del Capo (ridendo).
E in effetti, con molto tatto, Berlusconi chiede di sistemare o per lo meno di prendere in considerazione questa o quella attrice. Qualcuna “perché sta diventando pericolosa”.
È l’ascolto di queste conversazioni, disvelatrici dei rapporti con una politica corrotta, con il servizio pubblico televisivo in teoria concorrente, addirittura con poteri criminali, che il premier vuole rendere da oggi irrealizzabile per la magistratura e vietato alla pubblicazione, anche la più rispettosa della privacy.
Per scardinare, nell’opinione pubblica, la convinzione che gli ascolti telefonici, ambientali, telematici servano e non siano soltanto una capricciosa bizzarria di toghe intriganti e sollazzo indecente per cronisti ficcanaso, Berlusconi ha costruito nel tempo una narrazione dove si sprecano numeri iperbolici ed elaborate leggende. Dice: “Si parla di 350 mila intercettazioni, è un fatto allucinante, inaccettabile in una democrazia”. Fa dire al suo ministro di Giustizia che gli italiani intercettati sono addirittura “30 milioni” mentre sono 125 mila le utenze sotto ascolto (le utenze telefoniche, non gli italiani intercettati). Alla procura di Milano, per fare un esempio, su 200 mila fascicoli penali all’anno, le indagini con intercettazioni restano sotto il 3 per cento (6136).
Altra bubbola del ministro è che gli ascolti si “mangiano” il 33 per cento del bilancio della giustizia mentre invece sfiorano soltanto il 3 per cento di quel bilancio (per la precisione il 2,9 per cento, 225 milioni di costo contro i 7 miliardi e mezzo del bilancio annuale della giustizia). Senza dire che, per inerzia del governo, lo Stato paga al gestore telefonico 26 euro per ogni tabulato, 1,6 euro al giorno per intercettare un telefono fisso, 2 euro al giorno per in cellulare e 12 per un satellitare e l’esecutivo non ha tentato nemmeno di ottenere dalle compagnie telefoniche un pagamento a forfait o tariffe agevolate in cambio della concessione pubblica (accade all’estero).
Nonostante questa inerzia, le intercettazioni si pagano da sole, anche con una sola indagine. Il caso di scuola è l’inchiesta Antonveneta. Costo dell’indagine, 8 milioni di euro. Denaro incassato dallo Stato con il patteggiamento dei 64 indagati, 340 milioni. Il costo di un anno di intercettazioni e avanza qualche decina di milioni da collocare a bilancio, come è avvenuto, per la costruzione di nuovi asili.
Comunque la si giri e la si volti, questa legge serve soltanto a contenere le angosce del premier e dei suoi amici, a proteggere le loro relazioni e i loro passi, a salvaguardare il malaffare dovunque sia diffuso e radicato. Per il cittadino che chiede sicurezza e vuole essere informato di quel accade nel Paese è soltanto una sconfitta che lo rende più debole, più indifeso, più smarrito.
Se la legge dovesse essere confermata così com’è al Senato, i pubblici ministeri potranno chiedere di intercettare un indagato soltanto quando hanno già ottenuto quei “gravi indizi di colpevolezza” che giustificherebbero il suo arresto. E allora che bisogno c’è delle intercettazioni? Forse è davvero la morte della giustizia penale, come scrive l’associazione magistrati. Certo, è l’eclissi di un segmento rilevante dell’informazione. Da oggi si potranno soltanto proporre dei “riassuntini” dell’inchiesta e delle prove raccolte. Non si potrà pubblicare più alcun documento, nessun testo di intercettazione.
La cronaca, queste cronache del potere, però, non sono soltanto il racconto di imprese delittuose. Non deve esserci necessariamente un delitto, una responsabilità penale in questi affreschi. Spesso al contrario possono rendere manifesto e pubblico soltanto un disordine sociale, un dispositivo storto che merita di essere raccontato quanto e più di un delitto perché, più di un delitto, attossica l’ordinato vivere civile.
Immaginate che ci sia un dirigente della Rai che, in una sera elettorale, chiama al telefono un famoso conduttore e gli chiede di lasciar perdere con gli exit poll che danno un risultato molesto per “il Capo”. Immaginate che il dirigente Rai per essere più convincente con il conduttore spiega che quello è “un ordine del Capo”. Non c’è nulla di penale, è vero, ma davvero è inutile, irrilevante raccontare ai telespettatori che la scena somministrata loro, quella sera, era truccata?
Bene, ammesso che questa sia stata una conversazione intercettata recentemente in un’inchiesta giudiziaria, non la leggerete più perché l’ossessione del premier, diventata oggi legge dello Stato, la vieta. Chi ci guadagna è soltanto chi ha il potere. Chi deve giudicarlo non ne avrà più né gli strumenti né l’occasione.