Mestre, se un’opera riesce a peggiorare le cose

da “Repubblica” di oggi

Cinque ore per fare trenta chilometri, esplode la rabbia degli automobilisti: “Maledetti è peggio di prima”. Questo in sintesi il primo test del famoso passante di Mestre, un’opera folle che non ha tenuto conto dei più basilari concetti di viabilità moderna: quelli legati allo studio, complicatissimo, dei flussi di traffico.

In nessun angolo del mondo infatti ormai si costruiscono più strade senza i cosiddetti studi di ‘fattibilità stradale’, approfondite analisi statistiche su come una nuova opera andrà a modificare tutta la viabilità della zona. Si ricorre alla matematica quantistica, alle università di statistica, ci si tuffa in sostanza in un mondo dove due più due non fa più quattro, ma sette, otto, e chissà cos’altro. Così quando presi dalla rabbia gli automobilisti dicono “E’ peggio di prima”, non solo hanno ragione, ma senza saperlo divulgano una profonda verità scientifica: il passante di Mestre ha peggiorato la situazione.

Possibile? Possibile che si sia speso un miliardo di euro per fare danni? Purtroppo sì, perché questa superstrada è la principale responsabile della creazione di un gigantesco imbuto a Quarto d’Altino, quando le corsie passano da tre a due.

“Imbuto”, proprio il principale problema che tutti gli esperti di traffico americano cercano sempre di evitare. E per capire quanto sia lontana la nostra politica dei trasporti da quella – la più evoluta al mondo – degli Usa, basta leggere le dichiarazioni del governatore della regione Galan e del commissario per il Passante Silvano Vernizzi che invece di cercare di cancellare l’imbuto, cercano a loro insaputa – di fatto – di peggiorare ancora di più la situazione: “Non è il passante che non ha funzionato – spiega il commissario con il pieno appoggio politico del presidente della regione – la questione è la terza corsia da Quarto d’Altino a San Donà del Piave”.
L’idea è quella aumentare il tratto a tre corsie, ma così si sposterà solo l’imbuto, aumentando paradossalmente il traffico nel tratto a tre corsie perché una cosa è certa infatti: non si può trasformare tutta la viabilità a tre corsie visto che all’uscita dell’autostrada la viabilità torna a una corsia sulle statali.

La “buona politica del traffico” vorrebbe invece che si annullassero il più possibile le differenze di velocità fra le strade. In sostanza, così come si lavora per aumentare la velocità di percorrenza su alcuni tratti, così si deve lavorare per diminuire la velocità su altri percorsi. Il problema infatti non è costituito – come erroneamente pensano Galan e soci – da sezioni autostradali lente, ma dalla convivenza di arterie velocissime e ad alta capacità con altre strozzate. E’ per questo che negli Usa tutte le autostrade hanno il limite di 90 orari: fin dagli anni Settanta lì hanno capito che rendere simili le velocità di spostamento fra autostrade e strade statali era l’unico modo per evitare, o meglio, rendere meno pericolosi gli imbuti. Già perché gli imbuti non si possono eliminare del tutto, è ovvio, ma si possono rendere meno pericolosi abbassando la velocità di ingresso e aumentando quella di uscita. Proprio l’opposto di quello che fa il passante di Mestre.

Il punto ora è semplice: cosa fare? Prendere questa specie di mostro (sembra il rettilineo di Monza che finisce di colpo della curva delle piscine di Montecarlo) e farlo oggetto di approfonditi studi di viabilità per cercare di rendere più fluido il passaggio da tre a due corsie, magari con interventi che già 5 o 6 km prima dell’imbuto aiutino le auto a disporsi su due file.
Non solo: ieri mentre il passante di Mestre era paralizzato, paradossalmente la vecchia tangenziale di Mestre era deserta. E sui pannelli luminosi dell’autostrada invece di apparire annunci che spiegavano la situazione c’era scritte folli come “consultate il sito della società autostrade” o “Un incidente su due è dovuto alla distrazione”. Se ci scrivevano un insulto agli automobilisti di passaggio avrebbero fatto più bella figura…

Veneti, svegliatevi dal sonno della ragione !

La popolazione mondiale delle città ha superato di gran lunga quella delle campagne. Qualsiasi strategia economica, sociale, ambientale, energetica deve necessariamente passare dalla città. Cemento e asfalto continuano a divorare territorio, a volte legalmente a volte aggirando le leggi, altre volte ancora, le leggi si cambiano  per sanare. Non ci sarebbe nulla di male se si mantenesse un equilibrio. Così però non è, almeno a giudicare da quello che è  avvenuto negli ultimi anni. Da Nord a Sud la situazione è sempre la stessa: la città, anche se la popolazione non cresce o cresce di poco, si sviluppa mangiando terreni agricoli, che se producono agricoltura o sono semplicemente paesaggio valgono poco. Se invece si decide di costruirci sopra, valgono di più. E così  all’improvviso la vita  costa di più: case, affitti, cibo. Alla fine  della partita è la destinazione del territorio che determina il valore della comunità che ci sta sopra. Cosa succede per esempio quando si rompe il rapporto tra quanto guadagniamo in stipendio o pensioni e il valore della casa dove viviamo? Cioè quando il valore immobiliare supera quello della comunità? E il “bene comune” che fine ha fatto? Report è andata a vedere  anche come si comportano in Francia e in Germania.

La puntata di domenica di Report , dopo aver analizzato i casi (penosi) di Roma e Milano , dove aree che erano agricole hanno visto prima il sorgere di supermercati grazie al famigerato “accordo di programma” che eludeva ogni piano regolatore, e poi agglomerati di case in zone non servite (né ora né mai) dal servizio pubblico veloce, ovvero ferrovia / metropolitana. Si parla anche del Veneto, e non poco , perché proprio qui, grazie all’apertura del Passante (che di per sé è un’opera indispensabile e utile), sta per vedere una nuova colata di cemento , immensa, a ridosso della già urbanizzatissima Riviera del Brenta , con la “città della moda” e con “Veneto City”.

Ti verrebbe da chiederti, in un’economia in crisi e con intere zone industriali abbandonate, a cosa serva distruggere terreno per fare capannoni e cemento, con una crisi dei consumi che continua da un decennio, in una zona che sarà servita solo dai mezzi su gomma (il Passante in un caso e la Romea Commerciale, se e quando ci sarà , dall’altro). Già, perchè nel progetto di Veneto City, del quale leggo già da alcuni mesi, fiore all’occhiello degli industriali (ma va ?) , che pure si trova in zona Dolo, non c’è traccia di un minimo collegamento con i ben  4 binari della ferrovia Padova-Mestre. Già. perchè a lavorare e a a fare shopping si deve andare in macchina.

In Italia, si è sempre fatto così , ma non è così a Barcellona, in Germania e Francia, dove sono riusciti addirittura ad inventire una tendenza che da noi costringe abitanti di nuovi quartieri di Roma ad alzarsi alle 4 per prendere il bus alle 4.30 ed arrivare alle 8 del mattino a lavoro ad appena 20km di distanza. In Veneto ci sono comitati di cittadini che si battono contro questi veri e propri scempi che sicuramente produrranno PIL, perchè la rendita dei terreni aumenta, le società che costruiscono ci guadagnano, e ci guadagnano anche i proprietari dei terreni. Ma non sarebbe ora di affidare la Regione Veneto (che ha il potere di autorizzare o meno queste cose) a persone che più che al business (privato) guardino al miglioramento della qualità di vita dei propri cittadini ? Perchè quelli sono gli interessi pubblici per cui lo Stato esiste, e l’arricchimento privato dovrebbe essere una cosa lecita quando per primo l’utilizzo del territorio porta benefici a tutti. Nello spostarsi in modo veloce ed ecologico. Nella zona del Passante vicino a Noale, è previsto un nuovo mega insediamento produttivo, a servizio dei TIR che utilizzano quella arteria. E iniziare a fare degli insediamenti (o meglio a spostarli, dato che c’è una moria di aziende in Italia) vicino agli interporti ferroviari ? Quando si voterà per la Regione , nei prossimi anni, tutti dovremmo preoccuparci e chiederci chi sta facendo qualcosa contro la cementificazione selvaggia e fuori da ogni logica di miglioramento della vivibilità e della mobilità (cioè in zone non servite da treni / tram / metropolitane) e contro l’inquinamento (leggi termovalorizzatori). Solo così potremo renderci conto che c’è differenza tra un certo modo di intendere lo sviluppo (quello “più schei” , ma a chi ?) e un altro, quello dell’ambiente, della vivibilità, e di meno ore passate in quelle scatole di lamiera chiamate auto.

Vi invito a vedere questa interessantissima puntata di Report, via internet, sul sito della Rai.