Il bellissimo articolo di Mario Bertolissi apparso oggi sul “Mattino”
L’unica morale che mi sembra di poter trarre dall’osservazione di una catena infinita di eventi, che sono delle vere e proprie sciagure, è questa: “E l’uom d’eternità
s’arroga il vanto”. Giacomo Leopardi, La ginestra. Detta da uno che, chiuso nella biblioteca del padre Monaldo, in quel di Recanati, senza aver studiato ad Harvard o, comunque, in un’università tra le più celebri del mondo, aveva compreso tutto. Anche il declino della civiltà giudaico-cristiana. In ogni caso,vera oppure no questa drammatica conclusione, non c’è dubbio che la cristianissima Europa e pure le Americhe hanno perso la capacità di comprendere: proprio nel momento in cui hanno detto di sé tutto e di più; quando hanno confidato illimitatamente in se stesse. Oggi,maneggiano con disinvoltura una parola: algoritmo, e si stanno schiantando con una ferocia che lascia allibiti.
Pare che tutto sia quantificabile, classificabile, misurabile e, stando agli assunti degli analisti, degli esperti, dei vaticinatori di turno, prevedibile. Rebus sic stantibus: per come ora stanno le cose. Ma le cose non solo non stanno come si dà a vedere. Non saranno mai come si pretende.
Con la conseguenza -davvero lapalissiana – che prevedere e, quindi, governare i fatti è impossibile. Intendiamoci: non che il passato provi il contrario. Tuttavia, allora dominavano idee prossime al vitalismo e all’irrazionale:vocazioni dionisiache. Mentre ora la fa da padrona la razionalità. Che la realtà induce a definire semplicemente così: cieca. È, appunto, la cecità che spiega quel che è accaduto nell’arco degli ultimi decenni. Si è destabilizzato il mondo. Ci si può limitare a uno sguardo retrospettivo di larga massima, che trae lo spunto da un titolo, apparso sui quotidiani di qualche giorno fa. Diceva: “Brasile declassato a ‘junk’. Pechino apre sullo yuan” (Il Sole 24 Ore, 11 settembre 2015). Che cosa significa?
In parole povere, suona come una sorta di contrordine. Di sconfessione di tante illusioni. In particolare, che sia possibile bruciare le tappe, realizzando una crescita economica con percentuali annuali vicine alle due cifre, a prescindere da quale è la
condizione in cui versano le istituzioni. È evidente, infatti, che la democrazia – con tutti i suoi limiti, che non sono pochi non può essere esportata: ad esempio, con le armi, come ha creduto più di qualcuno, sulle cui spalle gravano i destini del mondo, gli Stati Uniti. Non si può improvvisare e non si può considerare radicata
se le diseguaglianze rimangono enormi: come è nel Brasile di ieri ed i oggi. In ogni caso, il mercato e la libera concorrenza – da intendersi, sempre, con misura – presuppongono che la parola libertà non sia una grande sconosciuta. Se è tale –
come si verifica in Cina -, si ha un bel dire che quel Paese non si può governare altrimenti che attraverso un regime autoritario. In questo modo, si nega quel che è necessario per consolidare un sistema di relazioni, di carattere economico e non solo, verificabili e controllabili. Il discorso cade sui dati. Quelli resi noti sono veri o falsi?
Alcuni giorni fa, il presidente dell’Istat ha invitato alla cautela e ha precisato,ad esempio, che i dati sull’occupazione debbono essere valutati rigorosamente: rispettando la statistica. Ed ha aggiunto, opportunamente, che vi è una connessione stringente tra statistica e democrazia. Se i numeri sono contraffatti, non c’è verità e la non-verità mina le regole della convivenza. Pure quelle della conoscenza, che può essere male indirizzata, a tal punto da far credere nei miracoli. Ma Brasile e Cina ci avvertono: attenti ai miracoli e all’illusione che esistano, nella vita di ciascuno e in quella dei popoli, scorciatoie.
Francesco De Sanctis suggeriva di guardare alla realtà effettuale, che si basa sull’esperienza. Con senso di misura ed umiltà, come raccomandava Giacomo Leopardi.