Veneto, una lunga distesa di cemento

dalla rivista “Ecopolis” di questo mese

Che nel Veneto vi sia stata negli ultimi anni una forte crescita degli insediamenti sia residenziali sia produttivi è sotto gli occhi di tutti. Quello che però sfugge ancora ai più è l’effettiva dimensione del fenomeno e i possibili problemi che ne potranno derivare in futuro per la gestione del territorio e la riqualificazione dell’ambiente e del paesaggio.
A seconda del modello statistico impiegato (per questo risulta paradossale che una regione quale il Veneto non disponga ancora di un sistema informativo territoriale affidabile), si può stimare che dal 16 al 18% della pianura della regione sia edificata, con percentuali comprese dal 28 al 30% nei comuni urbani e di prima fascia e di circa il 18% nei comuni del centro Veneto. I dati per molti versi si commentano da soli.
Quindi al di là delle affermazioni di principio sulla necessità di avviare forme di sviluppo sostenibile contenute in vari documenti programmatici della Regione Veneto (dal Piano Regionale di Sviluppo, Piano di Sviluppo Rurale, documenti preliminari al nuovo PTRC) è del tutto evidente che la crescita insediativa nel Veneto è avvenuta con un ingente spreco di risorse territoriali.

Il boom edilizio recente
A fronte di una situazione territoriale quale quella descritta, ci sarebbe forse voluto un forte controllo sulla crescita urbana e una ferma volontà di porre rimedio agli errori del passato.
Le numerosissime affermazioni di principio dei nostri amministratori sulla necessità di conservare il territorio rurale ed il paesaggio e di ridurre la crescita dei capannoni potrebbe far supporre che vi sia stata una riduzione progressiva delle dinamiche edilizie.
Invece a partire dal 2001 si è verificato della nostra regione un boom edilizio che non ha eguali nel passato. Nel periodo 1978-1985 in media ogni anno sono stati edificati 10,9 milioni di mc di capannoni; tale valore aumenta a 18,3 milioni di mc per anno tra 1986 e 1993, mentre negli otto anni successivi sono stati superati i 20 milioni di mc per anno. A partire dal 2000 si ha un incremento mai visto prima: 24 milioni nel 2000, 27 milioni nel 2001, 38 milioni nel 2002 e altri 24 nel 2003! Nel solo 2002 le concessioni per capannoni sono state pari al 6,7% del periodo 1970-2004. Storicamente nella nostra regione non si era mai costruito così tanto! In un’economia che si sta progressivamente terziarizzando che significato possono assumere sul piano economico ingenti investimenti edilizi in capannoni artigianali e industriali?

Qualcosa di simile è accaduto anche per le abitazioni. Negli anni Ottanta e Novanta mediamente ogni anno venivano rilasciate concessioni edilizie pari a circa 9-10 milioni di mc per anno. Nel 2002 i mc sono stati 14,3 nel 2003 15,7 e nel 2004 17,7. Il volume di nuove abitazioni per cui è stata rilasciata la concessione edilizia dal 2001 al 2004 è pari a circa il 12% delle abitazioni esistenti nel 2001 nel Veneto. Sono in grado di dare alloggio a circa 600.000 nuovi abitanti con un incremento della popolazione di circa il 13% rispetto al 2000, dato di poco inferiore alla crescita della popolazione dal 1970 ad oggi! Considerando che la popolazione è aumentata ultimamente per effetto dell’immigrazione ad un tasso leggermente inferiore all’1% all’anno, ci vorranno circa 15 anni di immigrazione ai ritmi attuali per utilizzare tutte le case messe in cantiere.
La crescita insediativa si è sviluppata in prevalenza nei comuni dell’area del Veneto centrale. Infatti, tra le province del Veneto il primato in termini di metri cubi per chilometro quadrato spetta a Padova seguita da Treviso.
La nostra regione è al primo posto in Italia in termini di metri cubi per chilometro quadrato di concessioni edilizie rilasciate per i fabbricati non residenziali (7791 mc rispetto ai 4612 del nord Italia nel suo complesso) e al secondo posto per quanto riguarda le abitazioni (4204 mc di nuove case rispetto ai 2602 del nord Italia).

Le cause
Viene da chiedersi cosa abbia determinato una tale crescita del patrimonio edilizio regionale. Un ruolo importante è sicuramente stato svolto da alcuni provvedimenti assunti dal Governo Berlusconi. In primo luogo, va citata la legge18 ottobre 2001 n.383 (la cosiddetta Tremonti-Bis) che ha previsto la detassazione del reddito d’impresa e da lavoro autonomo quando sia reinvestito in azienda. Poi il cosiddetto “scudo fiscale” che ha favorito il rientro di capitali dall’estero “alla ricerca d’investimenti sicuri”. Contemporaneamente il governo centrale ha via via ridotto le disponibilità finanziarie dei comuni che, nel tentativo di aumentare le entrate, hanno ben volentieri acconsentito a rilasciare nuove concessioni edilizie anche in misura esageratamente superiore ai reali fabbisogni espressi dalle imprese industriali, artigiane e commerciali.

Aldilà dei fattori nazionali quali sono gli elementi peculiari della nostra regione che fanno si che nel Veneto la crescita dei fabbricati sia stata così alta?
a) la struttura insediativa è molto dispersa e favorisce la sovradotazione di cubature edilizie. Più ci si allontana dalle zone urbane, più basso è il costo delle aree edificabili e maggiori sono le dimensioni dei fabbricati, a parità di fabbisogni.
b) la pianificazione territoriale è ancora saldamente in mano alle amministrazioni comunali, mentre sono del tutto irrilevanti i controlli esercitati a livello d’area vasta. La Regione che in questo contesto non ha svolto la funzione di indirizzo e di controllo che avrebbe dovuto svolgere.
c) Da ultimo va richiamato il possibile “effetto annuncio” dovuto alla lunghissima discussione sulla riforma della legge urbanistica regionale, una legge che fin da principio si preannunciava come particolarmente restrittiva.

I possibili effetti
Quali potranno essere gli effetti del rafforzarsi di un sistema insediativo fortemente disperso nel territorio? Innanzitutto un crescente spreco di suolo dovuto al maggior consumo per nuovo abitante insediato che si riscontra al di fuori delle città. Parlare di sviluppo sostenibile in un contesto territoriale come quello che si è rafforzato negli ultimi pochi anni è oggettivamente mistificatorio.
Un secondo elemento strettamente connesso al precedente è l’aumento del traffico e dei fenomeni di congestione. Più si disperdono nel territorio la popolazione e le attività produttive, maggiore sarà la domanda di strade e la conseguente richiesta di infrastrutture viarie.
Terzo, la crescita urbana significa crescente impermeabilizzazione dei suoli che è tanto più pericolosa quanto maggiore è il consumo di suolo e quanto più disperso è l’assetto insediativo. Nel Veneto, rispetto ad altre regioni, a parità di abitanti e attivi, le superfici impermeabilizzate sono decisamente superiori.
Inoltre un fortissimo degrado della qualità paesaggistica del territorio che rende difficile l’avvio di forme di valorizzazione turistica e agrituristica.
Infine vi è un possibile effetto particolarmente preoccupante per il futuro delle nostre città. La notevole offerta di nuovi alloggi dovuta fortissima crescita insediativa registrata a partire dal 2001 potrebbe determinare un ulteriore aumento del divario esistente tra valori immobiliari nei centri storici e negli altri comuni limitrofi. Questo potrebbe favorire lo spopolamento dei centri storici. Ne potrebbe conseguire la formazione di zone degradate e marginalizzate nelle parti della città meno appetibili per il terziario avanzato, o, nella migliore delle ipotesi, un’ulteriore terziarizzazione dei centri storici.

Si possono porre in modo sensato tra gli obiettivi della pianificazione territoriale del Veneto come fa il PRS la ricomposizione del territorio, la razionalizzazione degli insediamenti produttivi, contenimento delle nuove aree e riuso di quelle esistenti, e il recupero delle funzioni commerciali e residenziali dei centri storici e delle aree urbane. Ma con quali strumenti si potranno raggiungere queste finalità?
Il problema non sono gli strumenti impiegati per governare il territorio, ma il modo in cui sistematicamente si è rinunciato ad operare ad una scala territoriale sufficientemente ampia da poter governare effettivamente le trasformazioni in atto. Fino a quando saranno i comuni i veri e unici attori della pianificazione territoriale nella nostra regione non vi sarà alcuna possibilità che ci si avvii verso forme di sviluppo sostenibile del territorio e di miglioramento della qualità complessiva dell’abitare e del vivere.

Tiziano Tempesta – Dip. Territorio e Sistemi Agroforestali
Sintesi a cura di A. N. R

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