L’economia cresce solo se si paga di più e meglio.

Merita un copia-incolla l’articolo del Fatto quotidiano di oggi che parla di uno studio sul mercato del lavoro inglese. In particolare, condivido e mi è piaciuta (è anche il mio pensiero) questa parte:

Ci siamo rassegnati ad essere il fanalino di coda in Europa nelle retribuzioni, immolate sull’altare della competitività. Come se la competitività non fosse il risultato di competenze moltiplicate per gli investimenti nei processi produttivi e nel prodotto. Infatti le aziende capaci di esportare con successo praticano una politica retributiva “generosa”, basata su buoni salari e benefici con i quali mantengono persone competenti e motivate.

Non possiamo continuare a pagare poco e male gli insegnanti, i giovani laureati, i metalmeccanici. E, insieme, gli infermieri e gli ingegneri, i giornalisti e i dipendenti pubblici…

Una politica miope che oltre a deprimere le capacità di consumo ha conseguenze ben più gravi nel tempo: il calo del numero di laureati, una cultura meno tesa a buone prestazioni, il drenaggio delle competenze migliori verso l’estero.

Un gap retributivo che riguarda perfino le cosiddette professioni superiori: un professore universitario guadagna molto di più se accetta una cattedra a Londra o a Chicago. Se interrogate un consulente d’impresa o un avvocato societario, scoprirete che, a competenze equivalenti, sarebbe pagato meglio sulla piazza di Londra. I nostri manager, che pure passano per essere pagati come dei cresi, sono pagati peggio dei colleghi francesi inglesi, svizzeri, per non parlare degli americani.

Nell’ultimo periodo post crisi si è diffusa un’altra prassi non meno pericolosa: far lavorare gratis esperti nelle commissioni o per i grandi progetti della pubblica amministrazione, con le ambiguità denunciate dal costituzionalista Michele Ainis in un bell’articolo. In verità la gratuità è una prassi da sempre per gli stagisti o per il cosiddetto praticantato negli studi di architettura, degli avvocati o nei giornali!

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