Affari nostri : le leggi del centro-destra

http://www.repubblica.it/2005/i/sezioni/politica/interc2/interc2/interc2.html

ROMA – Appena ha finito di scorrere il testo Ciampi è stato perentorio: Berlusconi non potrà utilizzare il decreto legge, come invece aveva chiesto, per gli otto articoli che cambiano le regole sulle intercettazioni telefoniche. Per il Quirinale non c’è il requisito dell’urgenza. Non resta che un disegno di legge di difficile gestione a fine legislatura. Il premier ha incassato l’ennesima delusione su norme cui tiene moltissimo ma che oggi il consiglio dei ministri potrebbe rinviare a venerdì prossimo.

A mettersi di traverso c’è più di un elemento. Innanzitutto le tensioni con l’Udc che, in una riunione prima dell’esecutivo con il segretario Follini, potrebbe chiedere qualche giorno di riflessione in vista dell’ufficio politico centrista di lunedì.

Ma ci sono forti perplessità soprattutto dentro Forza Italia. L’ultima è esplosa ieri sera quando il responsabile Giustizia Gargani ha scoperto l’esistenza dell’ultimo articolo, l’ottavo, durissimo contro i giornalisti. Saltando a piè pari il lavoro di Camera e Senato sui reati a mezzo stampa, ecco la novità: chi pubblica “intercettazioni di conversazioni o comunicazioni è punito con l’arresto da uno a tre anni o con un’ammenda da 500 a 5mila euro”. Da due a sei anni di carcere per i pubblici ufficiali. Una stretta specifica cui se ne aggiunge una generica: chi pubblica l’atto di un processo rischia l’arresto fino a sei mesi. Dice Gargani: “Sto cercando Berlusconi per dirgli che non sono assolutamente d’accordo”.

Ma c’è dell’altro. Il premier ha commissionato il testo a Ghedini, suo avvocato e deputato. Il risultato non piace a Gargani perché è rimasto fermo a cinque anni il tetto della pena per ottenere un’intercettazione. Gargani voleva portarlo a sette, ma secondo Ghedini l’Udc non avrebbe mai avallato l’esclusione della corruzione. Per Ghedini il compromesso è accettabile.

Perché, come spiega il sottosegretario forzista alla Giustizia Vitali, “sono previsti altri irrigidimenti: la necessità di motivazioni più stringenti e immediate per chiedere le intercettazioni, la tutela delle persone non indagate, la durata massima di tre mesi per gli ascolti che oggi vanno avanti all’infinito”. Di fatto, se fossero state in vigore tra luglio e agosto, le nuove regole avrebbero bloccato i testi su Antonveneta, Unipol, Rcs.

Il ddl vieta di divulgare gli atti “anche se non sussiste più il segreto finché non siano concluse le indagini preliminari o fino al termine dell’udienza preliminare”. Le intercettazioni sono possibili solo se il pm dimostra che non c’è altro mezzo per accertare il reato. Per chi non è indagato l’ascolto potrà scattare solo per i reati gravi. La durata di tre mesi è perentoria. Rigide le norme sui testi, utilizzabili solo per il processo per cui sono stati chiesti. Se il giudice opta per un reato meno grave tutto andrà distrutto. Con una formula che farà discutere, la dizione “privata dimora” prevista nella violazione di domicilio viene cambiata in quella di “privato”. In pericolo chi “viola” un ufficio o una casa per mettere una microspia.

Fino a ieri sera il Guardasigilli leghista Castelli ha limato le norme e la relazione introduttiva chiesta da Berlusconi. Top secret il testo: 24 pagine con numeri e spese sostenute negli anni, rapporti dell’ispettorato, valutazioni, conclusioni, proposte. C’è una critica ai predecessori che non avrebbe vigilato a sufficienza. Un fatto è certo: Castelli non ha scoperto anomalie nella richiesta dei pm e nella pubblicazione delle intercettazioni milanesi fino a oggi ancora possibile.

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