Non sono mai stato b…

Non sono mai stato bravo nei test di memoria …. spesso ricordo dove sono nate le persone ma non come si chiamano….in TNT poi è un macello ogni volta (beh, non ci vado spesso…) . Un’altra cosa che mi dimentico dopo due secondi che l’ho letta e’ la differenza tra deduzione e detrazione, in ambito tributario. Ora lo scrivo nel blog cosi’ almeno so dove andarla a cercare in modo semplice e veloce.

La detrazione è un abbattimento del debito di imposta, mentre la deduzione è un abbattimento della base imponibile. Ora ho capito cosa vuol dire quel documento della CGIL dove si dice che “ Il sindacato ritiene fondamentale, per una politica economica «l’utilizzo intelligente della politica tributaria». Che significa? Una politica fiscale fondata sulla progressività, in cui ciascun cittadino partecipi allo sviluppo del Paese in base al reddito posseduto, non concordato, né condonato. E ancora: una politica fiscale che sceglie con le detrazioni, non con le deduzioni, gli obiettivi su cui orientare la solidarietà, soddisfare i bisogni, indirizzare i consumi.

  L’impatto am…

 

L’impatto ambientale di un Pc

Uno studio dell’ONU rivela l’impatto ambientale della produzione di Pc: vengono usate 1,8 tonnellate di materiale grezzo per la costruzione di un singolo desktop.

[ZEUS News – www.zeusnews.itNews, 10-03-2004]

La notizia proviene da Tokyo, dove uno studio universitario sponsorizzato dalle Nazioni Unite ha rivelato l’entità dell’impatto ambientale di ogni singolo computer prodotto.

Le catene di montaggio, per costruire un singolo PC desktop, impiegano infatti oltre 1,8 tonnellate (già, avete letto bene) tra metalli, carburante fossile ed altri elementi.

Secondo lo studio, la costruzione di un PC standard corredato di un monitor 17″ a tubo catodico richiede almeno 240 kg di carburante fossile, 22 kg di vari elementi chimici e 1,500 kg di acqua: in termini di peso, il totale di questi materiali equivale a una piccola macchina utilitaria.

“Per diminuire l’impatto ambientale”, dice Eric Williams (ricercatore all’Università delle Nazioni Unite di Tokyo ed autore dello studio), “bisogna prolungare la vita d’uso dei computer”.

In parole povere prima di fare un aggiornamento generale dell’hardware di sistema è bene non disfarsi del vecchio PC, destinandolo agli impianti di riciclaggio (che comunque necessitano di molta energia). La scelta migliore è di venderlo oppure donarlo a chi non ne possiede uno, allungando considerevolmente la vita dell’amato calcolatore.

Lo studio mette in luce che in tal modo si riesce a risparmiare energia fino a 20 volte rispetto alla via del riciclaggio.

Questo perchè gran parte dell’energia richiesta nel processo produttivo viene utilizzata per assemblare semiconduttori e circuiti integrati, che al momento del riciclaggio restituiscono solamente piccolissime parti di materiali riutilizzabili. Eric Williams sostiene che per riciclare un singolo banco di memoria RAM da 2 MByte, del peso di 2 grammi, vengono impiegati 1,7 kg di carburante e 32 kg di acqua.

Il ricercatore, autore della pubblicazione “Computers and the environment understanding and managing their impacts” (ISBN: 1-4020-1680-8, pubblicato dalla Kluwer Academic Publishers), dichiara che la soluzione migliore è quella offerta dal mercato di seconda mano: meglio del riciclaggio, meglio dello smaltimento diretto. Solo in questa maniera è possibile ammortizzare l’impatto ambientale, controbilanciandolo con un maggiore potenziale di produttività (e longevità) di ogni singola macchina.

Per approfondire l’argomento, l’Università delle Nazioni Unite offre un sito dedicato alle tematiche ambientali legate all’informatica.

Tommaso Lombardi

domenica prossima 7 …

domenica prossima 7 marzo, alle ore 23,20 su Raitre andrà in onda Report con una nuova inchiesta dal titolo:

MORIRE DI PACE di Sabrina Giannini
www.report.rai.it

Un militare può davvero morire in tempo di pace a causa dell’uranio impoverito? A un mese dalla morte del
Caporal maggiore Melis e cinque anni dopo il primo reportage (primo in assoluto per la televisione italiana),
Report ritorna sull’argomento. Cinque anni fa avevamo riportato un solo caso di denuncia, quello della madre di
Salvatore Vacca, morto di leucemia di ritorno dalla Bosnia. Oggi sono 24 i morti per “Sindrome dei Balcani” e
oltre 200 i malati. Quasi tutti colpiti da tumori al sistema emo-linfatico. I parenti delle vittime e due associazioni
ritengono che quelle patologie siano causate dalle missioni militari fatte all’estero, e puntano il dito sull’uso
delle armi all’uranio impoverito da parte della NATO.
La commissione medica Mandelli ha escluso una correlazione tra uranio impoverito e tumori nei soldati.
Secondo l’Osservatorio militare quella relazione è viziata da un errore di fondo che, se fatto in cattiva fede dal
Ministero della Difesa, è da considerarsi un maldestro esempio di insabbiamento. Basandosi esclusivamente
sui fatti e documenti e tornando sui luoghi delle missioni in Bosnia e Kossovo, emergono le responsabilità dei
vertici militari che hanno tardivamente avvertito i nostri soldati sul reale pericolo dell’uranio impoverito,
nonostante gli americani usassero le precauzioni dal ’95. Oggi assicurano di essere adeguatamente protetti e
controllati al ritorno dalle missioni. Appunto: come tornano dalle missioni in Iraq e Afghanistan i nostri soldati
visto che inglesi e americani non hanno dichiarato dove hanno usato le armi all’uranio impoverito? Una scoria che potrebbe uccidere anche in Italia. La Sardegna infatti possiede numerosi poligoni militari sperimentali e di
addestramento ideali per le più raffinate armi in commercio. Tra la popolazione dell’area circostante il
poligono di Salto di Quirra (provincia di Cagliari) c’è un’incidenza di tumori al sistema emo-linfatico di molto
superiore alla media nazionale e si tratta delle stesse neoplasie che colpiscono i soldati di ritorno dalle
missioni nei Balcani. Non ci sono prove scientifiche. E non sono state cercate. Tutto questo mentre l’OMS
dichiara non esserci un nesso di casualità tra uranio impoverito e cancro e l’ONU, che considera le armi
all’uranio impoverito un crimine contro l’umanità.

Lorenzo Mazzucato
(delegato Cgil)

  Pantani nel …

 

Pantani nel deserto dei depressi    di UMBERTO GALIMBERTI

La cosa più sconvolgente nella tragedia di Marco Pantani forse non è la sua morte, ma l’assoluta solitudine in cui era stata lasciato negli ultimi anni, quando le glorie del campione cedevano il posto alle sofferenze mute e forse abissali dell’uomo.
Educati come siamo alla cultura dell’applauso non sappiamo neanche dove sta di casa la cultura dell’ascolto. Distribuiamo farmaci per contenere la depressione, ma mezz’ora di tempo per ascoltare il silenzio del depresso non lo troviamo mai. Con i farmaci, utili senz’altro, interveniamo sull’organismo, sul meccanismo biochimico, ma la parola strozzata dal silenzio e resa inespressiva da un volto che sembra di pietra, chi trova il tempo, la voglia, la pazienza, la disposizione per ascoltarla? Tale è la nostra cultura. E allora il silenzio diventa tumultuoso, e la depressione prende a parlare, non con le nostre parole banalmente euforiche o inutilmente consolatorie, ma con quelle rotture simili alla lacerazione delle ferite quando il corpo le conosce come ferite mortali.
È a questo punto che lo spettro della morte si annuncia e inizia a parlare con il tono tranquillo di chi sa di tenere nelle proprie mani tutte le sorti.
Fine del baccano indiavolato in cui quotidianamente tentiamo di esprimere la nostra gioia. Un baccano che è la parodia del grido d’angoscia che, se fosse ascoltato, ci farebbe riconoscere un uomo nel deserto delle cose.
Un deserto che si espande da quel presente muto, in cui il depresso disabita per invivibilità ogni evento, al passato che ha desertificato glorie, trionfi e amori che non si sono radicati, progetti estinti al loro sorgere, ricordi che non hanno nulla a cui riaccordarsi, in quella solitudine frammentata dove l’identico, nella sua immobilità senza espressione, coglie quell’altra faccia della verità che è l’insignificanza dell’esistere.
Non si può parlare neppure di disperazione, perché l’anima del depresso non è più solcata dai residui della speranza. E le parole che alla speranza alludono, le parole di tutti, più o meno sincere, le parole che non si rassegnano, le parole che insistono, le parole che promettono, le parole che vogliono guarire languono tutte attorno al depresso, come rumore insensato. Il rumore che gli altri, quelli che un tempo applaudivano, si scambiano ogni giorno per far tacere a più riprese quella verità che il depresso, nel suo silenzio, dice in tutta la sua potenza.
Bisogna avere il coraggio di vivere fino in fondo anche l’insignificanza dell’esistenza per essere all’altezza di un dialogo con il depresso. E solo muovendosi intorno a questa verità, che è poi la verità che tutti gli uomini si affannano a non voler sentire, può aprirsi una comunicazione.
Comunicazione rischiosa, non perché ci può trascinare nella depressione, ma perché può tradire la nostra insincerità. Il depresso infatti è sensibile al volto che smentisce la parola, e il suo silenzio smaschera la finzione e l’inconsistenza. Per questo i volti dei depressi sono rigidi e pietrificati.
Abitando la verità dell’esistenza con tutto il suo dolore, essi non stanno al doppio gioco della parola che danza disinvolta nell’insensatezza della vita, o che, impegnata, indica una formazione di senso laggiù ai confini del deserto.
Il depresso sa che il confine, come l’orizzonte, è sempre al di là di ciò che di volta in volta appare come confine e orizzonte, sa che non c’è felicità nella sequenza dei giorni, che il sole che muore è lo stesso che risorge, e che nel cerchio perfetto che il ritorno disegna naufraga il progetto che per un giorno s’era levato per reperire un senso nella vita.
Si può spezzare questo cerchio tragico e perfetto? Sì, se siamo capaci di ritrovare l’essenza dell’uomo che Hölderlin indica là dove dice: “Noi siamo un colloquio” . Il colloquio è fatto solo di parole, ma le parole non si dicono solo, si ascoltano anche. Ascoltare non è prestare l’orecchio, è farsi condurre dalla parola dell’altro là dove la parola conduce. Se poi, invece della parola, c’è il silenzio dell’altro, allora ci si fa guidare da quel silenzio.
Nel luogo indicato da quel silenzio è dato reperire, per chi ha uno sguardo forte e osa guardare in faccia il dolore, la verità avvertita dal nostro cuore e sepolta dalle nostre parole. Questa verità, che si annuncia nel volto di pietra del depresso, tace per non confondersi con tutte le altre parole.
Parole perdute per il senso profondo della nostra esistenza, che ogni giorno tentiamo di disabitare dietro le maschere in cui è dipinta ovvietà, incrostazioni di felicità, recitate euforie.
Esaltarci per i trionfi o piangere per la morte sono gesti insufficienti al limite dell’ovvio, così come non basta batter le mani tanto per una vittoria quanto per il passaggio di una bara. La depressione chiede di più: non entusiasmi, non pianti, non applausi. La depressione chiede ascolto.
Quell’ascolto che tutti abbiamo negato a Marco Pantani e che, a partire dalla sua morte, potremmo incominciare a inaugurare come primo segno di una cultura meno plaudente perché più riflessiva, più attenta alla solitudine degli uomini.

18 febbraio 2004 – www.repubblica.it

MANDIAMOLI A LAVOR…

MANDIAMOLI A LAVORARE:

Sull’Espresso di qualche settimana fa c’era un articoletto che spiega che recentemente il Parlamento ha votato all’UNANIMITA’e senza astenuti (ma

và?!) un aumento di stipendio per i parlamentari pari a circa 1.135,00 Euro al mese.

Inoltre la mozione e stata camuffata in modo tale da non risultare nei verbali ufficiali.

STIPENDIO Euro 19.150,00 AL MESE

STIPENDIO BASE circa Euro 9.980,00 al mese PORTABORSE circa Euro 4.030,00 al mese (generalmente parente o familiare) RIMBORSO SPESE AFFITTO circa Euro 2.900,00 al mese INDENNITA’ DI CARICA (da Euro 335,00 circa a Euro 6.455,00)

+

TELEFONO CELLULARE gratis

TESSERA DEL CINEMA gratis

TESSERA TEATRO gratis

TESSERA AUTOBUS – METROPOLITANA gratis

FRANCOBOLLI gratis

VIAGGI AEREO NAZIONALI gratis

CIRCOLAZIONE AUTOSTRADE gratis

PISCINE E PALESTRE gratis

FS gratis

AEREO DI STATO gratis

AMBASCIATE gratis

CLINICHE gratis

ASSICURAZIONE INFORTUNI gratis

ASSICURAZIONE MORTE gratis

AUTO BLU CON AUTISTA gratis

RISTORANTE gratis (nel 1999 hanno mangiato e bevuto gratis per Euro 1.472.000,00). Intascano uno stipendio e hanno diritto alla pensione dopo 35 mesi in parlamento mentre obbligano i cittadini a 35 anni di contributi (per

ora!!!)

Circa Euro 103.000,00 li incassano con il rimborso spese elettorali (in violazione alla legge sul finanziamento ai partiti), più i privilegi per quelli che sono stati Presidenti della Repubblica, del Senato o della Camera. (Es: la sig.ra Pivetti ha a disposizione e gratis un ufficio, una segretaria, l’auto blu ed una scorta sempre al suo servizio) La classe politica ha causato al paese un danno di 1 MILIARDO e 255 MILIONI di EURO.

La sola camera dei deputati costa al cittadino Euro 2.215,00 al MINUTO !!

Far circolare…….si sta promovendo un referendum per l’ abolizione dei privilegi di tutti i parlamentari………… queste informazioni possono essere lette solo attraverso Internet in quanto quasi tutti i massmedia rifiutano di portarle a conoscenza degli italiani……

La multinazional…

La multinazionale ha depositato in Europa
un’esclusiva sul frumento con cui si fa il “Chapati”

India, guerra sul pane brevettato

i contadini contro la Monsanto

Gli agricoltori hanno fatto ricorso appoggiati dagli ambientalisti di Greenpeace e dall’ecologista Vandana Shiva

di ANDREA DI STEFANO

E’ battaglia sul pane indiano. I contadini del paese asiatico accusano la Monsanto di aver “rubato” – attraverso il brevetto Ep445929 depositato a maggio allo European Patent Office – il frumento Nap Hal, con cui da secoli viene prodotto il “Chapati”, il loro croccante e gustoso pane nazionale. Sotto le insegne della Harat Krisnak Samaj (la maggiore organizzazione agricola indiana) e appoggiati dall’ecologista Vandana Shiva, da Greenpeace e da un istituto di ricerca di New Delhi, hanno fatto ricorso presentando il primo febbraio un’opposizione formale all’Ufficio brevetti europeo.

Dietro lo scontro si nasconde una svolta che può essere decisiva. La brevettazione di una specie vegetale non geneticamente modificata può infatti aprire la strada ad un fenomeno che negli Stati Uniti è già realtà: le piante normalmente usate in agricoltura possono essere brevettate e gli agricoltori sono così chiamati a pagare royalties alle grandi aziende che hanno provveduto a depositarne il diritto di proprietà intellettuale.

Secondo Greenpeace, il brevetto della Monsanto sul Nap Hal è un atto di biopirateria: “Si tratta di un vero e proprio furto ai danni dei contadini indiani – dice Christoph Then, esperto di Greenpeace per le questioni brevettuali – con la nostra opposizione chiediamo all’European Patent Office di rivedere la sua decisione. Secondo la legislazione comunitaria, non è possibile brevettare piante normalmente coltivate, ma ci sono evidentemente delle lacune nelle regole dell’Unione Europea che devono essere riviste”.

Il primo studio scientifico sulle particolarità del Nap Hal viene pubblicato nel 1998: questo frumento di colore giallo intenso è privo di alcune sequenze genomiche che ne determinano un’eccezionale capacità nei processi di panificazione.
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Secondo l’associazione degli agricoltori indiani, si tratta di un processo naturale, frutto della tradizionale selezione effettuata dagli agricoltori che poco per volta hanno individuato le sementi più idonee per ottenere una farina che permette di produrre un pane molto croccante.

La Monsanto replica che invece il brevetto riguarda una specie, chiamata Galatea, sviluppata dall’Unilever: quando la multinazionale Usa nel 1998 ha rilevato la divisione cerealicola ha trovato anche queste sementi, che erano state precedentemente acquistate da una banca di geni britannica, e ha provveduto a depositarne il brevetto negli Stati Uniti, in Giappone, Canada, Australia e Unione Europea.

“Quello che raccontano queste persone è una favoletta. Non abbiamo rubato nulla a nessuno e siamo decisi a difendere i nostri brevetti in ogni sede opportuna”, dice Thomas McDermott direttore delle relazioni esterne della Monsanto Europa-Africa, “Galatea ha meno glutine delle altre varietà di frumento e questa ridotta “viscoelasticità” ne determina una minore espansione durante la panificazione. E comunque è assolutamente ridicolo ipotizzare che i coltivatori indiani debbano pagare royalties per le sementi di Nap Hal. Monsanto non intende commercializzare Galatea e ha deciso di uscire dal business del frumento in Europa”.

Ma secondo il centro di ricerche indiano, le caratteristiche descritte nel brevetto sono invece esattamente quelle che hanno fatto la fortuna del Nap Hal presso i contadini asiatici: “Nel brevetto non c’è nulla di nuovo rispetto allo stato dell’arte del frumento che noi conosciamo e usiamo da centinaia di anni. Semplicemente vengono descritte in modo dettagliate le sequenze genomiche che sono state selezionate durante le coltivazioni”.
(13 febbraio 2004) – repubblica.it

http://www.intermarx…

http://www.intermarx.com/ossto/foibe.html

Claudia Cernigoi, Operazione foibe a Trieste, Edizioni Kappa Vu, Udine 1997

Operazione foibe a Trieste.
Come si crea una mistificazione storica:
dalla propaganda nazifascista attraverso la guerra fredda fino al neoirredentismo.

E’ questo il titolo del libro di Claudia Cernigoi. L’autrice (che è giornalista pubblicista dal 1981, ha collaborato alle prime radio libere triestine ed oggi dirige il periodico “La nuova alabarda”) ha deciso di indagare sulle “foibe” per dare una mano a mettere la parola fine alle speculazioni politiche su questo argomento. Il libro è edito dalle Edizioni Kappa Vu, per la collana I Quaderni del Picchio (Udine, luglio 1997); il prezzo di copertina è di lire 22mila.

Un altro libro sulle foibe? Certamente, perché in questo libro si affronta il problema da un’angolazione del tutto diversa da come si è finora parlato di foibe: innanzitutto valutando cosa c’é stato “prima” (storicamente parlando); analizzando poi come si sono svolti i fatti “durante” ed infine cosa è successo “dopo”, ovvero come la propaganda reazionaria è riuscita a costruire il “caso foibe”.
“Prima” delle foibe ci sono stati vent’anni di fascismo, violenze, snazionalizzazioni forzate, repressione feroce per gli oppositori del regime, una guerra d’aggressione che coinvolse anche popolazioni civili che furono sterminate e deportate: di questo si parla nel capitolo “A Trieste la storia non inizia il 1. maggio 1945”, di questo e delle varie formazioni armate che operarono nella zona e furono poi “vittime” delle “deportazioni”. Si parla qui anche dell’orrendo fenomeno del collaborazionismo dei “civili” coi nazifascisti, fenomeno non ancora sufficientemente analizzato dagli storici locali.
Come si sono svolti i fatti “durante”? Ovvero: facciamo finalmente quella che viene definita, con un’espressione orribile, la “contabilità degli infoibati”, cosa che finora nessuno storico ha voluto fare, vuoi per un malinteso senso di rispetto per i morti, vuoi per mero rifiuto di fare chiarezza sulla questione. Ma se vogliamo rispettare i morti dobbiamo fare chiarezza storica sulla loro morte, ed è anche per rispetto dovuto ai vivi che si deve dire chi è morto, e come, e perché è stato ucciso, che cosa ha realmente fatto in vita; perché gli innocenti sono innocenti, però i criminali di guerra non lo sono, e queste sono cose che vanno dette. Contabilità dei morti, dunque: e al di là delle roboanti cifre sparate da vari pseudo-storici, in questo libro si dimostra che dall’attuale provincia di Trieste nei fatidici “40 giorni” sono scomparse 517 persone, suddivise in queste categorie: Guardia di Finanza: 112; Militari di formazioni varie: 151; Polizia (compresi membri delle SS): 149; civili (compresi collaborazionisti e spie di vario tipo): 105. Con queste cifre non si può quindi parlare di genocidio, né di pulizia etnica, e neppure di violenza politica finalizzata alla conquista del potere.
Infine in questo libro si delinea la manovra propagandistica che ha portato a creare la “mitologia della foiba”: dai libelli nazisti sulle foibe istriane apparsi gi à alla fine del ’43, ai documenti creati dai servizi segreti della X Mas (1) e diffusi durante la guerra, ai testi mistificanti di Bartoli, Papo, Pirina, fino alla recente inchiesta sulle foibe istriane condotta dal P.M. romano Pititto.
Un capitolo particolare è dedicato alla cosiddetta “foiba” di Basovizza, monumento nazionale, che è in realtà il pozzo di una vecchia miniera abbandonata. Documenti alla mano, a noi non risulta che dentro quel pozzo vi siano salme di infoibati, né i 300 metri cubi incisi sulla lapide fino all’anno scorso, né tantomeno i 500 metri cubi che sono comparsi sulla lapide solo un paio di mesi fa: per questo, per fare chiarezza storica e politica una volta per tutte, chiediamo che si apra il pozzo e si verifichi che cosa c’é dentro. Una volta verificato questo si potrà decidere se e perché andare ad inginocchiarsi sulla “foiba”, e in onore di chi.

a cura della Redazione de “La Nuova Alabarda”
direttore responsabile Claudia Cernigoi, C.P. 57 – Trieste Fax 040-577316

(1) La “Decima Mas” era quel corpo della marina militare dell’Italia fascista prima, e della RSI poi, che fu riciclato dagli angloamericani nel ’45/’46 in funzione anticomunista e costituì il nucleo originario della più nota struttura “Gladio” (il gladio era il simbolo della X Mas). Il suo capo, Junio Valerio Borghese, ha svolto un ruolo attivo nella politica italiana “dietro le quinte” fino agli anni ’70, quando scoppiò il caso del progettato golpe che porta il suo nome.

Interessantissimo anche il dibattito-scontro che ho trovato qui:

http://www.italia.indymedia.org/news/2002/12/131511_comment.php