Quello che firma “per presa d’atto”…

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Non trattiamo con la calcolatrice… Così, nei giorni scorsi, il grande capo della Cgil Guglielmo Epifani ha replicato a brutto muso alle pretese rigoriste di Tommaso Padoa-Schioppa sulla riforma delle pensioni. Il numero uno di corso d’Italia non è l’unico ad essere allergico ai moderni derivati del pallottoliere. Della stessa idiosincrasia fanno mostra i suoi pari grado di Cisl e Uil, Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti, almeno quando si tratta di affrontare l’annosa questione dei conti dei sindacati, che continuano a promettere bilanci consolidati, tranne poi guardarsi bene dal metterli nero su bianco. Forse perché i numeri racconterebbero come le organizzazioni dei lavoratori, difendendo con le unghie e con i denti una serie di privilegi più o meno antichi, si siano trasformate in autentiche macchine da soldi. Con il benestare di un sistema politico giunto ai minimi della popolarità e spaventato dalla loro capacità di mobilitazione. Che a sua volta dipende proprio, in grandissima parte, da un formidabile potere economico alimentato a spese della collettività: se c’è un problema di costi della politica, allora il discorso vale anche per il sindacato. Se non di più.

Quasi dieci anni fa, alla fine del 1998, un ingenuo deputato di Forza Italia, ex magistrato del lavoro, convinse 160 colleghi a firmare tutti insieme appassionatamente un provvedimento che obbligava i sindacati a fare chiarezza sui loro conti. Dev’essere che nessuno gli aveva ricordato come solo pochi anni prima, nel 1990, Cgil, Cisl e Uil fossero state capaci di ottenere dal parlamento una legge che concede loro addirittura la possibilità di licenziare i propri dipendenti senza rischiarne poi il reintegro, con buona pace dello Statuto dei lavoratori. Fatto sta che, puntuale, la controffensiva di Cgil, Cisl e Uil scattò dopo l’approvazione del primo articolo con soli quattro voti di scarto. “È antisindacale”, tuonò con involontario umorismo l’ex capo cislino Sergio D’Antoni, oggi vice ministro per lo Sviluppo economico. Lesti i deputati del centro-sinistra azzopparono la legge, mettendosi di traverso alle sanzioni (tra i 50 e i 100 milioni) previste in caso di violazioni. Alla fine la proposta di legge è rimasta tale, così come tutte quelle presentate in seguito, anche in questa legislatura. “È il sindacato che detta tempi e modalità”, titolava del resto nei giorni scorsi il confindustriale ‘Sole 24 Ore’, all’indomani dell’accordo sullo scalone pensionistico.

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