L’evoluzione del diritto penale in un bel sito web

Cercavo di approfondire le caratteristiche innovative (nel bene e nel male) del Codice fascista Rocco, per ampie parti ancora in vigore, e mi sono imbattuto in un formidabile sito web, che voglio condividere con voi.

http://www.altrodiritto.unifi.it/law-ways/musio/nav.htm?cap1.htm

Questo, un piccolo pezzo:”

Gli elementi caratterizzanti il tecnicismo giuridico hanno messo in luce come le matrici della codificazione fascista vadano ricercate nella crisi della Scuola classica e negli orientamenti della dottrina penalistica del primo decennio del secolo, dottrina impegnata a liberare il diritto penale da influenze extra-giuridiche attraverso uno studio che avrebbe dovuto avere come unico referente il diritto positivo. Ciò risulta evidente anche nella Relazione al re che accompagnava il codice, dove Rocco sottolineò quanto la riforma consistesse:

nell’applicazione di più provvidi principi di politica legislativa penale, in nuovi istituti, in perfezionamenti tecnici che, per quanto importanti, non modificano le basi storiche tradizionali del nostro diritto e i principi scientifici a cui esso si ispira. (45)

Nelle parole del guardasigilli non mancano riferimenti alla nuova concezione dello Stato che ispira molti degli istituti del codice. È in questa concezione che risultano più evidenti i rapporti tra la nuova legislazione penale e la filosofia sociale, politica e giuridica del fascismo. Lo Stato viene concepito come un organismo allo stesso tempo economico, sociale, giuridico, etico e religioso. Come organismo economico-politico, ad esempio, lo Stato non costituisce più la somma aritmetica degli individui che ne fanno parte ma, piuttosto, la risultante, la sintesi dei soggetti, delle categorie e delle classi che lo costituiscono. Un ente che ha una propria vita, propri fini, bisogni e interessi cui vengono subordinati quelli individuali o collettivi. Ciò consentiva a Rocco di affermare che il diritto di punire nella concezione fascista si differenzia da quello proprio degli illuministi e della Scuola classica, non essendo. .”una graziosa concessione fatta dagli individui allo Stato, avente a proprio limite la barriera insuperabile del diritto naturale di libertà dell’individuo” ma, piuttosto “un diritto di conservazione e di difesa proprio dello Stato, nascente con lo Stato medesimo. .e avente lo scopo di assicurare e garantire le condizioni fondamentali e indispensabili della vita in comune”. (46)

Rocco chiarisce, inoltre, la posizione assunta sul dissidio tra Scuola classica e Scuola positiva. Egli disse:

Il nuovo codice ha ritenuto opportuno prendere da ciascuna scuola soltanto ciò che in esse vi è di buono e di vero – cercando di creare- un sistema che tutte le scuole componesse nell’unità di un più alto organismo atto a soddisfare i reali bisogni e le effettive esigenze di vita della società e dello Stato. (47)

Rispetto al Codice Zanardelli, sia la parte generale che la parte speciale risultano ampliate. La prima passa da 103 a 240 articoli, la seconda da 395 a 494. L’aumento numerico delle disposizioni della parte generale è però accompagnato da un sistema di definizioni che interessa gli istituti più importanti: la causalità, il dolo, la colpa, la preterintenzione, le condizioni obiettive di punibilità. Una tecnica legislativa che secondo alcuni risponderebbe ad esigenze di certezza del diritto (48), secondo altri avrebbe invece appesantito la disciplina giuridica, dando luogo in molti casi a definizioni incomplete e poco felici nella formulazione. (49)

Nella parte generale si registra un importante elemento di novità, che differenzia il Codice Rocco rispetto ai vecchi codici ottocenteschi: ai primi due titoli dedicati alla legge penale e alle pene, fanno seguito due titoli dedicati uno al reato, l’altro al reo e alla persona offesa dal reato, dove trovano coerenza sistematica istituti che il Codice Zanardelli contemplava in modo disorganico.

Degno di rilievo è il fatto che, in linea con la tradizione ottocentesca, la parte generale del codice esordisca con l’affermazione del principio di legalità, della irretroattività della legge penale e del divieto di interpretazione analogica. Garanzie formali che il legislatore fascista si è potuto permettere di mantenere, secondo Neppi Modona, perché sarà nella sistematica della parte speciale e nel contenuto marcatamente politico di molte sue fattispecie che l’ideologia autoritaria troverà soddisfazione. (50) Una via molto diversa da quella seguita dalla Germania, i cui penalisti non mancarono di criticare la legislazione penale italiana per non essersi staccata dai presupposti liberali. (51)

Il legislatore del 1930 si è inoltre ispirato al principio di colpevolezza, assumendo il dolo e la colpa quali normali criteri di imputazione per i delitti e le contravvenzioni ed ha, attraverso le scelte operate in materia di punibilità del reato putativo e del reato impossibile, aderito ad un modello di diritto penale “del fatto”.

Sebbene sia solitamente la parte speciale ad essere considerata emblematica dell’inclinazione autoritaria del codice, anche molti istituti della parte generale, in realtà, sono tutt’altro che neutrali rispetto alle scelte e agli orientamenti di politica criminale del regime e costituiscono delle vere e proprie deroghe rispetto ai principi liberali che hanno trovato conferma e accoglimento nel codice. Alcune fattispecie, ad esempio, non soddisfano sul piano della determinatezza: si pensi all’art.110 sul concorso di persone nel reato, alla definizione di reato politico dell’articolo 8 o alla “percolosità sociale”, quale presupposto ‘manipolabile’ dalla giurisprudenza da cui dipende l’inflizione delle misure di sicurezza, indeterminate nel tempo e a cui non si applica il principio di irretroattività. (52)

Per quanto attiene al principio di colpevolezza poi, si assiste ad un frequente ricorso alla responsabilità oggettiva (si pensi alle ipotesi di reato aggravato dall’evento, alla disciplina del reato di diffamazione a mezzo stampa insolitamente collocato nella parte generale). Ancora, in tema di imputabilità, il codice non riconosce all’ubriachezza volontaria l’effetto di escludere o diminuire la capacità di intendere e di volere e nega agli stati emotivi e passionali qualsiasi incidenza sull’imputabilità.

Per quanto attiene alle deroghe al modello di un diritto penale del fatto, non può tacersi della disciplina del tentativo, nella quale si assiste rispetto alla normativa del precedente codice, ad una anticipazione della soglia della punibilità, che nelle fattispecie di parte speciale relative ai delitti contro la personalità dello Stato si traduce nell’incriminazione dell’istigazione anche non pubblica e anche se non accolta. (53)

Se il Codice Zanardelli aveva analiticamente distinto i singoli ruoli nel concorso di persone nel reato, il Codice Rocco adotta invece il modello unitario-formale. Nel concorso di reati, inoltre, vengono abbandonate le soluzioni del cumulo giuridico e dell’assorbimento optando a favore del cumulo materiale delle pene.

In tema di scriminanti viene previsto l’uso legittimo delle armi mentre la legittima difesa viene estesa ai diritti patrimoniali. Per quanto riguarda le circostanze del reato, scompaiono le attenuanti generiche e viene introdotto un capillare sistema di aggravanti.

Infine, si ha l’introduzione delle misure di sicurezza. Prevedendo accanto alla tradizionale pena retributiva fissa nel suo ammontare e proporzionata alla gravità del reato, le misure di sicurezza, il Codice Rocco ha realizzato, più che una fusione tra gli opposti principi della concezione classica e positiva, una distorsione dai loro presupposti logici. È stato così introdotto il sistema del doppio binario, fondato sul dualismo della responsabilità individuale/ pena retributiva (sempre determinata) e della pericolosità sociale/misura di sicurezza (sempre indeterminata nella durata massima). Un sistema che si applica a quei soggetti considerati pienamente imputabili o semiimputabili, ai quali, in relazione alla loro pericolosità, si applica, dopo la pena, anche una misura di sicurezza detentiva (casa di cura e custodia per semiinfermi di mente e altri semiimputabili, riformatorio giudiziario per i minori tra gli anni quattordici e gli anni diciotto giudicati capaci di intendere e di volere, casa di lavoro o colonia agricola per i delinquenti abituali, professionali, o per tendenza).

La misura di sicurezza viene applicata sulla base dei seguenti presupposti:

  1. commissione da parte del soggetto (imputabile o non imputabile) di un fatto previsto dalla legge come reato;
  2. pericolosità sociale dello stesso soggetto, intesa come probabilità che egli commetta nuovi fatti previsti dalla legge come reato.

La conseguenza aberrante di questo sistema è che mentre al soggetto imputabile ma non pericoloso si applica la sola pena e ai soggetti pericolosi non imputabili la sola misura di sicurezza, nel caso di soggetti semiimputabili e imputabili pericolosi la misura di sicurezza segue alla esecuzione della pena. Si potrà quindi avere il caso di minori e semiinfermi di mente che prima scontano una lunga pena e successivamente vengono ricoverati in riformatori o case di cura e custodia dove dovrebbero essere curati o rieducati, con il risultato che le principali categorie di delinquenti pericolosi imputabili rischiano l’applicazione di una pena detentiva indeterminata.

Secondo Neppi Modona, questo sistema costituirebbe il più vistoso esempio di disonestà del Codice Rocco il quale avrebbe strumentalizzato molti dei principi della Scuola positiva per avallare un sistema repressivo e vessatorio che vede nel condannato un nemico dell’ordine interno dello Stato da condannare all’emarginazione sociale. (54)

Venendo alla parte speciale del codice, è in essa che l’impronta autoritaria del regime fascista si registra con maggiore nettezza. Non solo per il proliferare delle fattispecie incriminatrici e per il generalizzato inasprimento delle sanzioni ma, soprattutto, per la c.d pubblicizzazione degli oggetti di tutela. Se ciò risulta di per sé illuminante del sistema di valori espresso in questo codice, ad esso si deve aggiungere l’ordine con il quale i titoli della parte speciale vengono a delinearsi. Un ordine tutt’altro che casuale, espressione di una gerarchia di valori, in base alla quale, i delitti contro la personalità dello Stato, contro la pubblica amministrazione, contro il sentimento religioso, l’ordine pubblico e la famiglia vengono prima dei delitti contro la persona, collocati quasi a chiusura del codice.

Ci si muove, in sostanza, dai beni pubblici ai beni privati secondo il modello della c.d ‘progressione discendente’. Quest’ultimo funzionerebbe come una sorta di calamita che attrae nella dimensione istituzionale la gran parte degli interessi tutelati, cui viene conferita una valenza pubblicistica. (55)

Il modello della progressione discendente non è però esclusivo di un regime autoritario quale quello fascista. Esso presenta una sua tradizione storica che trae le sue origini dalla Constitutio criminalis Theresiana del 1768 (56); anche il Codice Zanardelli aveva seguito come gran parte dei nostri codici preunitari questo modello, ma al Titolo dei delitti contro la sicurezza dello Stato seguiva il Titolo dei delitti contro la libertà, nel quale erano compresi i delitti contro le libertà politiche, contro la libertà dei culti, contro la libertà individuale e contro la inviolabilità del domicilio. Si veniva così a creare, nel codice del 1889, un binomio inscindibile tra sovranità dello Stato e libertà dei cittadini, dove la tutela del primo risultava il presupposto imprescindibile per la tutela delle libertà dei secondi. (57)

Come accennato, nella parte speciale del Codice Rocco si assiste ad una moltiplicazione delle figure di reato attraverso una dilatazione dei loro ‘contorni’. Si pensi al reato di “disfattismo politico” e di “disfattismo economico” (art.265 e 267), al reato di “attività antinazionale del cittadino all’estero”(art.269) e di “vilipendio della nazione italiana” (art.291). Tra i reati contro il patrimonio si segnala la presenza di nuove fattispecie, sconosciute al Codice Zanardelli, quali l’usura (art.644) e l’insolvenza fraudolenta (art.641), mentre la figura della truffa risulta ampliata. Tutte scelte, queste, che vanno nel senso di rafforzare la tutela del patrimonio e quindi, in primo luogo, gli interessi della classe borghese sulla quale si reggeva il regime. (58)

La pubblicizzazione della tutela resta però la componente emblematica e sintomatica di questo codice: il bene giuridico trova in un interesse superiore la ragione della sua esistenza; un interesse che finisce con essere immanente alla fattispecie trascendendone quella che dovrebbe essere la sua finalità primaria. Bastano, a riguardo, pochi ma significativi esempi: i delitti contro il sentimento religioso (Titolo IV del Libro II) vedono come soggetto passivo in primo luogo lo Stato che della religione è titolare e tutore; i delitti contro l’economia pubblica, l’industria e il commercio (Titolo VIII del Libro II), dove il lavoro e l’attività produttiva devono essere finalizzati agli interessi della nazione, attraverso l’eliminazione di ogni conflitto sociale e la cui composizione doveva avvenire nell’ambito della corporazione. Di qui la repressione dello sciopero e della serrata.

Ancora più evidente la componente pubblicistica nei delitti contro la moralità pubblica e il buon costume (Titolo IX del Libro II), dove non soltanto il reato di violenza carnale e gli atti di libidine violenti vedono in primo luogo come referente lesivo la pubblica morale, ma dove nelle fattispecie di ratto di donna coniugata e non, o di minorenne, attraverso la previsione di determinate attenuanti, lo Stato si fa portavoce di una concezione per la quale la donna non è tutelata in rapporto alla sua libertà personale, ma in relazione al potere che su di essa esercitano il marito o la famiglia.

Se in queste ipotesi però il Codice Rocco non fa che accogliere, talvolta esasperandoli, atteggiamenti culturali presenti nella società italiana dell’epoca, è invece nei delitti contro l’integrità e la sanità della stirpe che il discorso si fa più marcatamente ideologico, finendo col fare della gestazione un affare di Stato. Come sottolineato nella Relazione al Re dallo stesso Rocco:

…Non si vuole negare che accanto all’offesa all’interesse demografico dello Stato e della Nazione, altri interessi vengono offesi dalle pratiche così dette abortive…come l’offesa all’interesse della vita e dell’incolumità del nascituro..l’offesa all’interesse della vita e dell’incolumità della madre..Ma è certo che ad ogni altra deve considerarsi prevalente l’offesa all’interesse della Nazione di assicurare la continuità della stirpe, senza la quale verrebbe in definitiva a mancare la stessa base personale dell’esistenza della Nazione e dello Stato. (59)

Con parole così esplicative ed emblematiche della ratio del Codice Rocco si ritiene di poter concludere quest’excursus sulla legislazione penale del ’30, rimandando ad un successivo capitolo le considerazioni che potranno farsi su questa normativa alla luce del diverso contesto costituzionale e culturale della società italiana. L’impatto tra i due sistemi di valore è stato più morbido di quanto si potesse immaginare dando vita ad un processo di adeguamento quanto mai timido e tardivo.”

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