Troppi brividi hanno percorso il mio corpo mentre leggevo la lunga testimonianza di un papà (e di una mamma) per cercare di capire cosa non andava nel figlio , tra errate diagnosi, sensi di colpa, paure e infine la causa dei crolli del figlio: la narcolessia.
Categoria: attualità
La riforma della Pubblica Amministrazione: solo bastone e niente carota
(da una email di CUB)
Prima del cosiddetto “decreto Brunetta” (D.Lgs 150 del 2009), nella contrattazione nazionale ed aziendale c’era un minimo di riconoscimento all’anzianità di servizio dei pubblici dipendenti, quale elemento di acquisita professionalità.
La spinta esasperata verso una valutazione delle cosiddette “performance”, introdotta dal Decreto Brunetta nel 2009, ha spazzato via l’incidenza dell’anzianità di servizio e dell’esperienza accumulata negli anni da ogni singolo lavoratore nelle progressioni economiche e nei compensi del salario accessorio.
Le valutazioni dei dipendenti della PA sono ad oggi ancorate a giudizi di dirigenti, dell’utenza e di organismi esterni (O.I.V.). Con l’introduzione dell’OIV si è preferito dare soldi a soggetti esterni invece di una giusta retribuzione a oltre tre milioni di lavoratori della PA.
Si tratta di fatto di persone che valutano le performance di chi opera nella P.A., pur non sapendo nulla del soggetto da valutare, delle difficoltà e del contesto in cui esso opera, della carenza o meno d’organico in quel posto di lavoro, di quali strumenti dispone per lavorare.
L’utente/cittadino, invece, si lamenta giustamente per l’assenza o per la scarsità di servizi pubblici in generale … e la prima interfaccia è il pubblico dipendente.
Nella pubblica amministrazione, da almeno vent’anni, si è cercato di togliere salario accessorio certo per tutti i lavoratori, giustificandolo con questo tipo di meritocrazia. Alla soglia degli anni ’90 sono stati aboliti dalla contrattazione nazionale gli scatti biennali di anzianità, pur presenti attualmente in tutti i contratti di lavoro privati, per sostituirli con premi e progressioni legati esclusivamente al merito, quello deciso da dirigenti e organismi esterni; fino al paradosso dell’ex Ministro Brunetta che ha deciso, per legge, che il 25% dei dipendenti fosse un incapace, attribuendo quindi il 50% dei fondi del salario accessorio soltanto ad un 25% di dipendenti “bravi”.
COSA STA METTENDO IN DISCUSSIONE L’ATTUALE GOVERNO?
E’ stato introdotto in modo chiaro ed inequivocabile un inasprimento delle sanzioni e dei procedimenti disciplinari dei dipendenti, quindi un netto peggioramento delle condizioni di lavoro. Si potenziano i meccanismi esterni di valutazione, quindi OIV e utenza, che promuoveranno o bocceranno il lavoratore.
In realtà con la meritocrazia cosi? impostata si è messo in moto un meccanismo contorto che ha il solo scopo di tagliare ulteriori fondi alle pubbliche amministrazioni, spartire le poche risorse rimaste a disposizione, destinandole a pochi lavoratori per “Legge”.
Un meccanismo che ha effetti devastanti tra i pubblici dipendenti che sanno bene che i servizi all’utenza sono resi spesso soltanto grazie al lavoro e alla professionalità degli operatori, nonostante le mille difficoltà e le carenze di ogni tipo!
Contestualmente ai dipendenti pubblici non sono stati rinnovati i contratti di lavoro da 8 anni e si vuole rilanciare un recupero salariale con fondi che ad oggi non sono certi perchè non stanziati da leggi di bilancio.
Il blocco del turn over degli ultimi decenni ha causato tagli lineari del personale con perdite di migliaia di posti di lavoro, ed è stato finalizzato all’esternalizzazione e alla privatizzazione di servizi pubblici sui quali gli affaristi traggono profitto.
Per giustificare tutto questo, si è lanciata una vergognosa campagna contro la figura del pubblico dipendente, alimentata dalla politica che sa bene che i contratti già prevedono misure disciplinari applicabili in modo rapido ed efficace, ma senza contravvenire alle norme che garantiscono il giusto diritto alla difesa (invocato dai politici quando riguarda se stessi, come ancora una volta dimostrato nella vicenda di autoassoluzione reciproca Lotti/Minzolini!)
Investire nella Pubblica Amministrazione significa dotarla del giusto numero di personale, assumendo personale giovane (la carenza d’organico ad oggi è stimata intorno al 30% e l’età media degli assunti è di 54 anni), di retribuirlo adeguatamente (i dipendenti pubblici sono pagati il 20% in meno rispetto ai lavoratori privati), di investire risorse in strumentazioni. Significa semplificare procedure ed intervenire su leggi e disposizioni incomprensibili, che complicano la vita a tutti: cittadini ed operatori.
Constatiamo invece che negli ultimi decenni è aumentata in modo esponenziale soltanto la forbice degli stipendi tra Dirigenza e lavoratori nella PA, senza alcun controllo reale, quello che invece viene imposto a tutti, dipendenti pubblici e privati. Per questo respingiamo la cosiddetta “riforma Madia”: basta con le ipocrisie! Basta con l’attribuire ai lavoratori le responsabilità di una politica attenta soltanto ai propri interessi, elettorali propagandistici e personali.
Thiene. Sindrome da stanchezza cronica. I genitori di Valerio: “Oltre al dramma anche la beffa di chi rende nostro figlio invisibile’
da http://www.altovicentinonline.it/attualita-2/thiene-sindrome-da-stanchezza-cronica-i-genitori-di-valerio-oltre-al-dramma-anche-la-beffa-di-chi-rende-nostro-figlio-invisibile/
Della CFS, la malattia che 17 anni fa ha reso “invisibile” il loro figlio Valerio, Chiara e Girolamo ne vogliono parlare a più non posso, aiutando gli altri con l’Associazione CFS Veneto di Thiene. La sindrome da fatica cronica (CFS), svuota ed affatica, sia fisicamente che mentalmente, il paziente che spesso si trova di fronte dei muri veri e propri, rendendolo invisibile e non creduto dai medici.

Una famiglia schiaffeggiata dal calvario doloroso e senza fine in cui è finito il proprio figlio, le ansie e le paure di domande che non trovavano risposta, fino all’inesorabile sentenza. Quella fatica cronica ed aggressiva che tutt’oggi si mangia l’esistenza di Valerio prende il nome di CFS (chronic fatigue syndrome), che non senza fatica di fronte alle commissioni per l’invalidità viene riconosciuta, sebbene l’Organizzazione Mondiale della Sanità l’abbia inserita nella classificazione internazionale delle malattie.
Due genitori, Chiara e Girolamo che di tutto il dolore, le tribolazioni che hanno sconvolto l’esistenza di Valerio, vogliono usarlo a beneficio di altre persone, portandole a conoscenza di cos’è la CFS: “Perché se è conosciuta nella letteratura scientifica è poco riconosciuta soprattutto nell’ambiente medico – spiega il papà Girolamo Carollo presidente dell’Associazione CFS Veneto – La nostra associazione è nata come costola della CFS Pavia, di cui facciamo parte, già attiva dal 2004”.
Una malattia subdola che si manifesta dopo un evento infettivo, come un’influenza o un banale raffreddore, e il sistema immunitario reagisce in maniera anomala manifestando i sintomi della malattia. Sebbene da più di 25 anni se ne sia iniziato a parlare in Italia tramite Umberto Tirelli primario oncologo di Pordenone e specialista in stanchezza cronica, ancora parecchi medici faticano a centrare la diagnosi corretta che finora ha colpito 500 mila italiani.
“Solo con la nostra associazione abbiamo 30 casi in Veneto – continua la mamma Chiara Sacchetto – Di cui 8 nel vicentino. Se riconosciuta precocemente, sotto ai 18 anni, si può avere un’elevata percentuale di miglioramento”.
Per questo l’associazione Cfs Veneto si avvale della preziosa collaborazione di Caterina Zilli pediatra di Albignasego ed esperta in Cfs che visita, al limite della gratuità, i bambini che segnalano i sintomi della malattia nel proprio ambulatorio assieme al dottore Baritussio.
Ma come capire se la fatica quotidiana è una patologia invalidante? “La fatica è malattia quando il paziente presenta la riduzione di almeno il 50% delle attività fisica-mentale- sociale per almeno 6 mesi – spiega Carollo – Per almeno 3 mesi se il paziente è un bambino. Il tutto associato ad un sonno non ristoratore, perdita di memoria e concentrazione, dolori ai muscoli e alle ossa, febbriciola, faringodinia, linfoadenomegalia e cefalea”.
“Il nostro scopo è di informare, diffondere quanto più possibile sulla CFS – spiegano Chiara e Girolamo – Sviluppando una rete sempre più ampia di collaborazioni e contatti con altre associazioni e strutture pubbliche e non, per tutelare i malati di Cfs come nostro figlio”. Perché una malattia come la CFS non permette più una vita normale: tutto ciò che ogni giorno si affronta tranquillamente, sia andare a scuola o al lavoro, per i malati Cfs è ‘concesso’ in via limitata se aggrediti dalla malattia in forma lieve, se grave il loro destino è restare chiusi in casa, tra atroci dolori dovuti ad un minimo sforzo fisico (anche il semplice atto di infilare un paio di calzini), concentrazione mentale sempre più scarsa.
Colpisce soprattutto i giovani e negli ultimi anni i casi pediatrici sono in costante aumento. Con la loro associazione CFS Veneto, Girolamo e Chiara, vogliono essere una presenza sul territorio, portare tutta la conoscenza possibile e soprattutto la forte collaborazione che hanno avviato coi medici di base: “Possiamo dire che qua da noi, nel male che fa vivere questa malattia, c’è un’isola felice – conclude Girolamo- I medici di base e i pediatri della zona hanno interagito subito bene, abbiamo partecipato come relatori esterni a dei corsi per infermieri, in modo che nell’ambiente sanitario sia quanto prima e quanto più riconoscibile la malattia”.
E soprattutto che la burocrazia di una commissione che deve giudicare l’invalidità del paziente affetto da CFS non sia ignorante nel merito.
Paola Viero
La scomparsa dell’individuo ci minaccia
da un editoriale del “Mattino di Padova” del 26 luglio 2016
Alla fine di ogni tentativo di spiegazione dei fenomeni c’è lui, violento o pacifico, solare oppure enigmatico, talvolta sublime talaltra illeggibile, ma pur sempre titolare di precise responsabilità, che non può trasferire sulle spalle del suo prossimo. L’individuo. Appesantito dai suoi gravami, dalle sue frustrazioni, dal suo male di esserci, sempre più tiepidamente registrato dai radar di coloro che vanno di corsa, chissà dove. Poi succede qualcosa e cominciano le analisi, ma quelle politiche e sociologiche ignorano l’individuo, lo tengono sullo sfondo fino a considerarlo un semplice accessorio. Prese come sono dai grossi calibri, che fanno audience, si illudono di potere fare a meno di lui.
Piacciono gli scenari planetari, i contesti continentali, i movimenti delle grandi masse. Fondamentali, senza dubbio alcuno, tuttavia il terminale di ogni progetto rimane lui, l’individuo, sulle cui spalle finiscono per agire le fragilità personali e le intenzioni malevole di chi tiene in mano la trama del romanzo, facendo di lui una munizione, micidiale ma inafferrabile. Troppo piccola al cospetto delle pinze macroscopiche degli analisti e dei politologi.
Eppure è lui la misura di tutto, proprio i malintenzionati ne sono maggiormente consapevoli, oramai edotti su vantaggi e complicità che possono reperire nelle pieghe della vita di tutti i giorni, in quella normalità, presunta o reale, che permette al killer di camuffarsi fino a un attimo prima di liberare l’arsenale, fatto anche di armi improprie, come un camion o un’accetta, sorprendendoci. Oggetti che passano facilmente i cancelli dei guardiani, così poco abituati a frugare nei cestini dell’ordinario. Costoro dimenticano che fu un individuo, frustrato da una vita grigia e stagnante, ad accendere la miccia della seconda guerra mondiale.
Le ultime azioni di violenza perpetrate da persone singole oppure da nuclei molto ristretti, ci dicono che la benzina arriva spesso da biografie individuali tormentate, a cui fattori ideologico-religiosi possono fornire un pretesto nobilitante, un finalismo epico. Lo stesso pretesto, tuttavia, faticherebbe a trovare soldati da arruolare se non vi fossero singoli uomini, sufficientemente disperati da decidere che può valere la pena passare dal niente al tutto, anche a costo di immolarsi, lasciando tracce di sé in un mondo che mai avrebbe registrato quelle presenze, condannate ad accomodarsi all’uscita, in assoluto silenzio.
Questo è il punto, per noi occidentali, capire finalmente che società troppo asimmetriche, come accade nei circuiti elettrici a forte differenza di potenziale, saranno incubatori di orrori sempre più sofisticati, proprio perché non abbisognano di armi tradizionali, bastano gli oggetti di uso comune, resi micidiali dall’odio verso chi il suo posto nella vita pare averlo trovato.
Un autorevole politico sostiene che avrebbe dovuto essere la famiglia a fare prevenzione, nel caso dell’omicida di Monaco. Già, ma forse sarebbe meglio domandarsi chi dovrebbe incrementare le competenze di quelle famiglie, considerato che il concetto di welfare sembra una romantica vestigia del passato. Di risorse economiche per riscattare chi non ne possiede di culturali, di morali e di materiali ce ne saranno sempre meno, mentre è sicuro che, specularmente, la violenza aumenterà perché le anime nere del fondamentalismo islamico troveranno manovalanza da esaltare a buon mercato. Bisogna ripensare il rapporto delle istituzioni con la persona, che di esse è la ragione, se vogliamo coltivare qualche speranza di lasciarci alle spalle questo medioevo montante, a meno che non si voglia risolvere il problema incollando un poliziotto ad ogni cittadino.
Si notano interessi complementari tra registi che odiano, in modo aspecifico, tutto ciò che non possono controllare, e individui che la vita aveva messo all’angolo, per mille ragioni. Il ragazzino di Monaco, prima di essere abbattuto, così come il diciassettenne accettatore del treno di Wurzburg, anch’esso perito, si sono messi a urlare la loro rabbia contro il mondo, feriti dall’insignificanza, dal timore di essere niente, lo stesso che mina le sicurezze di ciascuno di noi, nessuno escluso.
I registi rimarrebbero privi di comparse se non avessero scoperto questa nuova benzina, il disagio socio-culturale di persone respinte che, a loro volta, odiano ciò che incrementa i loro sentimenti di inadeguatezza e si consegnano al migliore offerente. Piuttosto che perdere faccio perdere gli altri, tutti coloro che non mi vollero riconoscere. Un ‘tutti’ impersonale, che può contenere persino correligionari che si mischiano agli infedeli, responsabili dell’emarginazione, condividendone i vizi e la gioia di vivere. Il camion assassino di Nizza, al pari dei camion a gas nazisti, si è cimentato in una strage senza capo né coda, spezzando anche vite di piccoli musulmani, a riprova che in questo inferno la logica e la ragione sono andate in quiescenza.
Dal niente al tutto, dicevamo, un’aspirazione che i maestri della radicalizzazione rapida conoscono a meraviglia. Ne individuano i portatori, affondano la lama nel ventre molle delle fragilità, forniscono una risposta semplice al loro stato di emarginazione, presentano (a modo loro) quello che sarà il bersaglio, quindi aspettano che le circostanze siano propizie perché sanno che l’allievo agirà.
Gli eventi di Nizza, più che quelli di Monaco di Baviera, aprono uno scenario del tutto nuovo, perché nella normalità è complicato trovare nessi che consentano di anticipatore il comportamento lesivo dell’impiegato quasi senza macchia o del ragazzino non troppo diverso dai nostri, che sorride cordiale ai vicini. Come in un romanzo di Philip Dick, niente è come appare, l’alieno sembra umano e viceversa, la sorpresa potrebbe giungere in qualsiasi istante.
Qualcuno, con qualche grado di faciloneria, parla di servizi di intelligence presi in contropiede, ma è ingiusto biasimare giacché esplorare la normalità in ogni istante è semplicemente illusorio. Monitorare le intenzioni di un guscio chiuso è impensabile, almeno allo stato dei fatti. Bisogna pensare e spendere nella direzione giusta, quella della redistribuzione e del riscatto sociale, lasciandosi alle spalle l’ossessione del benessere per pochi, alleato fedele della violenza
Michele Bravi .
La sua canzone “Il diario degli errori” con cui si è esibito a Sanremo mi è piaciuta molto, ma al pari mi piacciono : “Cambia”, “Diamanti”, “Pausa”, “Solo per un po’”, “Due secondi (cancellare tutto)”. A conti fatti, mi piacciono tutte le canzoni dell’album tranne due carine ma che non mi prendono tantissimo. Poi, comprato a 4,99 euro su Itunes..😉 . Le sue canzoni hanno molto di Mengoni e di Tiziano Ferro ….
Ed ha anche tanta tanta ironia !!!
La possibilità di sviluppare ME/CFS dopo un’infezione avrebbe una predisposizione genetica
In un articolo ancora dI Marzo 2016 della Griffith University australiana, a proposito del fatto che potrebbe essere presto disponibile un test per la diagnosi di ME/CFS, almeno per un sottogruppo di pazienti, si dice (credo per la prima volta con certezza) che i biomarcatori trovati nei malati di ME/CFS provengono da polimorfismi a singolo nucleotide (SNP), piccole variazioni genetiche, che colpiscono i recettori canali ionici. Questi SNP predispongono la gente alla ME/CFS. “In almeno il 70 al 80 per cento dei casi le persone hanno una malattia infettiva come la mononucleosi (glandular fever, in inglese) che innesca un cambiamento nell’espressione di questi SNP”, ha detto Staines. Questo provoca sia i sintomi – come la stanchezza, perdita di memoria e dolori articolari – che i biomarcatori trovati dall’equipe della della Griffith.
Quando l’attenzione della politica è volontariamente tutta sulla microcriminalità mentre il vero cancro è la corruzione.
Un’ulteriore caratteristica del nostro paese è che da noi non esistono corpi di polizia giudiziaria. La polizia italiana ha corpi che sono, contemporaneamente, di sicurezza pubblica e di polizia giudiziaria, ma questo fa sì che essi siano organizzati soprattutto per la repressione dei cosiddetti «reati visibili», ossia di quelli che incidono immediatamente sull’ordine pubblico, con una particolare attenzione alla microcriminalità, anche perché per anni si è ripetuto che il problema principale del nostro paese è la sicurezza. Viceversa, la corruzione è molto più grave ed entra nella devianza dei cosiddetti «colletti bianchi».
Un esempio della gravità del fenomeno: al processo Parmalat (circa un decennio dopo le vicende da cui hanno preso avvio queste riflessioni) c’erano ben 45.000 parti civili, ovvero 45.000 vittime che chiedevano il risarcimento dei danni. Se il giudice avesse dovuto fare l’appello di tutti, avrebbe terminato l’udienza semplicemente chiamando le patti civili! Per fortuna molti avvocati rappresentavano più vittime e quindi si poté procedere più rapidamente, ma questo caso illustra bene la vastità del fenomeno. Quanto ci impiega uno scippatore a mietere 45.000 vittime? Non solo: in tanti anni di magistratura non mi è mai capitato di incontrare qualcuno che nella borsa scippata conservasse i risparmi di tutta una vita, mentre molte di quelle parti civili nei bond Parmalat avevano investito tutti i loro risparmi. Non ho alcuna simpatia per gli scippatori, sia bene inteso. Questo però dà l’idea della diversa gravità dei due tipi di reato di cui si parla. Purtroppo, le strutture sono attrezzate per reprimere la microcriminalità e non la criminalità dei «colletti bianchi».
I corrotti, insomma, sono una minoranza informata contro una maggioranza di cittadini disinformata in quanto esclusa dalla conoscenza dei meccanismi, delle persone e dei fatti. Corrotti e corruttori non si presentano, almeno di solito, nella loro vera qualità, ma si proclamano onesti e le rare volte in cui vengono individuati tendono a definirsi vittime di persecuzioni giudiziarie o politiche, oppure di calunnie.
D’altra parte non siamo di fronte a una devianza individuale, ma piuttosto a un sistema criminale, esattamente uguale a quello del crimine organizzato. Ha un suo sistema di sanzioni che, magari, non è feroce quanto quello del crimine organizzato: non si spara, ma si esclude il soggetto inaffidabile dagli ulteriori appalti, lo si tiene fuori dalla cerchia delle notizie riservate.
(dal libro di Piercamillo Davigo, “Il sistema della corruzione” )
Medicine e bugie, contro le bufale della non-medicina.
E’ un libro molto molto interessante e ben scritto. Ieri l’ho trovato in libreria all’Ipercity di Albignasego e ne ho sfogliato alcune pagine che riguardavano l’agopuntura nonché la dentosofia , “pratica” usata dalla moglie dentista di una persona che conosco.

Il questionario per i pazienti con ME/CFS della Griffith University (Australia)
Un questionario molto completo (raggiungibile a questo indirizzo), articolato e preciso , quello della Griffith University australiana per i pazienti di ME/CFS, nei quali si vede l’utilizzo di scale e misurazioni standardizzate per il livello di fatica causato dalla malattia, tra cui la famosa scala del dr. Bell, di cui ho parlato in un precedente post.


Il saluto di Michele a questa società che (in Italia) ha rubato la speranza ai giovani.
Ha avuto (per fortuna) una buona rilevanza sulle principali testate giornalistiche la lettera con cui Michele, trentenne friulano, si è suicidato stanco di anni di rifiuti e di tentativi di trovare lavoro come grafico.
«Non posso passare la vita a combattere solo per sopravvivere, per avere lo spazio che sarebbe dovuto, o quello che spetta di diritto. Di “no” come risposta non si vive, di “no” si muore»
In risposta a questa lettera è apparso sull’Espresso un articolo di Federica Bianchi che non commento nemmeno dato che ci hanno pensato le persone che hanno scritto in calce all’articolo. Cito uno dei commenti più equilibrati (onore e riconoscenza da parte mia per la grande onestà intellettuale di chi l’ha scritto): “Cara Federica, ho letto il tuo intervento e mi sono permesso anche di dare un’occhiata al tuo profilo linkedin. Io sono come te: ho studiato alla Bocconi, mi sono laureato brillantemente, prestigiosi studi post-laurea, ho un ottimo lavoro (all’estero). Io penso che un po’ di umiltà e sano realismo non guasterebbe; chi puo’ veramente accedere al caleidoscopio di opportunità? Noi, i privilegiati; magari anche bravi per carità, ma in primis fortunati e privilegiati. In Bocconi avevo dei compagni di corso che non erano nè brillanti, nè ambiziosi; e che comunque oggi hanno un buon lavoro e quindi il diritto ad una dignità. Giusto cosi, dovrebbe essere cosi per tutti. Ed invece in Italia appena butto la testa fuori da quel 5% di cui facciamo parte, vedo persone buttate li’, sfruttate e non valorizzate, rimbalzate da un precariato all’altro, indipendentemente da quanto valgono e da quanto si sbattono per farcela. Io non me la sentirei non solo di giudicare (il tuo commento non ha il tono del giudizio) ma nemmeno di commentare qualcosa che, devo ammetterlo, non ho mai sperimentato in prima persona. Nella vita mi occupo di economia; non bastano le statistiche sul PiL per avere coscienza della realtà. In metropolitana quando torno a Milano mi capita di guardare la faccia delle persone, e mi sembra di leggerci il vuoto, la disillusione, l’assenza totale di prospettiva; ecco, io quella faccia li’ non l’ho mai avuta, neanche quando lavoravo 20 ore al giorno per un società di consulenza. E negli ultimi dieci anni ne vedo sempre di piu di quelle facce. E se ti dovessi dire il primo sentimento che istintivamente provo è quello di provare un po di pudore e quasi vergogna.
C’è sola una cosa, che traspare anche nel tuo post, che avrei detto con tutto il cuore a Michele e che vorrei dire a tanti che si trovano nella stessa situazione: prima di mollare le speranze, perchè non andate via???!!!. Uscite dall’Italia, fuori non è cosi’, ho girato tanti paesi e guiro non è cosi’. Almeno provateci.”