Tremonti, che spudorato

dal blog de “L’Espresso”

Ha ricominciato la sua esperienza di ministro dell’Economia nel 2008 reggendo il sacco all’attuazione delle più demagogiche promesse elettorali di Silvio Berlusconi. E così Giulio Tremonti ha esordito nel ritrovato incarico regalando anche ai più abbienti un’esenzione dall’Ici sulla prima casa che ha sottratto all’Erario – e segnatamente alle casse dei Comuni – qualcosa come circa 3 miliardi di euro. Poi, in rapida sequenza, ha abrogato le regole sulla trasparenza o tracciabilità dei pagamenti, che Vincenzo Visco aveva introdotto per rendere la vita difficile agli evasori più incalliti.
Ora, da qualche tempo, lo stesso Tremonti non ha perso il vizio di manifestare le sue opinioni con apodittica saccenteria, ma sembra diventato un’altra persona. Il registro delle sue parole ha avuto una svolta a 180 gradi e il ministro ama diffondere di sé l’immagine del custode rigoroso e inflessibile dei saldi di bilancio. Al punto che per rifarsi una verginità in materia è tornato sui suoi passi reintroducendo financo alcune norme anti-evasione volute dal suo inviso predecessore. Né perde occasione per smarcarsi dall’ottimismo di maniera del presidente del Consiglio, proclamando che l’orizzonte resta cupo perché la crisi è tutt’altro che finita.

Come valutare questa subitanea metamorfosi? Come un sincero e operoso ravvedimento? Non pochi accreditano questa idea, che trova ascolto anche fra esponenti dell’opposizione. Tanto che c’è chi vagheggia l’ipotesi di una sostituzione di Berlusconi con Tremonti a Palazzo Chigi dopo le eventuali elezioni anticipate o addirittura prima per scongiurare uno scioglimento prematuro delle Camere. Del resto lo stesso Cavaliere fa fatica a nascondere la sua insofferenza verso il proprio ministro dell’Economia considerandolo ormai un rivale furtivamente impegnato con l’appoggio leghista a fargli le scarpe.

Ma proprio questa presunta ambizione verso Palazzo Chigi dovrebbe far riflettere meglio sui requisiti della patente di rigorista che tanti, un po’ troppo disinvoltamente, sembrano riconoscere a Tremonti. È vero che da ultimo egli mostra di voler resistere all’accattonaggio molesto di molti suoi colleghi. Ma è non meno vero che i suoi tagli banalmente “lineari” alla spesa pubblica non solo non hanno evitato la corsa della medesima in rapporto al Prodotto interno lordo, ma ne hanno anche aggravato le distorsioni distributive rinunciando a disegnare – magari anche dal lato delle entrate – una politica di bilancio degna di chi oggi vorrebbe farsi passare per un nuovo Quintino Sella.

La tardiva austerità tremontiana, poi, non cancella che, nei trenta mesi della sua gestione, l’ottimo Giulio è riuscito nella brillante impresa di far ricrescere la montagna del debito pubblico di oltre 200 miliardi. E ciò pur avendo avuto la fortuna di non dover impegnare grandi risorse per scongiurare fallimenti bancari come, viceversa, è toccato di fare ad altri suoi colleghi, non solo europei. Fondati o no che siano i dubbi sulle mire presidenziali di Tremonti, l’abito rigorista con cui oggi si presenta appare nulla più che il frutto di una scaltra ma anche un po’ spudorata manipolazione mediatica.

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