L’ultimo saluto a Beppe

Beppe Cusin

Non conoscevo personalmente Beppe , il ragazzo ventenne ammazzato con dieci coltellate da un ragazzo serbo a Mortise, a scopo di rapina, ma subito appena ho letto come era stato dipinto dai giornalisti (fedina penale sporca, famiglia separata, ecc.) mi è venuta la pelle d’oca ripensando a come era stato dipinto il povero Federico Aldovrandi, di cui ho già parlato su questo blog . Solo ieri , il presunto assassino ripeteva che era stato Beppe a volerlo uccidere con un coltello: mai – e poi mai – mi dicono i ragazzi che lo conoscevano , ne sarebbe stato capace. Poi, un’altra versione: la colpa sarebbe di un complice, allo stato irreperibile. E così, dopo che anche mia madre- sentendo come l’hanno dipinto giornalisti e TG – mi ha fatto arrabbiare definendolo “uno che aveva brutte amicizie e si era immischiato in brutti giri”, preferisco riportare le testimonianze del papà, prima di tutto, che si è visto il figlio in carcere per 26 g di hashish (vorrei sapere invece se l’ha mai visto il carcere il deputato UDC che tiene famiglia coinvolto nel festino a coca e prostitute), e dei suoi amici. Dal Mattino di oggi:

GLI AMICI: Non troveremo più persone come lui

Non è pensabile raccontare una persona in poche righe. Noi conoscevamo Neppe e non era solo un amico: era un fratello, come lui ce n’erano pochi e forse ora non ce ne sono più. Lui aveva una faccia sola: era leale, quieto con tutti, aveva voglia di vivere, aveva dei progetti, un futuro e un sacco di amici attorno che gli volevano bene. Era conosciuto e rispettato da tutti, pure da chi non aveva molta confidenza. Era il migliore, quello con più carattere e pronto a far qualsiasi cosa per le persone a cui voleva bene. Aveva la testa sulle spalle e spesso tra di noi ci si stupiva per la sua sicurezza e determinazione. Era un uomo. Quello che tanti interpretavano come introversione, in realtà era la sua parte più pura, cioè la sua assoluta mancanza di ipocrisia. Era un buono, un uomo di parola, generoso e sicuramente non violento. Queste parole sono solo un gesto di lealtà nei confronti di un fratello, per difendere il suo cuore e per comunicare la sua vera essenza. Scriviamo questa lettera affinché il nome di Giuseppe non venga mai più infangato e strumentalizzato. L’abbraccio più sentito lo porgiamo alla famiglia.
I suoi più cari amici

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Sempre pronto ad appassionarsi di ciò che lo colpiva. Sorrideva quando era imbarazzato, non l’abbiamo mai visto arrabbiarsi o piangere; ci teneva a non lasciar trasparire le sue emozioni anche se i suoi occhi grandi parlavano. Non si può negare che fosse un po’ introverso, ma era nel suo stile.
Quanti pomeriggi estivi passati assieme a pescare sulla riva di qualche laghetto, uno in fianco all’altro, ognuno immerso nei propri pensieri e l’entusiasmo che esplodeva intrattenibile ogni qualvolta un pesce abboccava.
E l’entusiasmo che nascondeva in altri momenti si rivelava dirompente nelle partite di pallacanestro, che da sempre era la sua passione.
L’ultima immagine che abbiamo di lui si è fissata nella mente, si aggiunge ai tanti ricordi che lottano contro l’assurdità e la tristezza degli ultimi giorni. Eravamo al Portello pochi giorni fa e rincorreva gli amici con una pistola ad acqua in mano, sorridente e giocoso.
E’ così che lo ricorderemo: non solitario, né taciturno o un disagiato, ma come realmente era, il Beppe allegro e sarcastico, la cui infinita riserva di energia riusciva a trascinarci tutti in un sorriso.
Ciao, Beppe.
Neisol, Dino, Manu, Trevor, Jimmy, Giu, Gube, Silvia
e tutti i compagni e gli amici

Lo fa al telefono, con la voce affaticata da giorni di sofferenza, che si rompe a tratti per i troppi sentimenti che le parole e i ricordi inevitabilmente suscitano. «Cosa vuole che dica… faccio fatica anche a trovare la voce per parlare, per esprimere come ci sentiamo: questa mattina (ieri, ndr) ho visto Giuseppe per l’ultima volta, dal medico legale. Dopo l’autopsia non sarà più possibile».
Con le prime parole Edoardo Cusin va dritto al figlio maggiore, all’im-maginemaca-bra di una giovane vita spezzata. Per passare poco dopo, con istinto di padre, all’altro figlio ancora minorenne, che insieme alla moglie rappresenta in questo momento l’unico appiglio, l’unica certezza. «Ho un altro figlio, devo farmi forza — continua — Io e mia moglie siamo separati da un po’ di tempo, ma vedremo se sarà possibile ricostruire il nostro nucleo familiare, soprattutto per nostro figlio più piccolo».
Poi inizia a parlare di Giuseppe, Beppe per tutti. «Era soprattutto un bravo ragazzo, uno modesto, per niente montato, con passioni semplici come la pesca, che praticava da dieci anni e il basket, che aveva lasciato l’anno scorso ma intendeva riprendere — ricorda — Era anche una persona forte, con una storia alle spalle che avrebbe spezzato la schiena a tanti altri. Quella ragazzata, quei grammi di fumo trovati in tasca gli erano costati caro, ha passato un anno d’inferno. Immaginatevi un ragazzo di appena 18 anni, messo alla gogna per una sciocchezza che a momenti non fa neanche più notizia, sbattuto tre notti in galera, costretto a tre mesi di arresti domiciliari, a un anno di servizi sociali e di incontri con gli psicologi. Nessuno dice che non avesse sbagliato ma, mi creda, ha pagato mille volte quella che era la sua colpa».
La famiglia Cusin non nasconde poi l’amarezza e la rabbia per come l’immagine del figlio sia stata distorta dopo la morte. «La prima notizia che è stata data è che centrava il mondo della droga, che la verità era da ricercare unicamente lì, senza rispetto o un po’ di riflessione — si sfoga — Ho anche visto che i suoi amici, chi lo conosceva bene e lo frequentava, si sono lanciati in sua difesa, raccontando delle sue qualità e smentendo il ritratto che si cercava di far passare: questo mi ha fatto piacere».
Edoardo Cusin, in questo momento, è poco interessato ai carnefici di suo figlio. «Non vogliamo vendetta perché nessuno potrà restituirci il nostro ragazzo — osserva — Chiediamo che sia fatta giustizia, questo sì. E che la gente ricordi Giuseppe per quello che era veramente».
(Simone Varroto)

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