Una storia d’amore con una persona con sindrome di Asperger

Ho letto cinque libri sulla sindrome di Asperger ma se c’è un libro che mi ha colpito per la profondità , la ricchezza e l’approfondimento riguardo i comportamenti e le caratteristiche delle persone con Sindrome di Asperger è proprio questo.

Il libro

E’ un libro scritto da una donna che per amore ha cercato di capire perché il suo uomo era così scostante, diverso dagli altri , affascinante ma incapace di relazionarsi come le persone…neurotipiche fanno. Un uomo adulto con la maturità emotiva di un bambino, sincero, trasparente (e quindi anche sfacciato e senza quelle sfumature che con la maturità normalmente si apprendono e che ci consentono anche di dire le cose in modo che non facciano male all’altra persona), una persona che proprio per questo mostrarsi così com’è nel mondo è facilmente preda di persone “normali” che si approfittano della sua ingenuità….già, l’ingenuità, una caratteristica che accomuna molti (ma non tutti) Asperger. Cos’hanno in comune Mister Magoo e Mr Bean ? Molte delle loro caratteristiche potrebbero rientrare nelle “disabilità” o “diversità” della Sindrome ASD. Il libro però, racconta , con la passione di una donna che ha amato (o ama ancora ?) e con la precisione e l’approfondimento dell’intelligenza e della perseveranza femminile, molto di più.

P.s. C’è anche un programma in tv , in italiano, anzi una serie TV che mi piace molto e che ha per protagonista un medico con Sindrome di Asperger, si chiama Doc Martin, qui sotto una foto del protagonista :

La copertina della serie DVD “Doc Martin” , disponibile su Amazon ma visibile anche su Raiplay e su RAI3 in diretta.

Contro la miseria : un libro che mi ha aperto un mondo.

Avevo già letto qualcosa , in internet e su vari quotidiani, relativamente al reddito di cittadinanza. Questo libro però è molto molto più dettagliato, ricco, interessante. Spiega come negli stessi paesi che noi additiamo come causa dei mali dell’Italia (In primis, la Germania) , fin dal 900 ma con una grande spinta nei primi anni del 2000 esistono sussidi molto più ampi dei nostri per tutti quelli che non solo hanno perso il lavoro, ma anche lo cercano senza aver mai lavorato. Nel Regno Unito, ci sono sussidi per il riscaldamento, per l’affitto ( o addirittura hai diritto ad una stanza di n metri quadri a seconda che tu sia single, una coppia – etero o omosessuale non fa diffferenza), un importo per il cibo, e così via. In Francia l’orario di lavoro anche dopo la crisi del 2009 rimane di 35 ore settimanali anche nel settore privato , il salario MINIMO è di oltre 1200 euro e se una persona lavora part-time può chiedere allo Stato l’integrazione fino a raggiungere quella cifra.

Il libro è una miniera di informazioni e di riflessioni utili per tutti, e dà anche una speranza spiegando che non tutti i paesi europei sono ridotti come l’Italia, e che anzi i paesi che non hanno introdotto sussidi di sostegno a chi ricerca il lavoro sono quelli con il debito pubblico maggiore. Il motivo ? Leggete il libro, è molto, molto interessante. Il rovescio di quello che ci hanno raccontato Sacconi, Monti , e il nuovo “vecchio” che abbiamo al governo.

Dialoghi tra padre e figlio

Dal libro “Dialoghi con il figlio” di Luigi Cancrini

Figlio: Esistono papà i tumori psichici ?
Padre: Cosa intendi dire ?
Figlio: Mi chiedo se è possibile considerare l’umanità come un organismo.Un gruppo di cellule, cioè di uomini, lavora alla costruzione di prodotti specializzati e improvvisamente sopravvaluta l’importanza della sua funzione.  Inizia a sviluppare programmi per la riproduzione illimitata delle proprie attività. In condizioni normali, il resto dell’organismo, cioè l’umanità, manda messaggi con cui riprende il controllo della produzione tenendola all’interno di certi limiti. Se questi messaggi si indeboliscono, tuttavia, quel tipo di produzione cresce invadendo le zone vicine e indebolendo ulteriormente la loro capacità di mandare messaggi di controllo.

L’empatia nei nipici e negli Asperger.

Nel giro di pochi istanti, l’incidente del mio amico era diventato una minaccia di morte, pendente sulla mia testa. Ed era tutto frutto della mia immaginazione. Peter correva, con il buio e sotto la pioggia. Io stavo piazzato in un garage, su una cassa di latte, in pieno giorno. Qualunque persona di buon senso avrebbe detto che ero al sicuro. Le moto intorno a me non erano nemmeno in movimento, non c’era la minima ragione di temere che fossi sul punto di perder una gamba a causa di un incidente in moto. Eppure ero spaventato e preoccupato.
Mi preoccupavo per lui o per me stesso ? E perché mi sentivo minacciato ?
Forse c’entrano l’empatia e il modo in cui questa si manifesta nei nipici e in me.
Per esempio, se per strada vedo una persona che piange sono capace di non provare niente eccetto confusione. Ma raccontatemi la storia di un incidente stradale e mi salirà l’ansia immaginando me stesso tra le vittime. [..]
La mia reazione fu completamente diversa. Non sarei mai riuscito a percepire nè a esprimere la quantità di emozioni e stati d’animo che Brya e Charlie si scambiarono in un lasso di tempo tanto breve.
[…]
Alcuni direbbero che sono un pessimista, sempre pronto a pensare all’eventualità peggiore, ma non è affatto vero. Sono piuttosto un reduce e il mio istinto è quello di giocare in anticipo e aspettarmi il peggio. In questo modo, il risultato finale è sempre meglio di quello per cui mi sono preparato. Magari è il mio cervello che mi fa essere così.
Per me semplicemente non c’era niente da ridere. Sapevo che Peter avrebbe davvero potuto perdere una gamba . E la sua moto molto probabilmente era completamente distrutta a sua volta. Si trovava in problemi molto seri, lassù all’ospedale dove l’avevano portato. E per di più la polizia avrebbe potuto accusarlo di aver causato l’incidente. Era la tipica storia che ogni dettaglio rende più grave.
[..]
E’ inoltre possibile che l’autismo renda la mia autostima più debole di quella di Brya. Recenti studi neuroscientifici sostengono questa tesi. A volte per me la distinzione tra i concetti del “me” e del “voi” potrebbe essere leggermente confusa. Per quanto io sia stato criticato per mancanza d’empatia,  situazioni come questa mi lasciano sempre il dubbio di avere maggiore empatia dei nipici. Il mio coinvolgimento è più lento ad attivarsi di quello di Brya, ma una volta che si mette in moto, attenzione ! E’ davvero forte.

(dal libro “Siate diversi” – Storie di una vita con l’Aspeger, pg. 78)

Per amore della routine

Un’altra questione importante rispetto ai rituali ha a che vedere con la ricerca di un lavoro. E’ in questa fase infatti che ci si aspetta da voi un allineamento sui processi e le piccole follie di altri , pena la perdita del posto. E’ una modalità decisamente fuori dalle corde di un Asperger conosciuta come Comportamento Aziendale, terribile. L’ho imparato durante il mio primo vero lavoro alla Milton Bradley , quando mi consegnarono questo Manuale dell’Impiegato. Quello che ci trovai dentro era niente altro che un assurdo elenco di rituali , ognuno dei quali veniva affiancato da una qualche minaccia . Fate questo , in questo modo, o sarete licenziati ! Per quanto strane potessero essere le mie manie , le loro erano peggiori. Ma i capi erano loro, pertanto erano le regole del manuale che contavano, senz’altro non le mie.

(dal libro “Siate diversi -Storie di una vita con l’Asperger).

Bicicletta, cucchiaio, mela. Quel film che parla dell’Alzheimer

Si tratta di una produzione spagnola, voluta dall’ex sindaco di Barcellona, Pasqual Maragall, che invece di tenere nascosta la sua malattia ha pensato che sarebbe stato utile per tutti far conoscere cosa vuol dire vivere con l’Alzheimer.

Il bellissimo e toccante film “bicicleta cuchara manzana”, qui nel titolo in catalano, voluto dall’ex sindaco di Barcellona Pasqual Maragall , ammalato di Alzheimer.

Grande merito alla televisione svizzera italiana che ha tradotto in italiano gran parte del film documentario “Bicicleta, cuchara, manzana” su questo sito.

Guarda il video (durata 48’34”)

 

Quelle ipotesi sbagliate degli anni ’70….

Prima di sapere quello che oggi sappiamo sull’autismo e sui disturbi dello sviluppo in generale , si riteneva che la maggior parte dei problemi comportamentali avesse origine da traumi infantili. Legittimo. In molti casi è vero. Inizialmente, quando conobbi Danny,  pensavo che nella sua infanzia dovesse aver subito qualche tipo di abuso e che fosse questa la ragione dei suoi comportamenti. Sapevo che era più affezionato a suo padre che a sua madre e che ogni sera suo padre gli accarezzava la schiena per farlo dormire;  questo è il genere di cose che fa immaginare l’inimmaginabile . Perché, diciamolo, è sempre questa la nostra prima reazione . no ? Siamo stati abituati a pensare che ci sia una causa sessuale o psicologica infantile per ogni cosa . E’ molto difficile accantonare le nostre convinzioni freudiane e considerare come prima possibilità un disturbo neurologico. Tuttavia, un mio amico psichiatra dice che, quando la causa è sconosciuta, la sua regola è cercare sempre una ragione fisica.
La nostra tendenza a considerare , come prima cosa, la psico-analisi è dimostrata dalla credenza, diffusa in passato, secondo cui i disturbi dello spettro autistico erano causati da “genitori frigorifero”, in particolare madri che allontanavano  i loro bambini rifiutandosi di stabilire con loro il contatto oculare, la teoria avanzata negli anni Settanta dallo screditato Bruno Bettelheim. E la tendenza a “incolpare” i profili psicologici delle persone con cui interagiamo, genitori e partner, è stata responsabile di alcuni gravi e quasi incredibili errori diagnostici, soprattutto negli anni dell’analisi freudiana , gli anni Sessanta, Settanta e Ottanta, quando parlavamo incessantemente delle nostre sofferenze.

(dal libro “Attraente, originale…emotivamente pericoloso – Una storia d’amore con una persona con sindrome di Asperger di Barbara Jacobs, un libro davvero illuminante  e piacevole da leggere credo per chiunque.)

Quel libro che parla anche di me.

“Mi aveva avvertito. Mi Aveva detto che aveva bisogno di spazio, Ma pensavo che questo significasse che non voleva essere pressato troppo dalla presenza o dalle richieste, e questo lo capivo perfettamente. Sia mio figlio che io detestiamo gli invasori spaziali ed eravamo riusciti a vivere bene insieme, gomito a gomito. Ma lo spazio di cui Danny aveva maggiormente bisogno era dentro la sua testa e uno dei luoghi in cui poteva trovarlo, come no, era un locale affollato con musica e gente che chiacchera. Più rumoroso era, e meglio era. Questo era qualcosa a cui nessuno mi aveva preparato, né avevo letto alcunché riguardo, né l’avevo intuito dal suo comportamento precedente. Ogni volta che entravamo in un locale esitava tenendosi leggermente dietro di me.

La musica preferita, in un ambiente dove ti senti a tuoi agio, e spegni il cervello.

A differenza di un vero alcolista, che avrebbe marciato direttamente verso il bancone per ridurre la distanza tra sé e la sua dipendenza, Danny non aveva fretta. Fui io a ordinare da bere. Anche la mia domanda: “cosa prendi?” fu accolta quasi con espressione assente. Appena entravamo, la sua faccia cambiava. Cadeva in una specie di vuoto sorridente che vi sarà capitato di vedere in qualcuno, sicuramente gli avete chiesto: “sei ancora con noi?”. Era il tipo di espressione davanti alla quale di solito si sventola una mano, cercando di conquistarsi l’attenzione della persona che sia davanti, che sembra partita per un mondo tutto suo. Poteva sembrare fatto, seriamente preoccupato o nel mezzo di un importante sogno a occhi aperti.
Non era sovraccarico del sistema, era spegnimento del sistema. Era il messaggio sul monitor del computer che ti dice: “attendere: arresto del sistema in corso”. Immaginate come può essere stare seduti delle ore a fissare quel messaggio? Gli parlai. Risposi modo vago, riconoscendo appena di non essere da solo. Sapevo che quella era felicita, ma non avevo mai visto la felicità di quel tipo. Deve essere la sensazione che prova il motore di un auto quando il serbatoio viene alimentato con la benzina.”
Rivediamo dunque le caratteristiche della sindrome di asperger. Primo:”è giovedì, perciò devo………”:Questo è il comportamento abitudinario e ripetitivo. Sappiamo già tutto. L’abitudine di Danny: avevo sottovalutato il loro potere. Secondo “tutto questo legame affettivo mi sta mettendo troppa ansia, perciò devo…”. Questo sovraccarico, di cui non mi ero neanche accorta. Fino a quando non aveva iniziato con le stereotipie, tirandosi capelli, avevo pensato che fosse felice a suo agio. La nostra scheletrica relazione iniziò a mostrare nuove crepe. In un questionario che spedì ai partner di persone con sindrome di Asperger volevo questa domanda: “il vostro partner è passivo, passivo aggressivo o controllante?”. Tutti diedero la stessa risposta: “tutte e tre le cose”.
Lasciate che vi mostri cosa intendevano, e cosa intendo io, che avrei scritto esattamente la stessa cosa.Eravamo nel nostro locale. Era il live club gay in cui eravamo già stati, un posto nel quale Denny si sentiva perfettamente a casa. Era attratto della trasgressione, a trovarsi in compagnia di persone che la maggioranza poteva emarginare proprio come lui, e  amava il rumore  e la frenesia di quel locale. Anch’io. C’erano tante cose da vedere. Troupe di prime donne dilettanti di talento affollato nel palco per eseguire loro versione del della canzone degli steps “Tragedy” con tutte le sue mosse.. Lì la gente mi conosceva. Era frequentato dalla gente dei media, sia etero che gay, non c’erano pregiudizi e io avevo sempre amici con cui chiacchierare mentre Danny si allontanava per riprendersi.”

(dal libro, meraviglioso e che mi ha incredibilmente sorpreso, “Attraente, originale..emotivamente pericoloso – Una storia d’amore con una persona con sindrome di Asperger” di Barbara Jacobs, che sto leggendo lentamente in questi mesi).

Tra il dire ed il fare…effetti dell’ipocrisia organizzativa

I documenti che le organizzazioni producono per esplicitare la loro missione e i valori di riferimento che fondano la loro visione della
realt‡ in cui operano e per mostrare al pubblico gli obiettivi che intendono perseguire tendono a celebrare le dimensioni positive dell’organizzazione stessa. Niente d Ï male in questo sforzo dÏ convincere sulla qualit‡ dei propositi e sulla validit‡ dei piani di azione, delle relazioni interne e con l’ambiente esterno, e di enfatizzare un’immagine sociale positiva dell’organizzazione. Il problema nasce quando la distanza tra il “dire e il fare” diviene troppo ampia. Al riguardo, da tempo, gli psicologi delle organizzazioni hanno usato il confronto tra “teorie dichiarate” e “teorie realmente praticate” per capire le dinamiche interne a un’organizzazione e quali correttivi usare per farla funzionare meglio riducendo la distanza tra i due modi di pensare. Un facile esempio si evidenzia quando, da un lato, i dirigenti insistono con i loro colIa boratori sull’importanza della riduzione dei costi per migliorare la sostenibilit‡ aziendale e, dall’altro, non esitano a pretendere premi esagerati o l iquidazioni invidiabili. In sostanza, se da tale confronto emerge un disinteresse per il miglioramento del la situazione o addirittura l’intenzione di manipolare le aspettative e le condotte dei lavoratori ai vari livelli si parla sempre pi? spesso di rischi di “ipocrisia organizzativa”.
Rispondendo a queste domande ci sÏ puÚ fare un’idea di cosa significhi tale espressione: hai bisogno di rileggerti la carta dei servizi o il bilancio sociale per sapere quali sono i principi ispiratori della tua organizzazione? Ci sono incongruenze tra i valori pubblicizzati dalla tua azienda e la realt‡ delle relazioni quotidiane con i col leghi, i superiori, Ï clienti? Noti mancanze di coerenza nei discorsi dei tuoi capi rispetto a quel lo che poi loro fanno? Capita spesso che condotte in contrasto con i valori dichiarati siano tollerate o addirittura
premiate perchÈ i buoni risultati sono comunque ottenuti? Rilievi e “lavate di capo” non sono proporzionati e sensati rispetto alle regole condivise? Se le risposte sono affermative allora il “lato oscuro” delle relazioni organizzative si intravede sotto forma di ipocrisia ovvero di disallineamento rispetto, per esempio, ai valori dichiarati di rispetto reciproco, equit‡ di trattamento, trasparenza e assunzione dÏ responsabilit‡, richiesta d1 coinvolgimento personale, interazioni lavorative costruttive e cosÏ via.
L’ipocrisia organizzativa concerne la distanza o l’incoerenza tra valori, credenze, regole dichiarate e le azioni concrete. Essa esprime una condizione di falsa apparenza (in greco ipocrisia significava, infatti, rappresentazione di un attore, simulazione), promossa e recitata pi? o meno bene dalle persone che rivestono ruoli organizzativi importanti, che produce effetti deleteri per il clima organizzativo e per la fluidit‡ degli scambi comunicativi.

Sono state osservate molte conseguenze negative del l’ipocrisia organizzativa:
a) aumento di contenziosi e conflitti per le divergenze nel l’interpretare gli obiettivi importanti da raggiungere, rafforzate dall’osservazione di condotte contraddittorie dei capi;
b) continua crescita di regole e linee guida comportamentali ritenute necessarie per arginare o proibire condotte derivanti da una incerta definizione d1iciÚ che Ë bene fare;
c) abbassamento dell’impegno lavorativo per il dubbio che esso possa non essere apprezzato dato il livello di incoerenza mostrato dai superiori rispetto ai veri obiettivi da raggiungere;
d) aumento dell’incertezza sul valore del lavoro svolto, soprattutto se i feedback ricevuti non corrispondono alle aspettative;
e) logorio dei rapporti interpersonali per la crescente sfiducia nella loro autenticit‡;
f) aumento di insoddisfazione, stress lavorativo e ansia che tendono ad intaccare il desiderio di rimanere nell’organizzazione e a far pensare ad alternative migliori.

Quando le condotte organizzative risultano contraddittorie al punto da violare aspettative considerate importanti (non solo circa gli esiti contrattuali, ma anche rispetto a valori etici, equit‡ e giustizia, rispetto reciproco, ecc.), la condizione di ipocrisia organizzativa supera i limiti d1 guardia. CiÚ avviene se si percepisce l’intenzione di ingannare la buona fede individuale e collettiva, si mostra una scarsa volont‡ di autocorreggere gli errori, si sfrutta una posizione di comando per raccontare false storie, tese a giustificare azioni inadeguate.
» possibile superare la condizione di ipocrisia organizzativa? » probabile che un suo totale superamento sia impossibile date la velocit‡ dei cambiamenti da attivare in risposta all’ambiente e la coabitazione di interessi e punti di vista divergenti che devono trovare
– nel rispetto di valori di fondo comuni e condivisi – un equilibrio anche parziale e provvisorio tra dichiarazioni di principio e concretezza delle condotte quotidiane. In tal senso, l’ipocrisia organizzativa, seppure non sempre eliminabile, va perÚ gestita con attenzione.
Le ricerche psicosociali pi? recenti mostrano, per esempio, che essa risulta pi? elevata laddove le comunicazioni tra lavoratori e management risultano inefficaci. Dunque, evitare che le comunicazioni scadenti spingano le persone a far congetture su come muoversi per operare bene (cosa fare, con chi, quando, come e, soprattutto, perchÈ) rappresenta un argine per il pessimismo e la sfiducia organizzativa derivanti dalla percezione di un gap tra dichiarazioni ufficiai i e condotte osservate. Compito di un dirigente autentico Ë quello di fornire sempre le ragioni delle modifiche proposte, impegnarsi a mantenere la coerenza anche di fronte a richieste contraddittorie.
assicurare l’ascolto – e non solo l’informazione dall’alto – sulle sfide in corso e sui pianiper fronteggiarle, esplicitare l’impegno a valorizzare gli sforzi dei lavoratori di adattarsi a cambiamenti necessari in una prospettiva che accomuni tutti e senza privilegi per qualche categoria (compresi i dirigenti).

Conflitto e violenza

Non c’è formazione possibile che non passi attraverso la strettoia del conflitto. Freud sapeva bene che l’amore e l’idealizzazione del Padre edipico non escludevano affatto una componente di aggressività inconscia rivolta al proprio genitore. Se non c’è ostacolo , barriera, alterità , non c’è formazione, trasmissione, desiderio.

Qual è la differenza tra violenza e conflitto ? Il conflitto implica che l’istanza della differenziazione sia riconosciuta e non tarpata con l’esercizio della semplice negazione autoritaria.

(dal libro Cosa resta del padre ? di Massimo Recalcati, conosciuto grazie al bel programma di Concita De Gregorio “Pane quotidiano” che purtroppo non ritrasmettono più la sera, e che in streaming non è la stessa cosa..)