di Salvatore Cannavò
su Liberazione del 31/01/2009
Istantanee dalla crisi: scendono i salari, aumenta la disoccupazione, cala la produzione ma aumentano anche i super-ricchi. Se mettiamo l’una accanto all’altra le principali notizie della giornata di ieri la fotografia complessiva è questa e delinea una situazione piuttosto terrificante per milioni di famiglie ma, allo stesso tempo, indica l’unica strada percorribile per affrontare di petto l’attuale fase di recessione galoppante: una radicale redistribuzione del reddito.
La notizia più curiosa proviene dal rapporto redatto dall’Eurispes, rapporto piuttosto ampio e articolato, cui attingeremo a piene mani per altri dati, e che indica un dato significativo. «Nel 2006 le famiglie italiane che potevano contare su un capitale superiore ad un milione erano 359mila. Nel giro di pochi anni, e precisamente l’anno prossimo, questa quota è destinata ad aumentare di molto: circa 712mila. Si tratta di una crescita impetuosa equivalente a +98%. Un’ulteriore prova di quanto andiamo ripetendo da diversi anni e cioè che la redistribuzione del reddito avviene sistematicamente verso l’alto, dal salario ai profitti e alle rendite, rendendo più poveri i lavoratori italiani e più ricco chi è già ricco. Secondo la Banca dei Regolamenti Internazionali (Bri) il trasferimento di risorse che si è verificato negli ultimi dieci anni dal basso verso l’alto, o meglio dal lavoro al capitale, è di 120miliardi di euro all’anno provocando una perdita di salario reale di 7.000 euro annui. Dove vanno queste risorse è evidente, basta vedere la tenuta dei consumi alti e del tenore di vita delle classi agiate.
L’emergenza salari
Di converso, e siamo sempre all’Eurispes, sul fronte dei salari è un’emergenza continua. «Il 2009 si apre – dice l’istituto – alla luce dell’emergenza salariale: gli italiani guadagnano poco, meno dei loro colleghi europei e negli ultimi anni hanno faticato molto a reggere l’aumento del costo della vita. La dinamica retributiva – si spiega – si è inceppata. L’occupazione è aumentata. E a fronte di una crescita di quasi 3 milioni di unità nel decennio 1997-2007 non si è invece registrata una pari tendenza positiva nell’andamento delle retribuzioni. Al contrario, la crescita salariale si è fermata, circostanza inusuale in fasi di espansione del ciclo occupazionale». C’è poco da aggiungere se non che in conseguenza di questo dato il 53,4% degli italiani confessa di incontrare difficoltà a far quadrare il proprio bilancio familiare. Solo una famiglia su tre – segnala il rapporto – riesce a risparmiare qualcosa (33,4%), mentre il 66,1% delle famiglie non ce la fa a raggiungere il traguardo di fine mese. Due famiglie su tre non riescono a far quadrare i conti e così succede che si indebitino, anche ricorrendo al credito al consumo. Nel 2008, infatti, sono aumentati gli italiani che, per pagare beni e servizi, hanno optato per il pagamento dilazionato, ben il 36,9%, percentuale in crescita di 11 punti rispetto all’anno precedente. Tra le categorie di beni acquistati con il credito al consumo, la più diffusa è l’auto (58,7%), ma le rate sono usate anche per elettrodomestici (40,3%), computer o telefonini (28,9%), arredamenti e servizi per la casa (22,1%). Il rapporto definisce preoccupante invece il dato relativo al 19,4% dei cittadini costretti a contrarre debiti per cure mediche, in aumento di oltre 14 punti percentuali rispetto al sondaggio dell’anno precedente. E non manca un 5,6% di italiani che abbia fatto ricorso al credito al consumo per acquistare beni alimentari.
Eppure, nonostante questi dati, il presidente dell’Eurispes decide di mettere l’accento sull’ottimismo. «Negli ultimi mesi – ha spiegato Gian Maria Fara – gli italiani sono stati bombardati da una quantità enorme di messaggi diffusi dai media su una crisi che avrebbe dovuto scuotere dalle fondamenta il nostro sistema economico, finanziario e produttivo. L’allarmismo prodotto da una lettura superficiale delle dinamiche complessive si è rivelato talvolta eccessivo. L’Italia sta attraversando la tempesta finanziaria mondiale senza subire colpi irreparabili. Il sistema tiene».
La frase farà felice la maggioranza di governo e il presidente del Consiglio in persona che ci tiene molto a far risaltare solo messaggi positivi, ma cozza con la situazione reale e con il contesto globale.
Una crisi verticale
Secondo l’Istat – anche in questo caso si tratta di dati resi noti ieri – l’occupazione nelle grandi imprese ha registrato a novembre un calo annuo dell’1% al lordo della cassa integrazione e del 2,1% al netto della Cig. Complessivamente, nei primi 11 mesi del 2008 la variazione media dell’occupazione, rispetto allo stesso periodo del 2007 è stata di -0,2% al lordo della Cig e -0,4% al netto della Cig. L’occupazione è calata soprattutto nelle grandi imprese dell’industria, dove si è registrato un calo su base annua del 2,1% al lordo della Cig e del 4,7% al netto della Cig. La Cassa integrazione quindi svolge il suo ruolo di ammortizzatore, come dimostra il boom di ricorsi registrato a novembre, i più alti in assoluto nelle serie storiche dell’Istat.
Ma le cose sono destinate a peggiorare, come dimostra il quadro fornito dal presidente dell’Ance, associazione dei costruttori edili, che parla di una riduzione dei livelli produttivi per il 2009 del 6,8% invece dell’1,5% previsto a ottobre. Si tratta di un tendenziale che può mettere a rischio 250mila posti di lavoro.
La crisi è confermata, inoltre, dalle notizie che provengono dal Giappone. Produzione industriale in calo del 9,6%, forte frenata della spesa delle famiglie con una diminuzione annua del 4,6%, disoccupazione in aumento al 4,4% con 125mila posti di lavoro persi entro il mese di marzo. I dati sono avvalorati dalla chiusura dell’esercizio 2008-2009 della Toyota, la più grande industria automobilistica del mondo, che ha accusato una perdita di 400miliardi di yen (3,5 miliardi di euro) molto superiore ai 150 miliardi annunciati solo un mese fa.
E il ritornello della crisi sembra essere esattamente questo. Ogni mese le previsioni vengono aggiornate e aggiustate in peggio rispetto a pretese rassicuranti che durano lo spazio di qualche settimana. Il mese dopo, invece, si vede il peggio e tutti ad affannarsi a suggerire rimedi. Il più diffuso è il controllo della montagna incontrollabile e incalcobabile dei “titoli tossici” di cui nessuno si azzarda a stimare l’ammontare. Ieri il presidente della Banca centrale europea, Trichet, intervenuto a Davos, ha indicato nei maggiori poteri alla Bce, in termini di controllo e vigilanza, una strada da percorrere. Tremonti invece cerca di aggirare l’insostenibilità del debito italiano con la creazione di “eurobond”, titoli garantiti dall’Unione europea – e quindi in solido da tutti gli stati della Ue – per reperire nuove risorse da investire. Ma l’occhio è sempre puntato sul monte salari, come dimostra il nuovo attacco alle pensioni. Parole, spesso in libertà, quasi sempre pericolose. E invece la soluzione in larga parte sta al principio di questo articolo: prendere i grandi redditi, i profitti accumulati, le grasse rendite e imporre una tassa patrimoniale – o come la si voglia chiamare – per disporre di un fondo in grado di dare vita a un piano socialmente e ambientalmente sostenibile. Ma per fare questo ci vorrebbe un’altra politica e un’altra sinistra.