Per favore, non chiamiamole stanze del buco

da www.ristretti.it

Di recente ci sono state le prime dichiarazioni, da parte di membri del nuovo esecutivo, in materia di droga e carcere. Una, la più criticata, parla di aprire le "stanze del buco". Ovviamente è esplosa la polemica, e intanto le carceri si riempiono sempre di più e fuori, negli anfratti più luridi delle città, ci si droga, ci si ammala, si muore. A questo si arriva col piccolo spaccio, rubacchiando tutti i giorni, prostituendosi, tanto che cresce l’odio nei confronti dei consumatori perché rendono insicure le case e le strade. Non dimentichiamo mai che i tossicodipendenti sono una miniera di denaro quotidiano che finanzia le narcomafie: con la droga la mafia compra immobili, attività commerciali, imprese.Credo che occorra allora qualche soluzione coraggiosa, e mi domando perché, avendo a che fare con persone che hanno un problema di dipendenza e sapendo che non si può obbligare a "guarire" nessuno che non riesca a deciderlo spontaneamente, non si possa arrivare a fornirgli, in modo controllato, anche la sostanza: non è forse più immorale regalare queste persone ad un sistema che le renderà macchine per delinquere?

Ma il problema è anche culturale, e su questo la comunicazione sbagliata, relegando ai margini l’elemento umano, rischia di fare il gioco del proibizionismo. "Le stanze del buco", per esempio, è un’espressione schifosa. Un luogo sanitariamente controllato, dove si è assistiti, è invece un luogo per aiutare le persone, proprio perché va oltre l’immagine del "buco", che è malattia, sporcizia, siringhe usate mille volte. È più facile instaurare una relazione con chi continua ad iniettarsi droga in un posto costruito per persone che non stanno bene, piuttosto che nella situazione di oggi, quando la persona che usa stupefacenti, nascosta tra i cespugli di un parco pubblico, cerca di sciogliere l’eroina usando il fondo di una lattina, mentre è lì che impreca perché tra l’ago spuntato e le vene indurite non riesce a iniettarsela, e dopo vari tentativi si accorge che la vena si è rotta ed il braccio fa un male cane. Il percorso di liberazione è una scelta personale che ha bisogno di tempi lunghi, e l’azione d’aiuto, soprattutto per i casi più difficili, è efficace quando chi ne ha bisogno non si trova nella condizione di essere illegale, braccato dalle forze dell’ordine, e poi allontanato da ogni contesto relazionale che non sia quello di chi ha i suoi stessi problemi.

Mi si dirà che con le "stanze del buco" non c’è garanzia di cambiamento del tossicodipendente, ed è vero, ma c’è una questione di civiltà che non si può eludere con il moralismo che identifica il male con la sostanza e chi la usa. Oggi ci si accanisce contro persone, in balia della miseria, della criminalità, della galera, e intanto su di loro il disprezzo sociale aumenta di giorno in giorno.

Stefano Bentivogli

 

 

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