Quota bontà, ultima beffa

dal “Corriere” di oggi

di Gian Antonio Stella

Parola del governo: i soldi per la fame nel mondo non finiranno nelle casse delle banche in crisi. Meno male, sull’8 per mille ne avevamo già viste troppe. Quando fu istituito la legge era chiara: i soldi raccolti dallo Stato (quelli alla Chiesa Cattolica, alle comunità ebraiche o agli Avventisti sono un’altra faccenda) andavano destinati a «interventi straordinari per fame nel mondo, calamità naturali, assistenza ai rifugiati, conservazione di beni culturali ». Doveva essere una specie di «quota bontà»: una fettina delle tasse veniva smistata a iniziative delle quali lo Stato spesso finisce per dimenticarsi. Una legge giusta. Accolta, fatta eccezione per un po’ di laici (secondo i quali pure una parte del denaro «statale » finiva per essere girata ancora alla Chiesa) da un vasto consenso.

Cosa c’è di più consolante che pagare le imposte e sentirsi insieme più buoni? Col tempo, però, l’idea è stata stravolta. E nella saccoccia dell’8 per mille ha cominciato a infilare le mani chi voleva far quadrare conti che non quadravano. Fino al punto che una volta un terzo del gettito fu usato per la «missione umanitaria» in Iraq e un’altra volta per tappare un buco al comune di Catania che non riusciva a pagare i libri scolastici dati coi buoni sconto o una tournée di ballerini brasiliani. Solo in parte corretto dal governo Prodi, l’andazzo è ripreso con una accelerazione che, in commissione Bilancio, ha sconcertato gli stessi membri della maggioranza. Basti dire che, svuotata la cassa per otturare la voragine aperta dalla abolizione dell’Ici, degli 89 milioni originali di euro dell’8 per mille, togli qua e togli là, ne sono rimasti 3.542.043.

Un quinto dei soldi che i partiti di destra e sinistra, tra le proteste dipietriste, si sono spartiti un paio di settimane fa coi rimasugli della «legge mancia» varata nel 2004 per sparpagliare prebende nei collegi elettorali. Di più: il costo dell’istruttoria per spartire i fondi supera l’importo distribuito. Una follia. Fatti i conti, le 808 associazioni di volontariato, enti, e organismi vari le cui richieste erano state accettate avrebbero avuto 4.383 euro a testa. Coriandoli. Spazzati via da una scelta drastica: meglio concentrare i finanziamenti su sei comuni e una provincia colpiti da calamità naturali. E ai rifugiati politici? Zero. Ai beni culturali? Zero. Alla fame nel mondo? Zero. Diciamolo: così com’è, l’8 per mille allo Stato è meglio abolirlo.

La tassa resterà, ma almeno la pagheremo senza sentirci presi in giro. Tanto più che, in parallelo, venivano rosicchiati i soldi anche del 5 per mille. Per gli aiuti al Terzo Mondo erano previsti, quest’anno, 733 milioni. Macché: 322. Che faranno dell’Italia, a dispetto delle promesse del Cavaliere al G8 di Genova («Non basta lo 0,70 del Pil: gli stati ricchi dovrebbero dare ai poveri l’uno per cento!») il Paese più tirchio dell’Occidente con una quota dello 0,09. La più striminzita dal 1987. Un dato per tutti: coi soldi tagliati, secondo il C.i.n.i. che raggruppa le associazioni non profit, si potevano comprare 100 milioni di zanzariere contro la malaria in Africa o vaccinare contro la poliomielite 15 milioni di bambini. Ma non si era detto che per non essere invasi da disperati in fuga dalla miseria bisognava aiutarli a casa loro?

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