Ancora sul bilancio partecipativo (2)

Difesa degli interessi materiali comuni dei lavoratori
Quello che nelle prime vittorie elettorali abbiamo definito “inversione delle priorità” deve concretizzarsi in forma più chiara nelle priorità, nei programmi e nei progetti di governo.
La forma più sicura per evitare confusioni e vacillamenti nell’avvicinarsi ai governi municipali è tenere presente la parola d’ordine della difesa degli interessi comuni dei lavoratori. Qui non c’è nessun disconoscimento del fatto che, quando governiamo, lo facciamo per tutto un Municipio o uno Stato e che la vittoria elettorale si con- solida solo con la nostra capacità di costruire una politica di egemonia. Questo significa avere l’appoggio, l’adesione e il riconoscimento di settori sociali che vanno al di là delle nostre forze originarie. La sintonia con gli interessi comuni – l’infrastruttura fognaria di base, la scuola, la sanità viste come diritti e conquiste storiche dei lavoratori, la concezione solidaristica che regge la previdenza e l’assistenza sociale, il diritto a un’abitazione dignitosa come elemento iniziale di cittadinanza, la visione del tempo libero, dello sport e della cultura come componenti essenziali della condizione umana e non come qualcosa di superfluo e trascurabile – per quelli che sono “in basso”, per le classi subalterne, è la migliore garanzia di successo dei nostri governi e anche di possibilità di trasformazione di questi settori sociali in sostenitori politici dei protagonisti dei nostri mandati. Questa politica è un antidoto all’annacquamento programmatico e all’idea che il buon governo è quello “di tutti”. Siamo uno dei partiti delle classi subalterne, sfruttate e oppresse dalla società capitalista. Nel governo dobbiamo difendere prioritariamente una parte. Questo non impedisce la lotta politica per l’egemonia, ma, al contrario, ci dà una base solida per farla di fronte ad altri segmenti sociali.

Lo Stato regolatore
Una delle basi dell’ideologia neoliberista consiste nella visione dello Stato come un intralcio, un ostacolo alla crescita economica e alla liberazione delle potenzialità della società civile.
La classe dominante nel capitalismo non ha avuto sempre questa idea. Non si è mai vergognata di usare lo Stato per arricchirsi o per privatizzare dei guadagni. I paesi del cosiddetto Primo Mondo sono stati mercantilisti, protezionisti, imperialisti e lo Stato è sempre stato decisivo a questo scopo, nelle mani di frazioni della classe dominante che, prima l’una poi l’altra, si trovavano di fìonte a questi governi. Nel dopoguerra, quasi tutti sono stati socialdemocratici, difensori dello stato sociale. Ora tutti si convertono al neolibensrno e ce lo presentano come “verità assoluta” e strada obbligatoria per l’umanità!
Noi sappiamo che le cose non sono state così, non stanno così e non staranno così. Non siamo stati noi a creare questo “trabiccolo” – lo Stato brasiliano – sviluppatosi in 500 anni di latifondo, schiavitù, oligarchia ed esclusione sociale nel paese, e non siamo orfani né rivendichiarno l’eredità della burocrazia dell’Europa dell’Est.
Ma, nel governo, non ci sbarazziarno del suo possibile ruolo di regolazione e di freno rispetto alla spontaneità del mercato e all’assenza di pianificazione socio-economica del capitalismo. Sotto il nostro controllo e la nostra direzione, anche nei limiti di un Municipio. possiamo agire – dalla correzione delle ingiustizie del sistema fiscale brasiliano, rendendo le imposte dirette più progressive e utili al miglior utilizzo e alla razionalizzazione dell’uso del suolo urbano, sino all’impulso diretto alla piccola produzione, all’azione cooperativa, alla lotta alla disoccupazione. E, soprattutto, favorendo la discussione più democratica sulle risorse del Municipio e il loro impiego attraverso la partecipazione diretta della popolazione. Il potere municipale ci dà anche una rappresentanza politica nella discussione sulle risorse dello Stato e dell’Unione, sulle sue politiche settoriali, nell’organizzazione degli interessi regionali comuni con altri Municipi. In uno Stato come il Rio Grande do Sul, i cui ultimi go cmi accennano alla partecipazione con i Consigli Regionali di Sviluppo, ma non li rispettano, e in cui la figura costituzionale dell’ernendarnento popolare al bilancio è utilizzata ancora pochissimo, è evidente il potenziale di lotta politica che questo consente ai Municipi.
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La stampa ci rimprovera di non fare dei viadotti a Porto Alegre. La nostra risposta ai giornalisti e agli articolisti è: “I signori possono partecipare alla plenaria che discute il Bilancio Partecipativo e proporre là la costruzione di viadotti e tunnel. Se qualcuno la approverà, li faremo”. Adesso le persone stanno difendendo soprattutto il fatto che tutti abbiano acqua, luce, cibo, casa. Porto Alegre non aveva mai avuto tante case e tanti appartamenti da affittare e da vendere, e mai la crisi abitativa è stata tanto grande… è questa l’irrazionalità in cui viviamo.
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Non siamo ostaggio degli appaltatori, dei grandi gruppi economici che lavorano con le opere pubbliche. Al contrario, subordiniarno questi gruppi alla logica creata dalla popolazione. Se la popolazione chiede più pavimentazione, risanamento di base, canalizzazione dell’acqua pluviale, noi accettiamo la sua decisione. Questo è pianificazione ed è anche un modo di gestire la città. Questa critica di fare “bagattelle”, ad esempio nel settore del traffico, si concentra sul fatto che non costruiamo tunnel e viadotti, come ha fatto Maluf a San Paolo, opere faraoniche sulle strade, sotto i fiumi, ecc. Noi non le realizziamo perché la popolazione indica la direzione opposta, la direzione del miglioramento del trasporto collettivo, di una città policentrica, del miglioramento dei servizi pubblici e delle infrastrutture pubbliche in modo distribuito e decentrato nella città – il che ha diminuito i problemi di congestionamento. Sono modi diversi per affrontare lo stesso problema: privilegiare l’automobile e coprire le aree centrali con viadotti, tunnel e sopraelevate; o decentrare la città per raggiungere una parità nel trattamento dei vari quartieri, in modo che i loro abitanti non abbiano bisogno di fare molti spostamenti verso il centro. I risultati, in questo caso, sono molto migliori, perché i fondi pubblici non si concentrano in opere viarie carissime a costo dell’abbandono dei settori sociali.
L’inversione di priorità porta ad assumere più impiegati. Noi ci vantiamo di essere un Municipio che non licenzia impiegati pubblici, che non sostiene che la macchina è satura. E ancor meno affermiamo che essi sono i colpevoli e i responsabili della crisi delle finanze pubbliche. Al contrario, stiamo assumendo più professori, medici, infermieri. Non si tratta di un rigonfiamento nelle attività amministrative. Ora, con la municipalizzazione della sanità, questo processo si amplierà sempre di più.
L’educazione da zero a sei anni non esisteva quando Olivio ha iniziato e ora raggiunge quasi diecimila bambini nella rete gratuita. Questo è un asse portante. un orientamento che riflette un programma. Stiamo facendo in modo che il potere pubblico si metta al servizio degli sfruttati, degli oppressi, creando attraverso di esso una barriera alla spontaneità delle relazioni capitaliste dominate dal mercato, che accentuano questa esclusione. Questo va nella direzione di un altro Stato.

dal libro di Raul Pont – la democrazia partecipativa, che ho appena terminato di leggere

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