ROMA – «Mai più», avevano garantito non più tardi di un anno e mezzo fa. La parola «arbitrato» sarebbe stata bandita dai vocabolari della Pubblica amministrazione italiana, allontanata come una peste che ogni anno provoca un salasso di centinaia di milioni di euro per le casse pubbliche e fa ricchi gli arbitri. La fine di un’ epoca era stata decisa con la legge Finanziaria del 2008 per volontà dell’ ex ministro Antonio Di Pietro, non senza contrasti e difficoltà. Ma si era evidentemente sottovalutato il potere delle lobby. Quelle dei costruttori, che grazie agli arbitrati rimpinguano i bilanci e sistemano i conti. Quelle degli avvocati privati. E quelle degli arbitri «pubblici» e dei presidenti dei collegi arbitrali, quasi sempre alti burocrati come magistrati amministrativi e avvocati dello Stato che arrotondano cospicuamente le loro entrate. Con in più la beffa: perché in questa specie di giustizia privata che serve a regolare il contenzioso fra le imprese e la Pubblica amministrazione e alla quale si fa regolarmente ricorso, perché la tradizionale giustizia civile non funziona, lo Stato perde quasi sempre. Così, di proroga in proroga, gli arbitrati sono sopravvissuti. E sopravvivranno almeno fino al 31 dicembre di quest’ anno. Poi si vedrà. Intanto il 2008 è stato un altro anno nero per le «stazioni appaltanti», come fa intendere senza troppi giri di parole la relazione dell’ Autorità sui contratti e le forniture pubbliche, presentata ieri dal presidente Luigi Giampaolino. Lo scorso anno sono stati attivati 184 arbitrati. In quattro casi il collegio ha rigettato tutte le richieste, sia quelle dell’ impresa che quelle dell’ amministrazione. In due si è dichiarato incompetente. Ma ben 173 volte le richieste delle imprese private sono state accolte: quasi sempre parzialmente, talvolta completamente. In appena cinque circostanze su ben 184 le pretese dei privati sono state invece del tutto rigettate. La sostanza è che nel 94% dei giudizi, davanti a un collegio spesso presieduto da un dipendente statale di alto rango, lo Stato ha perduto. Avendo la meglio in meno del 3% dei casi. Con il risultato che l’ opera, prendendo per buone le stime storiche, costerà anche il 30% più del preventivato e i cantieri si chiuderanno come al solito in ritardo. E nemmeno gratis, perché due volte su tre l’ amministrazione pubblica «soccombente» ha pure dovuto pagare la salata parcella degli arbitri. Quanto salata? Gli arbitrati sono di due categorie: quelli «amministrati» e quelli «liberi». I primi seguono le procedure previste da un organismo indipendente, la Camera arbitrale, in particolare per la nomina del presidente e per i compensi degli arbitri. Negli arbitrati liberi, invece, il presidente viene scelto di comune accordo fra le parti e il collegio si «autoliquida» le parcelle. Va da sé che questi ultimi sono di gran lunga i più gettonati: lo scorso anno sono stati 158 contro 26. Non che per lo Stato ci sia stata una grande differenza, visto che la parte pubblica è risultata soccombente nell’ 88% degli arbitrati amministrati (23 volte su 26) contro il 95% degli arbitrati cosiddetti «liberi» (150 volte su 158). Ma almeno ha risparmiato sulle parcelle degli arbitri, decisamente più modeste. Perché negli arbitrati liberi, dove i compensi dovrebbero pure fare riferimento a delle tariffe stabilite, il collegio può aumentarsi fino al doppio la retribuzione massima, «in relazione alla particolare complessità delle questioni trattate, alle specifiche competenze utilizzate e all’ effettivo lavoro svolto». Per farla breve, in un arbitrato relativo a un contenzioso da 35 milioni di euro, il collegio si è «autoliquidato» un compenso di un milione 320 mila euro, cifra pari a sei volte e mezzo un «massimo tabellare» di 200.822 euro e 84 centesimi. E non è stato certamente l’ unico caso. In un altro arbitrato da 133 milioni il compenso «autoliquidato» del collegio ha raggiunto 1,4 milioni, quattro volte il massimo tabellare. In un terzo giudizio, nel quale si discuteva per 38 milioni, gli arbitri si sono staccati un assegno da 1,3 milioni, sei volte la tariffa massima. Tirate le somme, gli arbitri si sono messi in tasca lo scorso anno 20 milioni, euro più euro meno. Sergio Rizzo Il caso