Una lezione di politica dallo statista Zapatero

(intervistatore) Lei, in una nota dichiarazione dopo la vittoria socialista nelle elezioni del marzo 2004, ha affermato: “Il potere non mi cambierà”. Perché ha sentito il bisogno di pronunciare pubblicamente questa frase? Lo ha fatto perché in quel momento la Spagna viveva una fase difficile della vita politica, in cui si avvertiva la necessità di un intreccio più stretto tra etica e potere politico?

Quella frase rispondeva a un’esigenza di autenticità, soprattutto da parte degli elettori di sinistra. La sinistra, in termini generali, si trova nelle condizioni migliori per vincere spesso la sfida elettorale. C’è più gente di sinistra nelle nostre società perché i valori della sinistra sono più attraenti, generano maggiore speranza e perché esiste una maggioranza di cittadini che è favorevole al progresso sociale nell’equità, alla crescita della libertà.Credo che la sinistra non vince quando non è autentica. E l’autenticità comporta prima di tutto la realizzazione degli impegni presi e non il cercare pretesti di stato per non fare le cose.Questo era il senso di ciò che mi chiedevano nella notte della vittoria elettorale con la frase no nos falles [non ci deludere; N.d.R.].A distanza di quasi due anni da quella notte, qui negli uffici del governo alla Moncloa, mi è chiaro che si può non fallire, che si può non deludere la fiducia della gente. È una questione di volontà politica. Quella frase, no nos falles , esprime la domanda di chi non ha potere. La politica interessa soprattutto la gente che non ha potere, il cittadino normale, chi non è proprietario di una grande impresa, chi non può influire. Si tratta del cittadino le cui azioni stanno soltanto in una scheda elettorale. E per un cittadino che non ha potere, quella scheda elettorale è il suo investimento: l’unico di cui dispone per giocare un ruolo attivo nel sistema di convivenza collettiva.

(dal libro “Zapatero il socialismo dei cittadini” , ed. Feltrinelli, che mi sono regalato per Natale e che sto letteralmente divorando) 

Zapatero è donna

dal sito http://coranet.radicalparty.org/pressreview/print_right.php?func=detail&par=13230 , a sua volta tratto da un articolo de “L’Espresso”

Gianni Perrelli
Colloquio con Maria Teresa Fernàndez de la Vega. La vice premier del governo spagnolo spiega perché il suo paese è all’avanguardia. Dalle riforme sociali alle politiche femministe. Per il suo leader, il cittadino è sempre al centro di ogni scelta.

La Spagna è oggi il paese più all’avanguardia nel campo delle riforme sociali. direi che in un solo anno di governo socialista è diventata un campione assoluto dì modernità. È qui a Madrid il laboratorio politico del futuro… Maria Teresa Fernàndez. de la Vega, vicepresidente nel governo di José Luìs Rodriguez Zapatero, è la grande regista del processo riformista che sta cambiando a straordinaria velocità il volto della Spagna. La spinta per il varo dei progetti più rivoluzionari – dal divorzio lampo anche senza responsabilità specifiche al matrimonio fra gay, dalla legge sulla riproduzione assistita a quella sullo snellimento del cambio di identità per i transessuali,
dalla norma sulla violenza contro le donne alle recenti aperture di dialogo con l’Eta per porre fine al terrorismo – è nata dalla sua mititanza di lungo corso nel socialismo, dalle sue esperienze in campo giuridico e dal suo costante impegno sul fronte del femminismo. ”Nell’ambito della socialdemocrazia”, precisa il braccio destro di Zapatero nel suo ufficio al palazzo presidenziale della Moncloa, “la Spagna già negli anni Ottanta fungeva da battistrada. La terza via di Tony Blair non ha fatto altro che perseguire gli obiettivi già realizzati qui da Felipe Gonzalez. Mi riferisco, in particolare, alla concorrenza in campo economico, al liberalismo svincolato da eccessivi controlli, all’accesso gratuito all’istruzione e alla sanità garantito a tutti, il modello Zapatero rappresenta invece un’evoluzione. Perchè assecondando lo spirito del XXI secolo mette il cittadino al centro della democrazia. Ne fa un protagonista, andando incontro ai suoi diritti individuali”.

E’ una linea che presta però il fianco ad accuse di radicalismo. La Chiesa è vivamente preoccupata per la deriva laica della società. Zapatero, per gli ambienti internazionali più conservatori, più che un modello da imitare è diventato un sinonimo di pericolo.
“Anche qui in Spagna i titoli dei giornali più ostili tendono a demonizzarci. Esagerazioni che nascono dalla passione politica e che non tengono conto del vero profilo dì Zaparero. Un leader progressista, il più importante di questi anni, dotato di uno spirito profondamente democratico. Un capo che dialoga, che rispetta tutte le opinioni. Quelli che oggi lo considerano uno spauracchio, quand’era all’opposizione lo chiamavano Bambi per la sua apparente mitezza. Al di là del suo tratto educato Zaparero è un decisionista, un politico che non indugia un attimo nel momento delle scelte. Finora ha semplicemente onorato gli impegni assunti con gli elettori. In primo luogo quello di dare un contenuto ai diritti dei cittadini, coinvolgendoli direttamente nei programmi. Capisco che queste aperture creino in alcuni settori della società una profonda avversione. Probabilmente è la rapidità del cambiamento cio che desta maggiore allarme. Ma il nostro governo, il pri mo insieme con la Svezia che nella composizione ministeriale rispetta la perfetta parità fra uomo e donna, è convinto di star aprendo una nuova strada nel rapporto fra lo Stato e il cittadino”.

Rimane il fatto che la Chiesa non accetta il riformismo spinto in un paese che era considerato una roccaforte del conservatorismo cattolico. Anzi, invita fedeli alla mobilitazione contro il trionfo del relativismo. “La Chiesa muove critiche più in base a una sua concezione morale che al dovere di uno Stato di legiferare a beneficio dì tutti i cittadini. Noi abbiamo il massimo rispetto per le convinzioni etiche della Chiesa e dei suoi fedeli. Ma il governo ha un altro compito e un altro orizzonte .Se si accorge che la donna è discriminata e che e vittima di violenz a, deve porsi l’obbligo di difendere la sua dignità di essere umano. Se fra una eoppia non c’è più amore costringerla a una lunga separazione non salverà certo il matrimonio: come non si domanda a nessuno perché intenda sposarsi, così è giusto non chiedere a nessuno perchè voglia divorziare. E che ragione c’è dì impedire a due persone dello stesso sesso unite da una relazione affettiva di formarsi una famiglia? È questo ciò che noi intendiamo per protagonismo dei cittadini. Un cambio di prospettiva nelle regole della convivenza civile di cui è giusto che il governo si faccia garante”.

Contro il matrimonio degli omosessuali si era duramente pronunciato Joseph Ratzinger già prima di diventare papa. Ricordando che il fondamento della famiglia è la continuazione della specie. Con un pontefice che ha fama di conservatore potrebbero adesso inasprirsi i rapporti fra Spagna e Vaticano? “Per la dottrina della Chiesa esiste un solo modello di famiglia che ha esclusivamente finahtà dì procreazione e di continuità della specie. Una visione, ripeto, estremamente rispettabile. Ma nella società contemporanea si sono formate diverse concezioni della famiglia, tra cui l’unione dì due persone dello stesso sesso. Secondo noi sono degne di altrettanta considerazione . Non credo comunque che con Benedetto XVI i rapporti fra Spagna e Vaticano peggioreranno. Per la semplice ragione che, da parte nostra, non c’è alcuna volonta di contrasto. Non ci sentiamo in conflitto con la Chiesa. Anzi proprio recentemente ho ricevuto una lettera dal segretario della Conferenza episcopale contenente un nuovo schema di accordo sull’ora di religione a scuola e sul finanziamento delle istituzioni religiose da parte dello Stato. C’è solo molto rumore perchè alcuni prelati cercano di imporre ai fedeli un messaggio contrario allo spirito della nostra riforma. E più avvertono che il loro discorso cade prevalentemente nel vuoto, più sono portati ad alzare la voce. A mio parere il loro catastrofismo non è in sintonia con il comune sentire dei cittadini .Non riesce a far breccia nella società spagnola».

Ma perché proprio in Spagna, un paese di tradizioni conservatrici, governato a lungo prima del vostro awento da un leader di centro-destra, l’opinione pubblica ha così velocemente aderito a una svolta progressista che sta abbattendo tanti tabù? ”La Spagna non è mai stata ultraconservatrice. E’ un paese che ha sempre avuto un considerevole numero di progressisti. E che oggi cerca di avanzare verso la modernità mettendo a frutto la sua immaginazione mediterranea. Anche se stiamo marciando in fretta, c’e ancora un mucchio di lavoro da fare. Dobbiamo condurre in porto la riforma costituzionale, con il varo dei nuovi statuti regionali. Dobbiamo rendere più produttiva l’economia, migliorando gli investimenti. Dobbiamo rendere più competitive le nostre imprese, curando la ricerca e l’innovazione. E anche sul terreno sociale c’è un grande gap da colmare nel campo dei diritti femminili. In Spagna il tasso di disoccupazione delle donne è molto più alto di quello degli uomini. E i salari sono inferiori mediamente del 20 per cento. Infine, c’è un enorme deficit di partecipazione femminile nei consigli dì amministrazione delle banche e delle grandi imprese».

Lei è considerata la figura più forte del governo, la vera ispiratrice del riformismo. Soprattutto sul terreno delle conquiste femminili. ”Il merito piu che mio è di Zapatero. Uno dei pochissimi capi di governo che si è pubblicamente dichiarato femminista. Contribuendo a cambiare la percezione stessa del femminismo. Prima gli veniva attribuito un contenuto conflittuale. ora un intento migliorativo. No, direi che non ci sono primedonne in questo governo. E’ una squadra molto unita. Cimposta da sensibilità ovviamente diverse, ma amalgamate al meglio da una leadership mai messa in discussione. Ci confrontiamo su ogni dettaglio, condividendo però tutti la stessa filosofia di lavoro. L’aspetto più impressionante, insisto, è la velocità di marcia. Dopo la vittoria elettorale è stato come vivere in un film. Non abbiamo sprecato un solo secondo. Il giorno stesso in cui ci siamo insediati abbiamo preso una decisione di importanza storica come il ritorodelle truppe dall’Iraq”.

Decisione che vi ha alienato le simpatie degli Stati Uniti. George Bush, che era molto legato a José Maria Aznar, non è mai più venuto in visita a Madrid e non ha mai invitato Zapatero a Washington. ”Il livello delle relazioni tra Spagna e Stati Uniti non dipende dagli incontri dei leader. E’ evidente che il ritiro delle nostre truppe dall’Iraq è stato poco gradito a Washington. E ha prodotto uno stato dì tensione nei rapporti personali fra i due presidenti. Ma non ha intaccato l’assoluto rispetto fra i due paesi. Spagna e Stati Uniti rimangono amici e alleati. Proprio la settimana scorsa a Mosca, dopo le celebrazioni per la vittoria sul nazismo nella Seconda guerra mondiale, Zaparero raccontava a un giornalista dì essersi trovato al fianco di Bush, di aver scherzato con lui, di aver poi tenuto una conversazione del tutto amichevole”.

Aznar aveva una speciale sintonia anche con Silvio Berlusconi. Ritiene che oggi si siano un po’ raffreddati i rapporti con l’italia? “Le relazioni bilaterali sono rimaste molto buone. Anche in questo caso, al di là della personalità dei leader, che pure in pubblico hanno mostrato di nutrire una reciproca simpatia, dividiamo una cultura comune e obiettivi abbastanza simili. Diciamo che spagnoli e italiani si cercano vicendevolmente. Sono popoli da sempre in grande sintonia”.

Il 12 giugno in Italia ci sarà il referendum per l’abrogazione di una legge sulla procreazione assistita dal contenuto fortemente restrittivo. L’esatto contrario del progetto formulato dai vostro governo. ”Il nostro è un progetto pilota, molto progressista che, con tutte le garanzie etiche, tende ad abolire i divieti sulla ricerca biomedica delle cellule staminali e sulla selezione genetica a soli fini terapeutici e non riproduttivi. Non vogliamo farci trovare con le mani legate di fronte alle opportunità offerte dalla scienza. In Italia, dove c’è un governo con diverse convinzioni, finora si è scelta un’altra strada. Ma dopo il referendum può darsi che nasca una convergenza anche su questo fronte che tanto impegna le coscienze».

Per quelli che associano Zapatero solo ai matrimoni gay

Zapatero ha dato il via ai ‘Tribunali di genere. Chiamati a prendere decisioni rapide per sconfiggere il cancro della violenza domestica.
Restituendo alle vittime dignità e autonomia.

Tutto si potrebbe dire di Gloria, una faccia graziosa rovinata da una brutta cicatrice sulla fronte, occhi diffidenti e una giacchetta troppo larga che le casca sulle spalle, salvo che si tratti di un personaggio alla moda, di una donna trendy come quelle che attraversano i film di Pedro AlmodÓvar o si incontrano la sera nei caffè chic di Madrid e di Barcellona, icone della società disinibita e postmoderna che sta celebrando i riti dei primi matrimoni gay. Eppure anche Gloria, compagna di un uomo violento che per anni le aveva reso la vita un inferno, è a modo suo una protagonista di questa Spagna che sul piano dei diritti civili cammina qualche passo avanti rispetto al resto d’Europa. Gloria infatti è una delle prime ad aver ottenuto una sentenza da uno dei nuovi ‘Tribunali di generè, entrati in funzione in Spagna da poco più di due mesi e riservati alle sole donne, in applicazione della legge sulla violenza domestica del dicembre del 2004. Nel tempo record di ventiquattr’ore, Gloria è riuscita ad avere non solo la custodia della figlia di tre anni, ma anche gli aiuti per andarsene, mentre il marito è stato condannato a un anno di prigione. Forse, se Zapatero non avesse messo in piedi un governo dove gli uomini hanno lasciato la metà dei ministeri al sesso femminile, non ci si sarebbe spinti così in fretta sul terreno inquietante e apparentemente arcaico che è la violenza sulle donne all’interno della coppia, il ‘terrorismo domesticò, come lo chiamano qui. E forse oggi Gloria non sarebbe seduta su questa panchina del parco del Buen Retiro di Madrid a raccontarci la sua storia di moglie picchiata e terrorizzata per anni da un marito “che alla fine mi proibiva perfino di uscire di casa e di telefonare ai miei genitori, mi aveva tolto qualsiasi capacità di reagire, mi aveva ridotto come una bestia, rassegnata a una situazione che sembrava senza vie d’uscita”. Nella sua scarna drammaticità, la sua vicenda non è molto diversa da quelle di migliaia di altre donne alle prese con rapporti di coppia basati sulla sopraffazione, che possono andare avanti fra alti e bassi per una vita intera o anche, a volte, finire in modo tragico. Il merito di vari gruppi femminil-femministi di questo paese è stato accorgersi che dietro l’elenco arido dei cosiddetti delitti passionali, dietro le 400 donne assassinate in poco più di cinque anni dai rispettivi mariti, compagni o fidanzati e le più di cinquantamila che ogni anno presentano una denuncia per violenze e maltrattamenti in famiglia si muove una logica precisa. “L’uso della violenza maschile fa parte di una situazione di dominio che si perde nella notte dei tempi. Ed è anche oggi una forma di controllo sociale sulle donne, un modo per soffocarne i diritti di libertà”, dice Angela Alvarez della Fondazione Mujer, che registra pazientemente anno dopo anno la crescita delle denunce per ‘terrorismo domesticò (più 15 per cento nel 2004). Difficilmente troverete una donna spagnola impegnata sul fronte femminile disposta ad ammettere che questo fenomeno sia più acuto qui che in altri paesi. In realtà è difficile non pensare che la modernizzazione particolarmente rapida della condizione delle donne non c’entri almeno in parte. Nel giro di pochi anni le spagnole hanno sorpassato gli uomini in tutti gli ordini di studi (oggi ci sono più laureate che laureati) e sono andate a lavorare fuori casa. Si sono prese una ragionevole libertà sessuale e hanno smesso di fare figli, rubando alle italiane la maglia nera della denatalità. Una trasformazione troppo veloce per essere metabolizzata e che può aver contribuito a rendere più conflittuali i rapporti fra i sessi, che pure conoscono violenze di ogni tipo anche nel resto del mondo. Ha quasi un valore simbolico il fatto che la vittima del primo omicidio ad aver scosso l’opinione pubblica, una sessantenne di Granada che si chiamava Ana Orantes, era stata legata a una sedia, inzuppata di benzina e bruciata viva dal marito dopo aver denunciato in televisione i maltrattamenti a cui era sottoposta. Quella donna che aveva osato troppo aveva però segnato una svolta. Dal ’97, l’anno della sua morte, la violenza domestica era uscita dalla cronaca nera in cui ancor oggi è relegata in Italia e altrove, per essere raccontata nella sua realtà dalle tv, dai giornali, da numerosi libri. Themis, l’associazione delle donne giuriste, pubblicava un dossier sui processi per maltrattamenti, da cui risultava che solo il 28 per cento delle donne trovavano il coraggio di presentarsi in aula a ribadire la loro denuncia, che nell’85 per cento dei casi non avevano un avvocato difensore e che solo un processo su quattro si concludeva con la condanna, quasi sempre lieve, dell’aggressore. Erano dati sconvolgenti, che avevano assunto una valenza politica quando il Psoe di Zapatero, ancora relegato all’opposizione, aveva deciso di fare della guerra al ‘machismo criminalè una delle sue bandiere. Ed ecco allora la proposta di una legge unica in Europa, che mandando a gambe all’aria alcuni principi basilari del diritto stabiliva pene più dure per gli stessi reati, dalle lesioni alle minacce ai maltrattamenti psicologici, se a commetterli era un uomo. Come se non bastasse, istituiva tribunali specializzati a giudicare la violenza domestica, a cui potevano ricorrere solo le donne. Stesa in accordo con i movimenti femministi da una battagliera deputata andalusa del Psoe, Micaela Navarro, la legge precisava fin dal primo articolo che “la violenza di genere si manifesta come il simbolo più brutale della disuguaglianza che esiste nella nostra società”. Potevano sembrare affermazioni destinate a restare nel libro dei sogni. E invece la vittoria elettorale di Zapatero e un’opinione pubblica favorevole a pene più severe per i mariti violenti spingeva anche il partito di Aznar a votare la ‘Legge organica contro la violenza di generè, che passava all’unanimità il 28 dicembre del 2004. Parte da lì una rivoluzione di cui poco si è parlato all’estero. Ma che al contrario dei pubblicizzatissimi matrimoni gay, richiesti finora da poche centinaia di coppie, sta dando una scossa alla società spagnola. è sul punto di scoppiare per le troppe denunce, 1.829 dal 29 giugno al 31 agosto, il Tribunale numero 1 per la violenza sulla donna di Madrid, come d’altra parte gli altri 16 di questo tipo sparsi in tutta la Spagna. E la maggioranza delle 434 sezioni specializzate nei tribunali ordinari sono al limite di saturazione. Basta passare una mattinata in uno di questi tribunali che assomigliano poco a un normale organismo giudicante per capirne le ragioni. Tutto si svolge all’insegna della velocità e dell’impegno a tutelare la donna. I magistrati possono decidere sia sul terreno civile, dal divorzio ormai rapidissimo alla custodia dei figli, che anche su quello penale. Se l’imputato accetta questa specie di giudizio per direttissima, la pena gli viene ridotta di un terzo. “Una delle prime misure che prendiamo se c’è pericolo per l’incolumità della donna è l’ordine di protezione. Le diamo una scorta della polizia o della Guardia Civil, che nei casi più gravi può essere anche di 24 ore su 24”, spiega Raimunda De PeÑaforte Lorente, una nota giudice antiterrorismo, che presiede appunto il Tribunale numero 1 di Madrid. Raimunda non è una femminista storica, si definisce “una moderata in tutti i campi”, ma ha chiesto di essere assegnata a questo settore così nuovo e pieno di incognite, convinta – al contrario di altri suoi colleghi – che “qui non esercitiamo nessuna forma di discriminazione. Questa legge, attraverso la disuguaglianza, ci consente di arrivare a un trattamento effettivamente paritario”. Per la verità, più facile a dirsi che a farsi. Non solo perché in questo tipo di reati non sempre è tutto bianco o tutto nero. Spesso i meccanismi che legano la vittima al suo persecutore sono complicati. Beatriz Monasterio, una delle avvocate più conosciute di Madrid, racconta di una cliente a cui il marito aveva rotto la testa con un martello. Arrivata in aula con i capelli rasati e i punti ben visibili, al momento di deporre era scoppiata in lacrime. “Lui è buono come un bambino,
non posso accettare che vada in prigione, lo rivoglio a casa”. Siccome con le norme che c’erano prima, al contrario di oggi, si procedeva solo su denuncia di parte, i poliziotti avevano tolto le manette al marito, che se n’era andato mano nella mano con la sua compagna. “Eppure in quell’aula sapevamo tutti, statistiche alla mano, che lui ci avrebbe riprovato”, dice la Monasterio . Non è certo una storia eccezionale. Al Centro di assistenza delle donne separate e divorziate, un rifugio che ospita una trentina di donne in difficoltà, si ascoltano racconti come quello di Raquel, una giovane laureata che era stata sul punto di impazzire per i maltrattamenti e le pressioni psicologiche del suo compagno. “Ho impiegato molto tempo a considerarmi una donna maltrattata. Riusciva a farmi credere che quelle sevizie erano dimostrazioni d’amore. Ci sono ricaduta un’infinità di volte”, racconta Raquel. Anche in questi meccanismi la legge cerca di mettere il dito. Il giudice può infatti ordinare all’uomo sotto processo di tenersi lontano di almeno mezzo chilometro dalla casa coniugale e proibirgli qualsiasi contatto con la compagna. “Se è lei a farlo può essere incriminata per istigazione di reato. Come spiego alle donne in queste condizioni, con il marito possono comunicare solo attraverso un poliziotto”, taglia corto Raimunda De PeÑaforte Laurente. Può sembrare un pò macchinoso. Come appare al limite dell’utopia la creazione di speciali corsi collettivi di riabilitazione (nei casi meno gravi possono sostituire la prigione), dove gli uomini dovrebbero scoprire le radici dei loro comportamenti violenti. Ma come si vede nel film cult della violenza domestica, ‘Ti do i miei occhì della regista basca Iciar Bollain, in genere servono a poco. Dove invece la legge spagnola sta già cambiando la realtà è nell’assistenza e negli aiuti alle donne maltrattate. Rosa è una ragazza colombiana che aveva avuto la sfortuna di finire con uno spagnolo sadico e violento, avendone anche una bambina. “Aveva cominciato a picchiarmi quando ero incinta, mi stuprava sul balcone di casa, mi minacciava con il coltello. Ero terrorizzata, mi nascondevo con mia figlia sotto il letto ma restavo in quell’inferno perché non avevo nessun altro posto dove andare”, racconta. Con la nuova legge, Rosa ha molti nuovi diritti. Gode di un salario minimo garantito per i primi due anni, di una casa gratis finché sarà in grado di pagarsi l’affitto e della mutua che aveva perso lasciando il marito. A Madrid c’è una centrale che fa guidare i suoi taxi alle donne maltrattate, un parco pubblico che le impiega come giardiniere. Che il lavoro sia la medicina più efficace per uscire dall’incubo di una relazione violenta lo confermano le donne stesse. In una testimonianza a ‘El paÍs’ una donna maltrattata di 43 anni, Maria C., con un timpano spezzato e una sindrome di nevrosi traumatica come quella degli esuli di guerra, racconta di aver ritrovato un pò di fiducia in se stessa da quando si mantiene scaricando cassette di frutta. E Rosa, la ragazza colombiana: “Solo da quando lavoro ho capito che ce la farò ad andare avanti senza di lui”. Un risultato notevole per una legge che non ha ancora un anno.

ha collaborato Emanuele Giusto

Attenti al maschio discriminato

di Emanuele Giusto

Anche gli uomini possono essere vittime di maltrattamenti domestici e anzi il fenomeno in Spagna risulta in crescita. Da quando, nel 2001, circa 600 maschi avevano presentato le prime denunce, le cifre sono andate crescendo. Sono 8.861 gli uomini che nel 2003 si sono rivolti alla giustizia, e nel 2004 sono diventati 9.518. Sono dati abbastanza sorprendenti, anche se secondo i magistrati dei tribunali ordinari che si occupano delle denunce maschili si tratta molto spesso di ritorsioni o di maltrattamenti psicologici. è significativo che la nuova legge, mentre nel caso di lesioni stabilisce per l’uomo una pena da due a cinque anni contro quella da sei mesi a tre anni prevista per la moglie violenta, per il cosiddetto maltrattamento psichico prescrive una differenza molto minore: da sei mesi a un anno per lui, da tre mesi a un anno per lei. Si ritiene anche che questo lievitare di denunce maschili possa dipendere dal gran parlare che si è fatto in Spagna della violenza di genere, e dalla decisione di vari uomini di ‘attaccare prima di essere attaccatì. Intanto sulla legge è stata posta anche la questione di costituzionalità. E un gruppo di intellettuali e scrittrici, fra cui Almudena Grandes, hanno lanciato una petizione contro la discriminazione dei maschi sul terreno penale che sarebbe provocata da queste norme. Ribatte Immaculada Montalbàn Huertas, esperta dell’Osservatorio contro la violenza di genere del Consiglio superiore della Magistratura: “La migliore giustificazione della legge sta in una cifra: 90,2 per cento. è la percentuale di donne vittime della violenza domestica, contro meno del 10 per cento dei maschi”. Chi difende la legge fa notare che nei primi nove mesi del 2005 la violenza di genere ha fatto 41 vittime, di cui sette nel solo agosto. I morti erano tutti di sesso femminile.

da l’Espresso del 22 settembre 2005