Da ragazzo non capivo cos’era bene e cosa no

dalla meravigliosa (e piena di sofferenza) pagina delle Lettere dal Carcere del “Mattino” di oggi

Una buona parte di detenuti che affollano le carceri non immaginava neppure lontanamente la pena a cui andava incontro, non perché non fosse consapevole di quello che stava commettendo, ma per la grande diversità di condanna che si può ricevere nel nostro Paese da una procura all’altra. Io sono uno di quelli, ho un cumulo di condanne che mi ha portato a dover scontare più di trent’anni, il mio tipo di reato è sempre stato la rapina. Certo detta così posso sembrare un delinquente incallito, lo sono stato sicuramente per una scelta di vita, ma determinata anche da un conte- sto sociale che ha inciso sul mio percorso di peggioramento. Sono certo che questo mio crescendo di delinquenza in giovane età sia stato causato principalmente dal- la mancanza di paletti nella mia vita. Questi paletti sono i limiti che un genitore impone al proprio figlio, e avendo avuto un padre carcerato dall’età di zero anni ai dieci questi limiti a me sono mancati, anzi vedere mio padre dietro a banconi e vetri nelle sale collo- qui mi ha dato una grossa spinta a odiare la società in cui avrei dovuto vivere e le sue istituzioni. Ma anche crescere in un quartiere degradato incide fortemente su un bambino, essere a stretto con- tatto con pregiudicati, vedere da ragazzino la polizia venire ad arre- stare uno zio, o il padre di un ami- co, contribuisce a farti identificare dei nemici in tutte le divise. Que- ste cose non vogliono essere alibi, ripeto il mio contributo a peggio- rarmi è stato fondamentale, ma non essere in grado di capire cos’era bene e cos’era male mi ha portato a rovinarmi la vita. C’è una sorta di inconsapevolezza quando inizi a commettere i primi reati, il mio primo reato lo motiva- vo come un bisogno di soldi per- ché ero stufo di essere povero, non pensavo alla condanna che avrei dovuto scontare se mi avessero arrestato ed è proprio grazie alla mia prima carcerazione che ho capito l’odio che avevo dentro di me verso la società, ed è proprio da lì che posso affermare con sicurezza che la mia carriera delinquenziale abbia avuto una svolta. Abitando al sud, a Catania, per commettere le rapine salivo al nord, non importava la regione l’importante era allontanarmi da casa. A 19 anni mi arrestarono a Milano e presi una condanna di cinque anni e dieci mesi per una rapina in banca, in questi anni di detenzione il pensiero principale era trovare l’errore commesso per non ripeterlo nelle future rapi- ne, in più ascoltavo le strategie che i vecchi rapinatori raccontavano per cercare il colpo perfetto. Provate voi a stare in un contesto delinquenziale come è un carcere per anni meditando sempre sulla stessa cosa, l’odio, la rivalsa, la vendetta, sono questi i sentimenti di cui la mia mente si è nutrita per anni. Anno 2007 mi arrestano per rapine in giro per l’Italia, ed essendo ancora giudicabile mi vengono concessi gli arresti domiciliari in una comunità lavorativa, ma per me l’unico pensiero era scappare perché non avevo alcuna intenzione di regalare altri anni della mia vita a queste sbarre. La mia latitanza è durata poco più di sette mesi. Il 9 ottobre del 2009 torno in Italia per il funerale di mio figlio, sapevo che mi avrebbero arrestato, ma presi questa decisione perché sapevo anche che non sarei stato in grado di vivere con il rimorso di non aver partecipato al suo funerale, il caso vuole che nello stesso periodo una persona che mi era molto vicina si pente e mi accusa di diverse rapine. Non riuscivo ad avere ben chiara la mia situazione processuale. I mandati di cattura arrivavano settimanalmente e con essi tutte le date dei relativi processi in parecchie regioni. Iniziai questo calvario, e ad ogni processo gli anni mi venivano dati come se fossero noccioline. Credo che ancora oggi non ho la piena consapevolezza di tutti questi anni a cui mi hanno condannato, a volte mi ritrovo a fare progetti, poi mi riprendo e mi chiedo a cosa serve. Ho 37 anni e me ne mancano 24 da scontare. Non avrei mai pensato di arrivare a questa età e ritrovarmi rovinato. Oggi vedo molti giovani detenuti che rispecchiano quello che ero io e comunicare con loro è molto difficile perché hanno la presunzione di dire che loro saranno più furbi e che avranno la capacità di sistemarsi la vita con un colpo perfetto, questa presunzione è sempre stata la mia ed eccomi qui a fare la cosa più difficile che un uomo possa fare, trovare il coraggio di rimettere in discussione una vita intera.

Lorenzo S.

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