Costi e paradossi del riottenimento della patente di guida

dal sito http://legale.antiproibizionisti.it/costi-e-paradossi-del-riottenimento-della-patente-di-guida/print/

Spett.le redazione del servizio di assistenza legale di “Antiproibizionisti.it”, vi scrivo questa mia dopo aver letto la risposta data sul forum circa la reiterabilità degli esami per il rinnovo della patente di guida.
Veniamo ai fatti e per fare luce su questa materia evidenziamo subito che i danni di rilevanza economica citati dall’esperto di Antiproibizionisti.It sono così calcolati per i cosiddetti esami delle urine e dei capelli (Regione Friuli Venezia-Giulia Provincia di Pordenone):

U-Benzodiazepine € 10,90
U-Amfetamine € 7,30
U-Cannabinoidi € 7,30
U-Cocaina € 7,30
U-Buprenorfina € 7,30
U-Oppiacei € 7,30

Cocaina capelli € 7,30
Oppiacei capelli € 7,30

S-Alcool € 7,00
Emocromo-Formula € 5,10
S-GGT € 1,90
S-AST € 1,80
S-ALT € 1,80

TOTALE: € 79,60

Faccio presente che detti esami (Ematochimici – Capelli e Urine) sono tutti necessari presso qualunque commissione medica italiana al fine del riottenimento della patente. Anche se la persona sottoposta ad esame ha solo fumato uno spinello (aggiungo io, anche se ha preso solo alcolici oltre la soglia di 0,5g/l!!!). Inoltre la gratuità degli esami è assolutamente da dimostrare dato che trattandosi di esami cosiddetti “legalmente rilevanti” sono a TOTALE carico del privato. La legge in tal senso stabilisce che la facoltà, ormai divenuta prassi, delle commissioni patenti di rinnovare la patente per un periodo inferiore anche a seguito di esami perfettamente idonei (cioè nessun esame ha dato esito positivo circa le sostanze ricercate) si traduce così:

1° anno = rinnovo patente per 1 anno;

2° anno = rinnovo patente per 2 anni;

4° anno = rinnovo patente per 2 anni;

6° anno = rinnovo patente per 3 anni;

8° anno = rinnovo patente per 5 anni;

Dunque, tornando allo spinello di cui si parlava prima, in totale sono 8 anni
di “libertà vigilata” che grosso modo vengono a costare € 400 (5 esami
spalmati su 8 anni).

A questo si aggiunga:

– Marca da bollo: € 14,62

– Diritti sanitari – Commissione Patenti ASS: € 24,79

– Diritti L 14-67 Dipartimento trasporti terrestri: € 7,80

TOTALE per 1 rinnovo: € 47,21

TOTALE per 5 rinnovi: € 236,05

Che sommati ai 400 € per gli esami di cui sopra fanno € 600 e passa. A ciò
si aggiungano 2 giorni lavorativi (permessi, ferie o altro) per recarsi prima in
ospedale a fare gli esami e quindi presso la commissione patenti

Ovviamente il calcolo è riferito all’ipotesi in cui tutti i rinnovi vadano a buon fine (cioè gli esami clinici siano perfettamente in regola con esito negativo per tutte le sostanze), altrimenti la Commissione Patenti si riserva di ripetere la procedura come se fosse la prima volta [sic!].

Veniamo poi all’aspetto più squisitamente filosofico di queste procedure standard adottate dal Ministero dei Trasporti e, quindi, dalle Commissioni Provinciali Patenti: la dichiarazione anamnestica (autocertificazione). Si chiede all’utente quanto segue:

“Dichiara di fare o aver fatto uso di: alcool – stupefacenti – psicofarmaci
[SI] [NO]”

Intanto vorrei sapere dal vostro esperto se, per caso, uno che ha bevuto un bicchiere di vino 15 anni fa dovrebbe rispondere si o no. Inoltre NON distinguere la domanda tra presente (fa uso) e passato (ha fatto uso) rischia di mettere l’utente in una situazione di paradosso, dato che essendo gli esami clinici negativi potrebbe tranquillamente rispondere di no, ma, essendo stato chiamato presso la Commissione Patenti per il famoso spinello (fumato in passato) la risposta dovrebbe essere sì.
Ad ogni modo, salvo che non si configuri ipotesi di reato per dichiarazione falsa o mendace, il paradosso resta. Oltre,poi, alla autodenuncia reiterata che le Commissioni Patenti pretendono dall’utente già abbastanza avvilito per i costi, i tempi e la prassi di tutta questa procedura di revisione della patente per il noto, e ormai consueto spinello, fumato in riva al mare prima che il Carabiniere con il suo cappello in testa non arrivasse a fare la sua solita e ridicola operazione antidroga.
Per concludere, avrei interesse a conoscere meglio la prospettiva ventilata dall’esperto circa la possibilità di fare ricorso al TAR e ringraziando per la cortese attenzione concessami, porgo distinti saluti.

Abbiamo voluto pubblicare per intero la sua comunicazione poiché la riteniamo fonte di interessanti questioni ed informazioni.
Come correttamente individuato la legge concede una facoltà, e quindi un ambito discrezionale della pubblica amministrazione, alle Commissioni provinciali.
Tale facoltà, nei casi di eccessiva brevità del periodo di validità dell’autorizzazione alla guida o di reitarazione senza motivazione degli esami tossicologici, ove questi siano di esito negativo, deve considerarsi viziata secondo la figura dell’eccesso di potere, e quindi non indirizzata verso le legittime finalità di tutela della salute e della sicurezza contenute nella norma.
Qualora infatti l’esame risulti negativo le tutele citate sono già state garantite. La coercizione relativa all’espletamento di nuovi esami, periodicamente prescritti, risulta essere quindi un’illegittima compressione del diritto alla libera circolazione del privato ed all’ottenimento, avendone i requisiti, della patente di guida per il periodo di validità normalmente prescritto. In questo senso si ritiene esperibile ricorso al Tar competente per l’annullamento della decisione.
In merito all’evidente paradosso menzionato, relativo al questionario della Commissione Patenti, non si può che rilevare la sostanziale contrarietà dello stesso a norme e principi ordinamentali, nonché a criteri basilari di buona amministrazione.

Al momento attuale, per non incorrere in teoriche, ma comunque possibili, sanzioni relative a fallaci dichiarazioni, si dovrebbe delineare un comportamento diffuso che faccia prevalere la veridicità della dichiarazione, e, qualora la stessa comporti l’applicazione di accertamenti medico-tossicologici, veda proporre ricorso del richiedente in riferimento alla non proporzionalità del procedimento amministrativo seguito, considerata l’occasionalità della condotta dichiarata.

Il paese dei due pesi e delle due misure

Venite beccati da un controllo con un tasso alcolemico anche di poco superiore a 0,5g/l. Sapete cosa vi aspetta ? La revisione della patente. Voi sapete a cosa dovrete sottoporvi, e quanto vi costerà ? Aspetto i commenti dei lettori di questo blog. E intanto leggiamo come si comporta chi decide di non presentarsi a questa vera e propria costosa umiliazione psicologica e amministrativa, di cui vi parlerò in seguito.

Dal “Mattino” del 27.3:
RUBANO. “Nel Veneto sono circa 950, in provincia di Vicenza più di 150. Sono automobilisti che, per varie infrazioni, hanno esaurito i punti della patente e non si sono mai presentati a rifare l’esame di guida. A tutti abbiamo notificato la sospensione a tempo indeterminato della patente. Se guidino lo stesso o abbiano lasciato la macchina in garage, questo non si sa”. Carmelo Trotta, direttore della Motorizzazione civile del Veneto, snocciola dati preoccupanti. “Ma non voglio creare allarmismi, semmai sollevare un problema”. La questione è nata dal caso di Roberto Vedovato, il giovane originario di Rubano che domenica mattina, guidando ubriaco e senza patente, ha provocato l’incidente di Dueville nel quale ha perso la vita uccidendo anche i coniugi Bruno e Lorenzina Vagrotelli. La Motorizzazione ha compiuto un’indagine sul suo conto, scoprendo che non erano solo sei mesi che guidava senza poterlo fare. Vedovato, infatti, per una serie di infrazioni al Codice della strada – fra cui la guida in stato di ebbrezza: era stato fermato nel 2003 a Mestre – aveva esaurito i 20 punti nel luglio 2006. “Lo avevamo invitato a rifare l’esame di guida il 13 novembre 2006, ma non si presentò” – ricostruisce Trotta . A quel punto era scattata la sospensione della patente a tempo indeterminato, che gli era stata notificata a casa nel febbraio 2007″. Praticamente, al momento dell’incidente il giovane era da 13 mesi senza patente, e da 20 senza punti. “E nella sua posizione ci sono 950 persone in Veneto. Su 3800 che hanno esaurito i punti, in tanti non si sono presentati a rifare l’esame”. Come fare per togliere tanti pericoli dalla strada, accertato che una parte dei 950 continua a guidare? “Se venissero sorpresi durante un controllo ancora al volante, la pena prevede la revoca della patente e una multa da 1.500 a 7.000 euro. L’unica soluzione, per non vanificare il lavoro delle forze dell’ordine che hanno riscontrato le violazioni prima, della classe politica poi che ha varato la patente a punti e infine della Motorizzazione civile, è quella di eseguire controlli mirati”. Trotta precisa il suo pensiero: ”I controlli generici lungo le strade sono molto utili, ma in casi come questi bisogna marcare quei 950. Ad esempio, piazzando una pattuglia davanti a casa al momento di andare al lavoro. Chi esce in auto dal garage va fermato e sanzionato”. Questa mattina alle 10.45 intanto saranno celebrati nella chiesa parrocchiale di Laghetto a Vicenza i funerali di Bruno e Lorenzina Vagrotelli. La mattina di Pasqua stavano percorrendo intorno alle 7.15 la provinciale Marosticana in direzione nord, per raggiungere il Trentino senza entrare in autostrada. Erano nella loro corsia di marcia e procedevano a velocità moderata. Nell’affrontare la curva del cavalcaferrovia a Povolaro di Dueville si sono trovati di fronte la Mercedes classe B di Roberto Vedovato, 25 anni, titolare di un centro estetico di Thiene, che viaggiava in direzione opposta con a fianco l’amico padovano Vanni Carraro, 37 anni. Vedovato ha invaso la corsia opposta ad alta velocità . E l’impatto è stato violentissimo (la Ford Fiesta della coppia si è capovolta). Sempre oggi, ma nel pomeriggio, è in programma nella chiesa parrocchiale di Villaguattera di Rubano, di dov’era originario e dove vivono i genitori, anche il funerale di Vedovato, che da qualche mese viveva a Vicenza con la fidanzata.

Il discorso di Robert Kennedy sul PIL

Discorso di Robert Kennedy, 18 marzo 1968, Università del Kansas:

“Non troveremo mai un fine per la nazione né una nostra personale soddisfazione nel mero perseguimento del benessere economico, nell’ammassare senza fine beni terreni.
Non possiamo misurare lo spirito nazionale sulla base dell’indice Dow-Jones, né i successi del paese sulla base del prodotto nazionale lordo (PIL).
Il PIL comprende anche l’inquinamento dell’aria e la pubblicità delle sigarette, e le ambulanze per sgombrare le nostre autostrade dalle carneficine dei fine-settimana.
Il PIL mette nel conto le serrature speciali per le nostre porte di casa, e le prigioni per coloro che cercano di forzarle. Comprende programmi televisivi che valorizzano la violenza per vendere prodotti violenti ai nostri bambini. Cresce con la produzione di napalm, missili e testate nucleari, comprende anche la ricerca per migliorare la disseminazione della peste bubbonica, si accresce con gli equipaggiamenti che la polizia usa per sedare le rivolte, e non fa che aumentare quando sulle loro ceneri si ricostruiscono i bassifondi popolari.
Il PIL non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione o della gioia dei loro momenti di svago. Non comprende la bellezza della nostra poesia o la solidità dei valori familiari, l’intelligenza del nostro dibattere o l’onestà dei nostri pubblici dipendenti.
Non tiene conto né della giustizia nei nostri tribunali, né dell’equità nei rapporti fra di noi. Il Pil non misura né la nostra arguzia né il nostro coraggio, né la nostra saggezza né la nostra conoscenza, né la nostra compassione né la devozione al nostro paese.
Misura tutto, in breve, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta. Può dirci tutto sull’America, ma non se possiamo essere orgogliosi di essere Americani.”

Le violenze impunite del lager Bolzaneto

da “Repubblica” di oggi

di GIUSEPPE D’AVANZO
C’ERA anche un carabiniere “buono”, quel giorno. Molti “prigionieri” lo ricordano. “Giovanissimo”. Più o meno ventenne, forse “di leva”. Altri l’hanno in mente con qualche anno in più. In tre giorni di “sospensione dei diritti umani”, ci sono stati dunque al più due uomini compassionevoli a Bolzaneto, tra decine e decine di poliziotti, carabinieri, guardie di custodia, poliziotti carcerari, generali, ufficiali, vicequestori, medici e infermieri dell’amministrazione penitenziaria. Appena poteva, il carabiniere “buono” diceva ai “prigionieri” di abbassare le braccia, di levare la faccia dal muro, di sedersi. Distribuiva la bottiglia dell’acqua, se ne aveva una a disposizione. Il ristoro durava qualche minuto. Il primo ufficiale di passaggio sgridava con durezza il carabiniere tontolone e di buon cuore, e la tortura dei prigionieri riprendeva.

Tortura. Non è una formula impropria o sovrattono. Due anni di processo a Genova hanno documentato – contro i 45 imputati – che cosa è accaduto a Bolzaneto, nella caserma Nino Bixio del reparto mobile della polizia di Stato nei giorni del G8, tra venerdì 20 e domenica 22 luglio 2001, a 55 “fermati” e 252 arrestati. Uomini e donne. Vecchi e giovani. Ragazzi e ragazze. Un minorenne. Di ogni nazionalità e occupazione; spagnoli, greci, francesi, tedeschi, svizzeri, inglesi, neozelandesi, tre statunitensi, un lituano.

Studenti soprattutto e disoccupati, impiegati, operai, ma anche professionisti di ogni genere (un avvocato, un giornalista…). I pubblici ministeri Patrizia Petruzziello e Vittorio Ranieri Miniati hanno detto, nella loro requisitoria, che “soltanto un criterio prudenziale” impedisce di parlare di tortura. Certo, “alla tortura si è andato molto vicini”, ma l’accusa si è dovuta dichiarare impotente a tradurre in reato e pena le responsabilità che hanno documentato con la testimonianza delle 326 persone ascoltate in aula.

Il reato di tortura in Italia non c’è, non esiste. Il Parlamento non ha trovato mai il tempo – né avvertito il dovere in venti anni – di adeguare il nostro codice al diritto internazionale dei diritti umani, alla Convenzione dell’Onu contro la tortura, ratificata dal nostro Paese nel 1988. Esistono soltanto reatucci d’uso corrente da gettare in faccia agli imputati: l’abuso di ufficio, l’abuso di autorità contro arrestati o detenuti, la violenza privata. Pene dai sei mesi ai tre anni che ricadono nell’indulto (nessuna detenzione, quindi) e colpe che, tra dieci mesi (gennaio 2009), saranno prescritte (i tempi della prescrizione sono determinati con la pena prevista dal reato).Come una goccia sul vetro, penosamente, le violenze di Bolzaneto scivoleranno via con una sostanziale impunità e, quel che è peggio, possono non lasciare né un segno visibile nel discorso pubblico né, contro i colpevoli, alcun provvedimento delle amministrazioni coinvolte in quella vergogna. Il vuoto legislativo consentirà a tutti di dimenticare che la tortura non è cosa “degli altri”, di quelli che pensiamo essere “peggio di noi”. Quel “buco” ci permetterà di trascurare che la tortura ci può appartenere. Che – per tre giorni – ci è già appartenuta.Nella prima Magna Carta – 1225 – c’era scritto: “Nessun uomo libero sarà arrestato, imprigionato, spossessato della sua indipendenza, messo fuori legge, esiliato, molestato in qualsiasi modo e noi non metteremo mano su di lui se non in virtù di un giudizio dei suoi pari e secondo la legge del paese”. Nella nostra Costituzione, 1947, all’articolo 13 si legge: “La libertà personale è inviolabile. È punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizione di libertà”

La caserma di Bolzaneto oggi non è più quella di ieri. Con un’accorta gestione, si sono voluti cancellare i “luoghi della vergogna”, modificarne anche gli spazi, aprire le porte alla città, alle autorità cittadine, civili, militari, religiose coltivando l’idea di farne un “Centro della Memoria” a ricordo delle vittime dei soprusi. C’è un campo da gioco nel cortile dove, disposti su due file, i “carcerieri” accompagnavano l’arrivo dei detenuti con sputi, insulti, ceffoni, calci, filastrocche come “Chi è lo Stato? La polizia! Chi è il capo? Mussolini!”, cori di “Benvenuti ad Auschwitz”.

Dov’era il famigerato “ufficio matricole” c’è ora una cappella inaugurata dal cardinale Tarcisio Bertone e nei corridoi, dove nel 2001 risuonavano grida come “Morte agli ebrei!”, ha trovato posto una biblioteca intitolata a Giovanni Palatucci, ultimo questore di Fiume italiana, ucciso nel campo di concentramento di Dachau per aver salvato la vita a 5000 ebrei.

Quel giorno, era venerdì 20 luglio, l’ambiente è diverso e il clima di piombo. Dopo il cancello e l’ampio cortile, i prigionieri sono sospinti verso il corpo di fabbrica che ospita la palestra. Ci sono tre o quattro scalini e un corridoio centrale lungo cinquanta metri. È qui il garage Olimpo. Sul corridoio si aprono tre stanze, una sulla sinistra, due sulla destra, un solo bagno. Si è identificati e fotografati. Si è costretti a firmare un prestampato che attesta di non aver voluto chiamare la famiglia, avvertire un avvocato. O il consolato, se stranieri (agli stranieri non si offre la traduzione del testo).

A una donna, che protesta e non vuole firmare, è mostrata la foto dei figli. Le viene detto: “Allora, non li vuoi vedere tanto presto…”. A un’altra che invoca i suoi diritti, le tagliano ciocche di capelli. Anche H. T. chiede l’avvocato. Minacciano di “tagliarle la gola”. M. D. si ritrova di fronte un agente della sua città. Le parla in dialetto. Le chiede dove abita. Le dice: “Vengo a trovarti, sai”. Poi, si è accompagnati in infermeria dove i medici devono accertare se i detenuti hanno o meno bisogno di cure ospedaliere. In un angolo si è, prima, perquisiti – gli oggetti strappati via a forza, gettati in terra – e denudati dopo. Nudi, si è costretti a fare delle flessioni “per accertare la presenza di oggetti nelle cavità”.

Nessuno sa ancora dire quanti sono stati i “prigionieri” di quei tre giorni e i numeri che si raccolgono – 55 “fermati”, 252 “arrestati” – sono approssimativi. Meno imprecisi i “tempi di permanenza nella struttura”. Dodici ore in media per chi ha avuto la “fortuna” di entrarvi il venerdì. Sabato la prigionia “media” – prima del trasferimento nelle carceri di Alessandria, Pavia, Vercelli, Voghera – è durata venti ore. Diventate trentatré la domenica quando nella notte tra 1.30 e le 3.00 arrivano quelli della Diaz, contrassegnati all’ingresso nel cortile con un segno di pennarello rosso (o verde) sulla guancia.

È saltato fuori durante il processo che la polizia penitenziaria ha un gergo per definire le “posizioni vessatorie di stazionamento o di attesa”. La “posizione del cigno” – in piedi, gambe divaricate, braccia alzate, faccia al muro – è inflitta nel cortile per ore, nel caldo di quei giorni, nell’attesa di poter entrare “alla matricola”. Superati gli scalini dell’atrio, bisogna ancora attendere nelle celle e nella palestra con varianti della “posizione” peggiori, se possibile. In ginocchio contro il muro con i polsi ammanettati con laccetti dietro la schiena o nella “posizione della ballerina”, in punta di piedi.

Nelle celle, tutti sono picchiati. Manganellate ai fianchi. Schiaffi alla testa. La testa spinta contro il muro. Tutti sono insultati: alle donne gridato “entro stasera vi scoperemo tutte”; agli uomini, “sei un gay o un comunista?” Altri sono stati costretti a latrare come cani o ragliare come asini; a urlare: “viva il duce”, “viva la polizia penitenziaria”. C’è chi viene picchiato con stracci bagnati; chi sui genitali con un salame, mentre steso sulla schiena è costretto a tenere le gambe aperte e in alto: G. ne ricaverà un “trauma testicolare”. C’è chi subisce lo spruzzo del gas urticante-asfissiante. Chi patisce lo spappolamento della milza. A.

D. arriva nello stanzone con una frattura al piede. Non riesce a stare nella “posizione della ballerina”. Lo picchiano con manganello. Gli fratturano le costole. Sviene. Quando ritorna in sé e si lamenta, lo minacciano “di rompergli anche l’altro piede”. Poi, gli innaffiano il viso con gas urticante mentre gli gridano. “Comunista di merda”. C’è chi ricorda un ragazzo poliomielitico che implora gli aguzzini di “non picchiarlo sulla gamba buona”. I. M. T. lo arrestano alla Diaz. Gli viene messo in testa un berrettino con una falce e un pene al posto del martello. Ogni volta che prova a toglierselo, lo picchiano. B. B. è in piedi.

Gli sbattono la testa contro la grata della finestra. Lo denudano. Gli ordinano di fare dieci flessioni e intanto, mentre lo picchiano ancora, un carabiniere gli grida: “Ti piace il manganello, vuoi provarne uno?”. S. D. lo percuotono “con strizzate ai testicoli e colpi ai piedi”. A. F. viene schiacciata contro un muro. Le gridano: “Troia, devi fare pompini a tutti”, “Ora vi portiamo nei furgoni e vi stupriamo tutte”. S. P. viene condotto in un’altra stanza, deserta. Lo costringono a denudarsi. Lo mettono in posizione fetale e, da questa posizione, lo obbligano a fare una trentina di salti mentre due agenti della polizia penitenziaria lo schiaffeggiano. J. H. viene picchiato e insultato con sgambetti e sputi nel corridoio. Alla perquisizione, è costretto a spogliarsi nudo e “a sollevare il pene mostrandolo agli agenti seduti alla scrivania”. J. S., lo ustionano con un accendino.

Ogni trasferimento ha la sua “posizione vessatoria di transito”, con la testa schiacciata verso il basso, in alcuni casi con la pressione degli agenti sulla testa, o camminando curvi con le mani tese dietro la schiena. Il passaggio nel corridoio è un supplizio, una forca caudina. C’è un doppia fila di divise grigio-verdi e blu. Si viene percossi, minacciati.

In infermeria non va meglio. È in infermeria che avvengono le doppie perquisizioni, una della polizia di Stato, l’altra della polizia penitenziaria. I detenuti sono spogliati. Le donne sono costrette a restare a lungo nude dinanzi a cinque, sei agenti della polizia penitenziaria. Dinanzi a loro, sghignazzanti, si svolgono tutte le operazioni. Umilianti. Ricorda il pubblico ministero: “I piercing venivano rimossi in maniera brutale. Una ragazza è stata costretta a rimuovere il suo piercing vaginale con le mestruazioni dinanzi a quattro, cinque persone”. Durante la visita si sprecano le battute offensive, le risate, gli scherni. P.

B., operaio di Brescia, lo minacciano di sodomizzazione. Durante la perquisizione gli trovano un preservativo. Gli dicono: “E che te ne fai, tanto i comunisti sono tutti froci”. Poi un’agente donna gli si avvicina e gli dice: “È carino però, me lo farei”. Le donne, in infermeria, sono costrette a restare nude per un tempo superiore al necessario e obbligate a girare su se stesse per tre o quattro volte. Il peggio avviene nell’unico bagno con cesso alla turca, trasformato in sala di tortura e terrore. La porta del cubicolo è aperta e i prigionieri devono sbrigare i bisogni dinanzi all’accompagnatore. Che sono spesso più d’uno e ne approfittano per “divertirsi” un po’.

Umiliano i malcapitati, le malcapitate. Alcune donne hanno bisogno di assorbenti. Per tutta risposta viene lanciata della carta da giornale appallottolata. M., una donna avanti con gli anni, strappa una maglietta, “arrangiandosi così”. A. K. ha una mascella rotta. L’accompagnano in bagno. Mentre è accovacciata, la spingono in terra. E. P. viene percossa nel breve tragitto nel corridoio, dalla cella al bagno, dopo che le hanno chiesto “se è incinta”. Nel bagno, la insultano (“troia”, “puttana”), le schiacciano la testa nel cesso, le dicono: “Che bel culo che hai”, “Ti piace il manganello”.

Chi è nello stanzone osserva il ritorno di chi è stato in bagno. Tutti piangono, alcuni hanno ferite che prima non avevano. Molti rinunciano allora a chiedere di poter raggiungere il cesso. Se la fanno sotto, lì, nelle celle, nella palestra. Saranno però picchiati in infermeria perché “puzzano” dinanzi a medici che non muovono un’obiezione. Anche il medico che dirige le operazioni il venerdì è stato “strattonato e spinto”.

Il giorno dopo, per farsi riconoscere, arriva con il pantalone della mimetica, la maglietta della polizia penitenziaria, la pistola nella cintura, gli anfibi ai piedi, guanti di pelle nera con cui farà poi il suo lavoro liquidando i prigionieri visitati con “questo è pronto per la gabbia”. Nel suo lavoro, come gli altri, non indosserà mai il camice bianco. È il medico che organizza una personale collezione di “trofei” con gli oggetti strappati ai “prigionieri”: monili, anelli, orecchini, “indumenti particolari”. È il medico che deve curare L. K.

A L. K. hanno spruzzato sul viso del gas urticante. Vomita sangue. Sviene. Rinviene sul lettino con la maschera ad ossigeno. Stanno preparando un’iniezione. Chiede: “Che cos’è?”. Il medico risponde: “Non ti fidi di me? E allora vai a morire in cella!”. G. A. si stava facendo medicare al San Martino le ferite riportate in via Tolemaide quando lo trasferiscono a Bolzaneto. All’arrivo, lo picchiano contro un muretto. Gli agenti sono adrenalinici. Dicono che c’è un carabiniere morto. Un poliziotto gli prende allora la mano. Ne divarica le dita con due mani. Tira. Tira dai due lati. Gli spacca la mano in due “fino all’osso”. G. A. sviene. Rinviene in infermeria. Un medico gli ricuce la mano senza anestesia. G. A. ha molto dolore. Chiede “qualcosa”. Gli danno uno straccio da mordere. Il medico gli dice di non urlare.

Per i pubblici ministeri, “i medici erano consapevoli di quanto stava accadendo, erano in grado di valutare la gravità dei fatti e hanno omesso di intervenire pur potendolo fare, hanno permesso che quel trattamento inumano e degradante continuasse in infermeria”.

Non c’è ancora un esito per questo processo (arriverà alla vigilia dell’estate). La sentenza definirà le responsabilità personali e le pene per chi sarà condannato. I fatti ricostruiti dal dibattimento, però, non sono più controversi. Sono accertati, documentati, provati. E raccontano che, per tre giorni, la nostra democrazia ha superato quella sempre sottile ma indistruttibile linea di confine che protegge la dignità della persona e i suoi diritti. È un’osservazione che già dovrebbe inquietare se non fosse che – ha ragione Marco Revelli a stupirsene – l’indifferenza dell’opinione pubblica, l’apatia del ceto politico, la noncuranza delle amministrazioni pubbliche che si sono macchiate di quei crimini appaiono, se possibile, ancora più minacciose delle torture di Bolzaneto.

Possono davvero dimenticare – le istituzioni dello Stato, chi le governa, chi ne è governato – che per settantadue ore, in una caserma diventata lager, il corpo e la “dimensione dell’umano” di 307 uomini e donne sono stati sequestrati, umiliati, violentati? Possiamo davvero far finta di niente e tirare avanti senza un fiato, come se i nostri vizi non fossero ciclici e non si ripetessero sempre “con lo stesso cinismo, la medesima indifferenza per l’etica, con l’identica allergia alla coerenza”?

(17 marzo 2008)

“Dalla Destra non ho imparato nulla”: intervista a Zapatero

Link all’articolo del Corriere della Sera

José Luis Rodríguez Zapatero, premier spagnolo, domani si pubblica il decreto di scioglimento delle Cortes, il Parlamento. Che voto si darebbe, lei che è il capo del governo, alla fine di questa legislatura?
«Questo sta ai cittadini stabilirlo. Io sono quello sotto esame».

Nell’ultimo sondaggio di El Mundo le davano un 5,44.
«I cittadini ci azzeccano sempre ».

Però è un successo per il rotto della cuffia…
«5,44 è un risultato accettabile, secondo gli abituali standard di valutazione delle leadership politiche ».

Perché le piace tanto scontrarsi con la Chiesa cattolica?
«A me? Io non mi sono scontrato su niente con la Chiesa cattolica».

Ma se lo sta facendo dall’inizio della legislatura… La Chiesa si sente offesa per alcune delle sue leggi.
«Io non ho mai attaccato la Chiesa. Ho seguito il mio programma elettorale. Ditemi se c’è una sola cosa, sugli accordi del Vaticano, sul finanziamento, in cui avrei attaccato la Chiesa. Al contrario, ho sempre mantenuto una posizione di rispetto. Ma voglio essere molto chiaro sul fatto che chi fa leggi è la maggioranza democratica della società civile. E questo Paese ha aumentato i diritti individuali attraverso leggi liberali che rispettano l’individuo, la persona. Questo vuol dire rafforzare i diritti umani. E io ho molto rispetto per la famiglia cristiana, al punto che mi sono sposato in Chiesa…»

Lei oggi si considera cristiano?
«Sì… sono battezzato… Ho molto rispetto per la famiglia cristiana, per chi pensa che il matrimonio debba essere celebrato in Chiesa e vuole avere 11 figli. Ma dobbiamo avere lo stesso rispetto per chi vuole vivere in coppia senza sposarsi o per chi, essendo omosessuale, decide di convivere in matrimonio con il proprio partner».

Ma tra le possibilità che aveva, di dare gli stessi diritti alle unioni omosessuali oppure includerle nell’istituzione del matrimonio, lei ha scelto quella di maggiore confronto con la Chiesa…
«Chiamiamo le cose con il loro nome. L’unione delle persone che vogliono istituire un contratto legale, con un vincolo giuridico, si chiama matrimonio. E questo termine si impone in tutti i Paesi. Ma poi, arrivare a dire, come sto sentendo in questi giorni, che la riforma delle Legge sul divorzio ha favorito la dissoluzione della famiglia…».

A volte succede che questi «nuovi diritti» abbiano un effetto paradossale. Che ne pensa del fatto che le donne del comune di Garachico non si siano potute presentare alle elezioni perché non avevano abbastanza uomini nelle liste (per la Legge di Parità, pensata per le donne, ci deve essere almeno il 40% di candidati di uno dei due sessi)?
«Questo è un caso assolutamente eccezionale».

I casi eccezionali sono quelli che mettono a dura prova la consistenza delle liste.
«Le leggi si fanno per regolamentare situazioni generali».

E come risolverebbe questo problema come giurista?
«Lo ha già risolto la Corte costituzionale. Rispettiamo il suo giudizio ».

No, la Corte non ha ancora affrontato la costituzionalità della legge.
«Ne deduco che lei è contrario alle quote…»

Sì, io sono per l’uguaglianza, ma non attraverso l’imposizione, non attraverso le quote.
«Io sono per la parità».

Un’altra cosa su cui la pensiamo diversamente…
«Io non ho paura dell’uguaglianza ».

Neanch’io. Ma si può arrivare all’uguaglianza attraverso la libertà e non attraverso l’imposizione… Qualche mese fa si è operato di miopia…
«Sì».

Perché non ha mai detto in nessuna intervista che era miope?
«Nessuno me l’ha mai chiesto».

E adesso vede bene?
«Da vicino vedo un po’ meno bene. Da lontano molto meglio».

Si dice che nei miopi prevale il lato sinistro su quello destro. Ha già corretto questo squilibrio?
«Sono di sinistra, e la conoscenza più profonda, al governo, della realtà sociale, della distribuzione della ricchezza, delle opportunità degli uni e degli altri, di come funziona la società, mi ha permesso di confermare i miei convincimenti come persona di sinistra».

Cioè non ha corretto quello squilibrio, e continua a pensare, come mi ha detto due anni fa, che la destra non le abbia insegnato nulla…
«La destra non mi ha insegnato niente, con l’atteggiamento che ha avuto in tutti questi anni all’opposizione. Ma leggo persone di destra e, ovviamente, ci sono riflessioni che come già le ho detto in un’altra occasione… Per esempio riconosco che il principio della stabilità di bilancio, che ha una tradizione più forte nel pensiero di destra, sia positivo, e per questo lo applico».

Si sente odiato da una parte dei cittadini?
«No. Ci sono stati momenti di forte tensione, ed è evidente che i più fedeli al Partito popolare (all’opposizione, ndr) non condividono il mio modo di fare politica. Settori isolati, non mi sembra che nella Spagna di oggi si generi odio».

Quando è stata l’ultima volta che è andato in collera?
«Ora sì che è difficile dare una risposta».

Non ricorda neanche una volta?
«Del periodo come premier, no. Mi autoimpongo una disciplina di contenimento molto forte. Il potere deve essere contenuto…».

E in ambito personale?
«Neanche. Sono molto felice con mia moglie e le mie figlie».

Non ha mai dato uno schiaffo a una delle sue figlie?
«Credo di no. Al contrario. Sono il loro alleato».

Lo dico per la recente riforma del Codice Civile. Si immagina un bambino che denuncia il padre perché gli ha dato uno schiaffo?
«Beh, questo non prevede sanzioni. Ma mi sembra un buon principio. La repressione fisica non è accettabile, né dal punto di vista pedagogico né dal punto di vista etico. Bisogna educare in un altro modo. Io sono favorevole a educare con autorità, a essere esigente con i propri figli o con gli alunni, ma ci sono altri meccanismi per incentivare. Trovo estremamente ripugnante qualsiasi sintomo di violenza… È la cosa che mi ripugna di più in assoluto. Non sopporto vedere due persone picchiarsi e non mi piace vedere un padre che dà uno schiaffo al figlio».

Qual è la donna più attraente che ha conosciuto da quando è premier?
«Sonsoles (la moglie, ndr) ».

Intendo dire da quando è premier.
«Sonsoles. Per me la persona più attraente è Sonsoles».

Bene, allora diciamo qual è la persona più interessante che ha conosciuto da quando è presidente? «Sonsoles».

Lei si vanta sempre della sua «agilità». Non teme che qualcuno faccia un bilancio un giorno e dica: «Quest’uomo ha avuto più agilità che testa»?
«In politica l’agilità è nella testa ».

Barcellona – Italia a confronto….

Leggere “Lavanguardia”, il quotidiano di area monarchica (destra, ma non la nostra di “Libero” o “Giornale”) molto diffuso in Catalonia, mi fa sorridere. Se vivessero in Italia, in una qualunque città del nord (non oso immaginare del sud), credo molti catalani si suiciderebbero. Gridano allo scandalo e alle dimissioni di Zapatero per ogni cosa. Dovete sapere che a Barcellona e in generale in Catalonia la popolazione partecipa molto alla vita politica e in genere alle decisioni prese dalla Generalitat, con manifestazioni pro e contro tutto, portando i bimbi con i passeggini in piazza quando servono più asili, i lavoratori nelle stazioni (senza bloccare i treni e gli aerei, però), quando ci sono licenziamenti, e così via.

Foto tratta fa flickr

Da qualche anno l’AVE, il treno ad alta velocità spagnolo, si sta avvicinando a Barcellona. I lavori fervono, anche se sinceramente, da quello che ho visto due settimane fa, non so se ce la faranno ad inaugurare la linea il 21 dicembre come previsto. Bene, da ieri è in vigore il Piano alternativo dei Trasporti, che prevede la sopressione dei treni tra Piazza Espanya e Barcellona Saints, dove si attesterà l’AVE.

I catalani sono incazzati neri. I responsabili non sanno ancora dire se l’interruzione, necessaria per completare gli ultimi lavori della linea, dureranno una settimana, dieci giorni, o due settimane. Quando a Roma RFI ha attivato il nuovo sistema di controllo della stazione, qualche anno fa, è saltato tutto. Treni soppressi , ritardi minimi di 4 ore, il tutto per circa dieci giorni. Se andate sul sito di Trenitalia , ogni giorno di ogni settimana, trovate pezzi di linea con treni soppressi. L’ultima, dei treni Minuetto, nuovi di zecca, che Trenitalia sta ridando indietro al costruttore perchè dopo appena un anno si sono usurati i bordi delle ruote. E sulle linee dove giravano questi treni, ci sono bus.

Ma va tutto bene. Se uno non viaggia su queste linee, nessuna notizia. A Barcellona, per questi lavori imponenti, chiedono la testa di Zapatero. Date un’occhiata ai commenti degli utenti. E qualche video. Qualche utente dice che sono ridotti “come nei paesi del Terzo Mondo”. La capitale finanziara d’Italia, Milano, ha tre linee della metro e tutte chiudono alle undici e mezza di sera. A Barcellona vai all’aeroporto con il biglietto della metro (69 centesimi, se compri il carnet da 10, con il bancomat o la carta di credito). Chissà quando si trovano a Tessera e l’autista della Sita chiede ai turisti spagnoli il 50% del prezzo del biglietto in più “perchè vogliono farlo a bordo” cosa pensano…. di essere in Burundi ? E non parliamo del tram ” a batterie” in prato della Valle…..

Nel secondo giorno di Piano di Trasporto Alternativo a Barcellona , già danno il biglietto gratis . Anche qui vero ? W Barcellona. E’ da quando passa il bus a Bragni (Cadoneghe) che la mattina se piove stai a piedi a 4 fermate dal capolinea. Ero al liceo quando ho segnalato la cosa. Dieci anni di centrosinistra a Padova, 5 di centrodestra, l’orario Aps e le corse della linea 4 non sono aumentate nemmeno dello 0,1%…. questo paese non ha futuro….

Altra notizia del giorno , un giovane che aggredisce una ragazza dell’Ecuador su un treno regionale nei pressi di Barcellona. Arrestato e ripreso dalle telecamere che, normalmente, si trovano sui treni. Già. Noi non abbiamo nemmeno le porte funzionanti su tutte le carrozze…

E la giunta di centrosinistra lascia la città di notte agli spacciatori

E’ una lunga sequenza di errori strategici, quella della giunta di Padova di centrosinistra (che in questo prosegue dritto per la strada intrapresa da quella precedente “delle libertà”). Una giunta che ha preso molti volti anche perchè fa una politica non troppo di sinistra (non è l’unica, vedi Cofferati) ; dopo la chiusura dei bar degli spritz del centro alle 24, lasciando una città vuota in mano spacciatori e varie bande del tombino, anche pinacoteche (scusate, paninoteche) pizzerie e kebab, compici di vendere alcolici, chiuderanno alle 24. Tanto ieri notte la piazza era piena di gente fino alle 3 . Le bottiglie, se le sono portate da casa. Questo per quanto riguarda i divieti. Passiamo ai servizi: nessuna linea di bus notturni effettua servizio dopo le 23.30, i tassisti sono carissimi ed hanno ottenuto quest’anno un aumento delle tariffe del 20% dal Comune. Il Comune di Padova non riesce a tenere aperto dei bagni pubblici 24 ore su 24 nemmeno nell’unica piazza del centro dove ci sono. Non è riuscito nemmeno a realizzare un parcheggio bici custodito in centro, mentre tutti i giorni i cittadini lamentano furti. E non ci sono abbastanza cestini nelle piazze. Facile per il “Mattino” fare un reportage di foto di ragazzi che pisciano sotto le colonne…..
Zapatero, nel suo libro intervista , diceva che “l’errore più grande dopo le bombe di Madrid sarebbe quello di chiudersi in casa per paura. I cittadini spagnoli non devono avere paura e devono vivere nelle loro città , popolare le strade…” (cito a memoria). Qui, altro che Zapatero…..zero trasporti notturni,locali chiusi a forza di ordinanze, e zero vigili in giro . Oramai ci batte Venezia in quanto a locali notturni, il che è tutto dire…..

La precarietà nel mercato del lavoro spagnolo e la questione immigrati

Quante concidenze con quanto ha fatto qui in Italia il governo Amato di centrosinistra per precarizzare il mercato del lavoro, prima del baratro finale con la legge Biagi di Berlusconi-Fini-Bossi !

L’ex leader sindacale è particolarmente consapevole di questo problema e propone alcune risposte. “I dati ci dicono che il lavoro precario coincide con il trentuno percento del mercato del lavoro. Una così alta percentuale non si giustifica solo per le caratteristiche peculiari dell’economia spagnola che ha i propri pilastri nell’agricoltura e nel turismo. Forse avremo sempre percentuali di precarizzazione più alte che nel resto d’Europa, ma non si può dimenticare che il fenomeno subisce bruscamente un’impennata proprio negli anni ottanta. Sono i governi Gonzàlez a introdurre i contratti temporali nel mercato del lavoro, sostenendo che i precari sarebbero stati i lavoratori a tempo indeterminato di domani. Questa logica venne introdotta anche con la riforma dello Statuto dei lavoratori sulla base di un accordo sindacale nel 1985 che io, che a quel tempo dirigevo le Ccoo (Comisiones obreras) non firmai a differenza di quanto fece l’Ugt (Unione generale dei lavoratori), d’ispirazione socialista, il secondo sindacato spagnolo, con un numero di iscritti molto vicino a quello delle Ccoo. Nel 1985 avevamo solo il dodici percento di contratti di lavoro a tempo parziale. L’anno dopo eravamo già arrivati al trenta percento, che poi è più o meno la percentuale attuale. Nel 1997 si è tentato, con accordi tra sindacati e imprese, di stabilizzare le forme di lavoro ma la quantità di lavoro a termine non è diminuita.”Come garantire e ampliare i diritti di questa consistente fascia di lavoratori precari? “Quello che si può e si deve fare, come ho cercato di dire prima, è gettare le basi di un cambiamento strutturale dell’economia. Sappiamo molto bene che la principale fonte di ricchezza di un paese è la propria manodopera, fatta di conoscenze, talento e saperi continuamente aggiornati. Ecco perché dobbiamo lottare contro i bassi salari e la precarizzazione che deprimono la buona qualità della manodopera. E dobbiamo anche mettere in relazione la domanda e l’offerta di lavoro, avendo sempre dì più lavoratori qualificati e formati professionalmente che non possono ricoprire lavori dequalificati e precari. La sfida è sull’innovazione tecnologica della nostra economia che porterebbe con sé il mutamento positivo dell’attuale mercato del lavoro. Certo, l’obiettivo è di lungo periodo. Intanto, bisogna anche sviluppare la democrazia industriale che nella prima tappa della transizione democratica è stata sacrificata a favore di un modello centralizzato di concertazione. Con Aznar, il governo più che arbitro della concertazione ne è diventato il soggetto principale. Ora il problema è tornare A a un rapporto diretto tra sindacati e imprese. È solo così che si producono le migliori riforme del mercato del lavoro. Il lavoro si trasforma non solo con le leggi. Si trasforma soprattutto con la contrattazione. Un lavoro di qualità può essere solo frutto di un accordo tra imprese e sindacati, il che produce anche un vero dialogo sociale.” Sul mercato del lavoro spagnolo incide ovviamente anche il fenomeno dell’immigrazione, che ha ormai raggiunto quasi le tre milioni di unità. Il governo Zapatero, favorendo la legalizzazione dell’immigrazione clandestina, cioè di coloro che erano in Spagna da un anno e avevano già un lavoro, ha fatto emergere un grande sommerso dell’economia che potrà dare allo stato e agli stessi lavoratori benefici in termini di tasse e previdenza, ma crea altre contraddizioni sul fronte dell’integrazione economica e sociale. È un problema inedito per sindacati e governo, che mentre cercano di cambiare la struttura economica spagnola devono pure fronteggiare questa massa di lavoratori che nella maggioranza sono precari quasi per definizione.Il giudizio di Gutiérrez è positivo sulla legalizzazione dell’immigrazione, che a suo parere va coniugata con un nuovo protagonismo sindacale. “Dal 7 febbraio al 7 maggio 2005 il governo ha permesso la legalizzazione degli immigrati che sceglievano di sottrarsi al mercato nero. Quasi ottocentomila persone hanno deciso di approfittare di tale opportunità. È stata una decisione giusta. In questo modo si è dato un colpo a chi vorrebbe poter contare su una massa di lavoratori senza diritti e disposta a essere malpagata.

(dal libro “Zapatero, il socialismo dei cittadini, che ho terminato di leggere tutto d’un fiato ieri sera)

E mentre da noi il quarto pilastro è l’assicurazione privata integrativa per la pensione….

Cosa si intende con “Quarto pilastro” dello stato sociale, categoria che il suo governo usa abitualmente?

Negli ultimi decenni il nostro paese ha progressivamente consolidato tre pilastri del welfare state: istruzione, sanità e pensioni per tutti i cittadini. I governi socialisti sono stati i principali protagonisti di questo processo. Sono stati infatti i governi socialisti a rendere universali le prestazioni sanitarie e a introdurre le pensioni non contributive. Ora dobbiamo avanzare in quello che è stato definito come il “Quarto pilastro” dello stato sociale, e che non è altro che il sostegno alle famiglie nell’assistenza alle persone dipendenti, cioè a tutti coloro che non possono realizzare senza l’aiuto esterno le attività essenziali della vita quotidiana.

Può spiegarci meglio quest’ultimo punto?

Le situazioni di dipendenza si producono a qualsiasi età e in tutti i settori sociali. Gli incidenti di traffico e quelli che si verificano nel lavoro sono all’origine di molte situazioni di dipendenza, ma è l’età il fattore più incisivo sul piano numerico. La nostra società sta invecchiando. Nel 1960, i cittadini con più di sessantacinque anni rappresentavano l’otto percento della popolazione, ora sono il diciassette percento. In questo momento il tasso di copertura dei servizi di aiuto a domicilio raggiunge appena il tre percento dei casi. Siamo lontani dall’undici percento della Francia e dal venti percento del Belgio.Chi sono coloro che si occupano in Spagna delle persone dipendenti? Sono le donne. Le madri, le mogli, le figlie rappresentano una buona parte dello stato sociale nel nostro paese. E il prezzo che esse pagano dal punto di vista della qualità della vita per garantire quelle prestazioni è immenso. Noi siamo convinti che ciò sia ingiusto e vogliamo cambiare questa situazione. Vogliamo aiutare le persone dipendenti a raggiungere un maggiore grado di autonomia, così come vogliamo aiutare chi si occupa dei cittadini dipendenti. A questo scopo, abbiamo messo a punto una legge che produrrà importanti risultati in questa materia.Siamo anche convinti che tale politica produrrà buone conseguenze economiche, in quanto permetterà di creare nuovi posti di lavoro nel settore dei servizi di attenzione alle persone dipendenti. Inoltre, questa stessa politica libererà molte dorme dalla loro attuale condizione, da una situazione che le obbliga ad abbandonare le loro attività esterne al nucleo familiare per tornare ad accudire i propri parenti.

(intervista al premier spagnolo Zapatero)

“I diritti fanno più forti i cittadini, e rendono più forti la società e la democrazia”

“Il cambiamento che abbiamo introdotto nella regolamentazione del matrimonio per aprirlo alle coppie omosessuali si pone l’obiettivo di eliminare una discriminazione che derivava dall’impossibilità di dare solennità pubblica ad un impegno di vita in comune al quale lo stato attribuisce una serie di conseguenze giuridiche. Quelle, appunto, del matrimonio civile. In questo modo, abbiamo riconosciuto un diritto a coloro che prima non lo avevano. Operando così, non si riduce di una virgola la libertà di coloro che non sono interessati a quel singolo diritto: al contrario, riteniamo che la società nel suo complesso migliori grazie a questa equiparazione giuridica.

[…]

Io sono una persona francamente moderata, la più contraria ad un radicale o a un esaltato. Penso molto alle cose che faccio e valuto molto le conseguenze delle mie decisioni . Non sono in alcun modo un radicale, salvo quando si tratta di rispettare i miei principi e di mantenere la parola data. Ma il problema è che il contratto di fiducia sul quale si basa la democrazia consiste esattamente in questo punto: non tradire la parola data.”

(dal libro Il socialismo dei cittadini, intervista al premier spagnolo Zapatero)