Lo chiamavano Sua Impudenza

Presidente Berlusconi la smetta di prendere per scemi gli italiani di Claudio Rinaldi

Presidente Silvio Berlusconi, posso darLe un consiglio non richiesto? Se nonostante l’età ha ancora voglia di giocare al Piccolo Statista, se ci tiene a vincere le elezioni del 2006, cambi radicalmente il Suo modo di rivolgersi ai cittadini. La smetta di prenderli per scemi. Cominci a dire la verità. Non faccia carte false pur di dimostrare che tutto va bene, non continui ad arrampicarsi sugli specchi per nascondere i Suoi insuccessi.

Lo so, Le sto prospettando un grosso sacrificio: la rinuncia a un aspetto essenziale del Suo pensiero. Che la gente sia cretina, suggestionabile, facile da indottrinare è la Sua convinzione da sempre. Come imprenditore, ricordava ai Suoi che “la maggioranza degli italiani ha fatto sì e no la seconda media e non era nemmeno seduta nei primi banchi”; come politico, ha dato al Suo rapporto con gli elettori l’impronta di una gigantesca circonvenzione di incapaci. Ma in tempi di vacche magre si diventa più sospettosi, ci si rifiuta di dare retta a qualsiasi stupidaggine. Le Sue battute, le stesse che due anni fa divertivano le anime semplici, oggi fanno cadere le braccia.

Il guaio è che la Sua tendenza ad abusare della credulità popolare ha contagiato l’intero Suo entourage. Prenda le esternazioni di un giorno come tanti, lunedì 23 maggio. A Bolzano la Casa delle libertà vince le elezioni comunali con sette voti di vantaggio sull’Unione? Gianfranco Fini proclama che “definire storico questo risultato non è esagerato”. A Milano il Suo amico Cesare Previti viene condannato per corruzione a sette anni di galera? “L’ipotesi accusatoria è stata sconfessata e totalmente cancellata”, giura il difensore Alessandro Sammarco negando l’evidenza. A Bruxelles dai dati Eurostat emerge che nel 2003-2004 il disavanzo pubblico italiano ha sfondato il tetto del 3 per cento del prodotto interno lordo? “È uno scostamento minimale che non deve destare preoccupazione”, assicura Fini senza immaginare che di lì a poche ore l’Ocse calcolerà il deficit del 2005 in un catastrofico 4,4 per cento del pil. Da commenti così sfacciatamente balordi, presidente, non si lascerebbe convincere neppure un bambino.

Fra i Suoi imitatori, il più scrupoloso è stato finora Giulio Tremonti: dal momento in cui ha capito che l’economia era in difficoltà, cioè dal 2001, ha alzato un polverone ininterrotto di giustificazioni pretestuose; pur di non assumersi le doverose responsabilità ha tirato in ballo, nell’ordine,
1. il presunto extradeficit ereditato dai governi dell’Ulivo, 2. gli attentati dell’11 settembre, 3. la guerra in Iraq, 4. le modalità del passaggio dalla lira all’euro, 5. la forza della moneta europea rispetto al dollaro, 6. l’invasione delle merci cinesi. Quando c’è da trattare gli altri come dei mentecatti, però, Lei rimane insuperabile.

Il 12 maggio, non appena ha saputo dall’Istat che l’Italia era in recessione, ha dichiarato senza arrossire: “A marzo ci sono state le vacanze di Pasqua, non si può andare al mare e pretendere che il Pil cresca”. Se poi qualcuno si lamenta perché stenta ad arrivare a fine mese, Lei lo zittisce asserendo (24 marzo) che “siamo uno Stato ricco”, che “le famiglie hanno una ricchezza pari a otto volte il pil”, che “siamo primi in Europa quanto a numero di telefonini per abitante”.

Chi La ascolta può anche essere distratto, d’accordo, ma non tanto da non accorgersi delle bugie più grossolane. Come quella del 17 marzo, quando ha negato di aver mai annunciato il ritiro dall’Iraq benché ne avesse parlato due giorni prima a ‘Porta a porta’; o l’altra del 5 aprile, quando a ‘Ballarò’ ha tentato di far credere che agitando lo spauracchio di un “regime vendicativo e giustizialista” della sinistra aveva soltanto riportato pareri non suoi.

Va da sé che non Le segnalo queste sciocchezze perché mi preoccupi delle Sue sorti elettorali. Non mi dispiace, anzi, che Lei si stia scavando la fossa da solo. Ma il cinismo nel prendere per scemi gli interlocutori è forse il Suo difetto peggiore, il più diseducativo. Lei ha costruito le sue fortune sulla di sinformazione collettiva, sull’ignoranza di massa: non per nulla gli elettori di livello culturale medio-basso sono più numerosi nel Suo partito che altrove. Per il bene del paese mi auguro che questo andazzo finisca, e pazienza se una maggiore serietà Le farà recuperare qualche voto.

Per il rispetto che ho dell’Italia, poi, mi rifiuto di ammettere che una persona popolare come Lei possa avere del popolo un’opinione così bassa. Gli italiani non sono degli ingenui da raggirare. Nel 2002, agli albori della crisi Fiat, Lei sostenne che tutto si sarebbe risolto se sulle utilitarie si fosse appiccicato il marchio Ferrari: ecco, presidente, non sia più un seminatore di illusioni. Da uomo ambizioso qual è, si ponga l’obiettivo di lanciare sul mercato un nuovo Berlusconi. Non si accontenti di cambiare nome e simbolo al Suo partito! “Rinnovarsi non è da tutti”, scriveva Massimo Mila; e “può essere un più sicuro segno di grandezza che non il vano prolungamento di una stagione felice ma conchiusa”.
Coraggio.

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