La critica al “socialismo reale” dell’Est Europeo

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Il “socialismo reale” dell’Europa dell’Est e della Cina e dei suoi seguaci minori ha soffocato questo dibattito all’interno della smistra nel corso del secolo e il lungo predominio delle esperienze socialdemocratiche o delle democrazie borghesi liberali ha consolidato la democrazia rappresentativa come apice del progresso politico dell’umanità.
Il suo splendore è stato certamente offuscato dalla sequela di dittature militari, di autoritarismo populista, che si sono avvicendate in America Latina, in Africa e in Asia, e anche l’Europa non ne è uscita indenne: Portogallo. Spagna, Grecia hanno confermato che il XX secolo non sarà ancora il secolo della civiltà.
Negli ultimi decenni, la fine della “guerra fredda”, la profonda crisi attraversata dalle esperienze dell’Europa dell’Est e il fallimento della “dottrina della sicurezza nazionale” in America Latina, hanno consolidato la democrazia rappresentativa in molti paesi e, laddove ha sostituito delle dittature, essa ha avuto una grande importanza nelle conquiste politiche della società.
E innegabile, tuttavia, che nella maggior parte dei paesi a democrazia liberale il sistema rappresentativo attraversa un processo di crisi di legittimità, che si esprime nell’astensionismo, nell’apatia e nella non partecipazione politica e sociale, nei bassi indici di iscrizione ai partiti.
Le cause variano nei diversi paesi, ma si può dire che le ragioni principali risiedono:
– nel processo di burocratizzazione e nel carattere autoritario delle amministrazioni e dei parlamenti:
– nella mancanza di controllo da parte degli elettori e/o del Partito sugli eletti;
– nei sistemi elettorali che deformano la rappresentanza, frodando la volontà popolare attraverso il meccanismo dei collegi e o le barriere e gli ostacoli per i piccoli partiti;
– nella mancanza di coerenza tra progetto e programma elettorale, da un lato, e la pratica degli eletti, dall’altro:
– nei passaggi da un partito all’altro senza perdita di mandato, consentiti dalla legge, in cui il Brasile detiene probabilmente il record mondiale;
– nell’incapacità dei sistemi di garantire la riproduzione del capitalismo con una legittimità, di fronte all’evidenza del fatto che esso riproduce disuguaglianza e sfruttamento sociale;
E in questo quadro che l’esperienza di democrazia partecipativa che stiamo facendo da Il anni a Porto Alegre acquista significato e importanza.
Pur senza ignorare i limiti delle esperienze locali e il fatto che la nostra pratica deve essere inserita in un progetto di più vasta portata, che pensi il paese all’interno di una nuova concezione del mondo, non ha senso incrociare le braccia e aspettare che tutti i problemi teorici e strategici siano risolti prima di agire.
In conclusione, come dice Eduardo Galeano. l’utopia, anche quando sembra allontanarsi, ha la funzione di obbligarci a camminare per raggiungerla.

dal libro “la democrazia partecipativa” di Raul Pont, cit.

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