Il governo del rigore

dal “Mattino” di ieri

Taglia te, che a me mi vien da ridere. Dopo aver annunciato lacrime e sangue per tutti, la politica italiana se ne chiama fuori, applicando a se stessa una serie di autoriduzioni ai sacrifici che il resto del Paese dovrà invece accollarsi. Il taglio ai rimborsi elettorali dei partiti passa dal 50 al 10 per cento; ma quale taglio poi, se alle ultime politiche hanno riscosso quattro volte più di quanto avevano speso? Di Province non ne sarà abolita neppure una: le elimineremo tutte e 109, sta scritto nel programma elettorale del Pdl; ci limiteremo a una decina di quelle mignon, preannunciava la manovra. E’ bastato che Bossi minacciasse la guerra civile se ne toccavano solo una delle sue, perchè non se ne facesse più nulla. La diminuzione degli stipendi dei parlamentari, e a cascata quelli dei consiglieri regionali? Resteranno le briciole, se anche: un deputato Pdl strilla che ci rimetterebbe 640 euro al mese (su un importo di almeno 13 mila); il capogruppo del Pd in Calabria avverte che non bisogna fare discorsi demagogici; il Consiglio regionale veneto medita se riesumare la commissione biblioteca: che vuol dire aggiungere ai 12 mila euro mensili del consigliere normale 1.755 per il presidente, 1.170 per il vice e altrettanti per il segretario. Non si è fatta parola, e non se ne farà, di tagli anzi disboscamenti nella giungla degli enti pubblici, dove germinano scandalose sperequazioni, a partire dalle aziende di servizi pubblici locali: perchè al Sud un amministratore delegato ha uno stipendio medio annuo di 73.537 euro, contro i 44.559 del suo collega del Nord? E davvero la chiusura dei famosi enti inutili deve limitarsi ai quattro- cinque indicati? Che funzione riveste la «commissione per la pubblicazione dei carteggi del conte di Cavour » in piedi dal 1913? Bisogna aspettare che abbia divulgato anche le ultime cartoline ai parenti? Intendiamoci: mettere mano davvero e non per finta a questo complesso di spese inciderebbe in misura pressochè irrilevante sui 24 miliardi della manovra. Ma non possono autoesentarsene coloro che la scrivono, e che oltretutto a fine mese portano a casa una cifra di almeno una dozzina di volte superiore a quella dell’italiano medio. Tanto più quando ci si vanta che comunque non sono state aumentate le tasse: come vogliamo chiamare gli aumenti dei pedaggi autostradali, i ticket sulla sanitè, le misure che Regioni, Province e Comuni introdurranno per recuperare i soldi tagliati dallo Stato? Uno Stato pervicacemente sprecone, oltretutto: dal’94 a oggi, quale che fosse il colore del governo, la spesa pubblica ha continuato a salire, fino a sfiorare la metà del prodotto interno lordo; e il debito pubblico viaggia verso il 120 dello stesso Pil. La pressione fiscale è pari al 43 per cento, ma sempre a carico di chi sta peggio: non compaiono di certo metalmeccanici, infermieri, insegnanti nella «black list» di coloro che evadendo il fisco sottraggono ogni anno alle casse pubbliche 120 miliardi di euro. Uno Stato vorace, che le mani nelle tasche degli italiani le mette e come: gli aumenti della benzina hanno garantito alle sue casse 4 miliardi negli ultimi quattro anni; su ogni bolletta della luce intasca un quarto dell’importo, sotto la voce «oneri generali di sistema»; lo scorso anno si è portato a casa 9 miliardi sui giochi, dal Superenalotto in giù. Se è l’amministratore di una casa a dare il cattivo esempio, a spremere i condomini senza migliorare la qualità dell’abitare, a vivere lui per primo sopra le righe, che credibilità può avere? Di norma, alla prima assemblea lo si cambia. Non a casa Italia, dove si è blindato alla grande. «Hic manebimus otpime», risposero i senatori dell’antica Roma a chi voleva cacciarli. Due millenni dopo, i loro successori non hanno cambiato idea.

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