La legge Biagi ed il costo del lavoro….

Non serve alcun “coraggio” nel proporre tematiche banali quali quelle proposte da Antonio Borgesi – Coordinatore Nazionale di Italia dei Valori – con il suo “L’orario di lavoro non può essere un tabù” che, molto probabilmente confonde prezzi con valori , e dimostra di non conoscere la condizione umana dei ceti popolari quelli che – complici le tre concertazioni ( 1984, 1993 , 1998) – stanno pagando il disastro prodotto dalle “Tangentopoli” che si sono susseguite sotto i regimi DC , alleati e eredi.
Sennò saprebbe che, il costo del lavoro tedesco è superiore di circa il 40% e quello francese del 20%, riferito all’italiano e che, anche una eventuale aumento dalle 35 ore vigenti, risulterebbe gestibile a livello sociale. Saprebbe anche che, in Italia, la quota del Prodotto Interno Lordo ( PIL) riferita ai salari (e, in modo molto diverso, agli stipendi) si è ridotta di una decina di punti in 20 anni, con una perdita di ben 6 punti negli ultimi 10 anni (tanto per fare un esempio nella Gran Bretagna dalla Thatcher in poi la riduzione è stata di 3 punti in meno e, ancora oggi, la quota del lavoro dipendente è superiore di quella italiana di almeno 5 punti). Al di là del fatto che NON ci sono pensionati “baby” disoccupati in quanto, nelle stesse FS, dopo prepensionamenti di 7 anni per gli esuberi e incentivi agli esodi scandalosi, troviamo pensionati chiamati a svolgere mansioni “a chiamata” lautamente pagate per le 34 società della “galassia Necci-Cimoli” ; a parte questo, l’orario REALE in Italia supera mediamente di 7 ore quello contrattuale ! Propongo al nostro Borgesi di perdere un lavoro garantito , a cercarne un altro, e di colpo, si ritroverà a fare i conti con oltre 48 tipi diversi di contratti, con “orari flessibili” senza limiti e un anticipo da versare al nuovo caporalato alias agenzie interinali ( a Napoli, da subito, le hanno definite into-orinali !). Questo non grazie alla cosiddetta “legge Biagi” come, imbrogliando una vittima del terrorismo, hanno titolato la “legge Maroni” meglio conosciuta come la famigerata “legge 30” ! Nelle aziende, stesse lavoratrici/lavoratori lavorano a fianco; uno a part-time, l’altro interinale individuale o co.co.co. e, con la esternalizzazione di intere lavorazioni e reparti si trovano a fare le stesse cose con contratti diversi (metalmeccanici, telefonici, informatici, chimici, commercio, trasporti, ecc.) facendo si che si supera di gran lunga i 48 tipi classificati dall’ISTAT ., Da un simile quadro emerge che c’è chi, per competere con pseudo-continenti quali la Cina , l’India, ecc. sta “terzomondializzando” ciò che rimane delle condizioni di lavoro esistenti ai tempi “del pericolo rosso” ( ricordo la “guerra a bassa intesità” scatenata dal 1963 al 1980 la cui fine coincise con le stragi “non firmate” di Ustica e della stazione di Bologna a corollare un periodo, dal 1969 al 1980, caratterizzato da oltre 16.000 attentati costati 400 morti e 2.000 feriti ) liquidando ogni tutela normativa , di legge , aumentando orari , ritmi di lavoro, imponendo una totale precarietà e “flessibilità” nell’utilizzo della forza lavoro grazie anche alla evoluzione delle centrali sindacali in uffici esattoriali e “consulenti del lavoro “ altrui ( vale per tutti Mauro Moretti, ex- Segretario FILT-CGIL ferrovieri , oggi magnager della Rete Ferroviaria Italiana RFI ) . Perciò, secondo la mia ferma opinione, non si tratta tanto di seguire i tabù che il nostro Borgesi propone di rimuovere bensì contribuire alla crescita civile e democratica dei paesi non sviluppati, delle loro retribuzioni, della tutela nei posti di lavoro, della riduzione degli orari di lavoro ivi vigenti NON accelerare il declino delle conquiste nei Paesi Occidentali. Se, però, si vuole avviare un discorso se è equo che, dipendenti esposti ad attività “normali” debbano beneficiare delle riduzioni di orario di lavoro previsti per i lavoratori esposti a lavorazioni nocive, usuranti, turnificate, ecc. questo è un altro discorso che, però, mi pare esuli dalle premesse del nostro Coordinatore nazionale.

Silvio C.

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