Adolescenti influenzati ed influenzabili

Bellissimo articolo apparso sul “Mattino” di oggi e con delle considerazioni tutt’altro che scontate ma che da alcuni anni sento sempre più mie riguardo il peso della “presunta meritocrazia” (perché bisogna vedere quali sono i “meriti”, i “valori”, i “comportamenti” che vengono richiesti dal mondo del lavoro e bisogna capire quanto siano in contrasto con il proprio modo di essere o al quale siamo stati educati, che in buona parte peraltro coincidono) sulla coscienza e l’esistenza delle persone.

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«I treni sono l’inizio e la fine di tutto» scrive su Facebook. E il giorno dopo, a 17 anni, si butta addosso al Frecciargento che sta passando per Sant’Elena d’Este. Aveva 17 anni, amava cantare e suonare.

Il macchinista se l’è vista di colpo, che camminava sul binario: ha suonato, ha frenato. Lei si è accasciata, il treno le è passato sopra: solo un braccio rotto. Sedici anni. Aveva con sé un bigliettino: ci pensava da tempo a farla finita, la spinta gliel’ha data l’esempio del coetaneo musicista. Tutti e due bravi ragazzi, bravissimi ragazzi. E poi Nicola, 17 anni, figlio perfetto, boy scout, che il sabato sera beveva troppo. Tornando a casa è finito in canale. Ed è annegato.

Ancora. Alberto, 31 anni, assediato dalle fragilità di un momento buio: delusione di cuore e niente lavoro. Si è impiccato in casa. E prima, il 12 febbraio, Nadia, 14 anni, giù dai 30 metri dell’ex Palace di Cittadella, rincorsa dagli insulti sul web.

«Certo, l’effetto contagio c’è: adolescenti e giovani sono influenzati e influenzabili. È come una catena. Si prende un modello di come affrontare un dolore o una difficoltà. Basta che il modello sia presentato con rilievo, e oggi si fa presto, che diventa un fatto “pedagogico”. Una circostanza che favorisce l’emulazione». A parlare è Valentina d’Urso, docente senior di Psico- logia generale all’Università di Padova ed autrice di saggi, scientifici e divulgativi. Che allarga il ragionamento: da un lato il suicidio, l’estrema scelta, dall’altra i poco più che adolescenti la cui normalità è inondata, magari sostenuta, dall’alcol. Tanto alcol. «Bere per acquisire competenze emotive che non si hanno, per sciogliersi, per trovare spontaneità e contatto. Non per tirare avanti, come le generazioni precedenti nel Nordest, paesi interi con il 50 per cento degli uomini con la cirrosi, dopo una vita di alcol e lavoro». Qui è altra cosa. Un’altra fragilità sta entrando nel dna dei giovani del Nordest. In tutt’Italia la condizione giovanile è analoga, al Sud anche peggio. Ma da noi è peggio. Sofferenza, occupazione che non c’è, meritocrazia quindi la paura di venire cacciati, di non essere in grado, il lavoro che bisogna inventarselo. Tutto a togliere terra da sotto i piedi, a togliere ossigeno dalla testa: come un’aria soffocante che si respira già in adolescenza e che rende fragili, anche e di più i “bravi ragazzi”. «E proprio nel Nordest pesa il divario tra la condizione dei genitori che hanno migliorato la loro vita e quella dei figli, con una prospettiva nerissima. I figli si sentono in partenza sfortunati: sarete più poveri dei vostri genitori, dovrete superare più difficoltà, rimboccarvi le maniche e via». E intanto paure e angosce scavano solidi tunnel nelle vite di normali, bravi ragazzi.

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