Studio della Regione: dove ci sono raffinerie ci si ammala di più
si muore sempre di più dal nostro inviato ATTILIO BOLZONI
L’impianto industriale del Petrolchimico di Gela
GELA – Dove volevano morire di cancro piuttosto che morire di fame i veleni hanno portato altri orrori. Ed è lì, solo lì tra le ciminiere che sputano fiamme che l’aria è un morbo. E’ in quella Sicilia che un tempo sognava per i suoi giacimenti e per le sue trivelle che nascono bambini malformati, tanti. Più che a Porto Marghera. Più che a Taranto. Più che nell’inferno di Priolo e di Melilli. “Per le ipospadie un dato così alto non si era mai ufficialmente registrato in realtà industriali del mondo intero”, rivela la relazione che un’équipe di periti ha appena consegnato alla magistratura di Gela. Sono numeri da paura.
Un’indagine scopre che su 13 mila nati tra il 1992 e il 2002 quasi 700 presentano malformazioni cardiovascolari, agli arti, all’apparato digerente, ai genitali esterni soprattutto. Queste ultime risultano superiori alla media nazionale più del 250 per cento. “In letteratura non è riportato nulla di simile, certi valori per le ipospadie si erano sfiorati fino ad ora solo nell’area di Augusta”, spiega Fabrizio Bianchi, primo ricercatore del Cnr, coordinatore italiano delle rete europea sulle malformazioni congenite e anche uno degli esperti che sta “analizzando” i danni provocati dai camini che buttano fumi mortali dentro e intorno alla quinta città siciliana per abitanti, 100 mila, una striscia di terra dove in certi giorni il mare davanti è color dell’inchiostro. Ma paura fanno anche quegli altri risultati venuti fuori da uno studio del Ministero della Salute e dall’Osservatorio epidemiologico della Regione sui “siti industriali” dell’isola, il “triangolo” a nord di Siracusa, Milazzo, Biancavilla. Dove ci sono raffinerie ci si ammala sempre di più, si muore sempre più facilmente, l’incidenza dei tumori è del 50 per cento in più che nel resto della Sicilia.
E’ Gela il caso più spaventoso. Ed è a Gela che un’inchiesta giudiziaria proverà a stabilire il nesso di causalità tra veleni chimici e malformazioni.
Sono già state esaminate 50 mila cartelle cliniche, un’esplorazione a vasto raggio sui bimbi nati male e un’altra sulle morti sospette tra i 7 mila dipendenti transitati nei reparti degli stabilimenti dell’Anic e dell’Agip fin dal 1959, l’anno di apertura del Petrolchimico, l’anno del signore in cui Gela e quella Sicilia ammaliata da Enrico Mattei inseguirono il miraggio dell’oro nero.
La ricerca sugli effetti tossici è stata ordinata dal sostituto procuratore Alessandro Sutera Sardo, lo stesso che nel 2002 fece chiudere quattordici serbatoi e due depositi di carbone della raffineria. L’inchiesta procede sulla base dei numeri che fornisce un pool di esperti: Fabrizio Bianchi Cnr, Sebastiano Bianca, genetista, Pietro Comba, Iss, Annibale Bigeri, statistico. Sono loro che hanno raccolto ed elaborato i primi dati. “Ci sono picchi che lasciano sgomenti”, racconta il sostituto procuratore Alessandro Sardo Sutera. La percentuale di bimbi malformati a Gela è di 40 su mille. Di quei 40 casi, 5 sono ipospadie. Ma tante sono anche le malformazioni cardiovascolari.
Ecco un passo della relazione degli esperti trasmessa alla procura: “L’eccesso di rischio osservato a Gela per i difetti dei setti cardiaci e dei grandi vasi è consistente. In particolare eccessi positivi sono stati riportati in associazione con contaminazione di metalli pesanti e/o solventi organoclorurati presenti nelle acque ad uso civico, piombo in aree contaminate, solventi organici in ambiente lavorativo o residenziale, composti fenolici, per l’esposizione materna e paterna a pesticidi e per la residenza vicina a discariche di rifiuti”. Le sostanze che appestano sono tante altre. Idrocarburi aromatici. Diossine. Mercurio. Arsenico.
I quasi 700 bambini con handicap sono stati tutti individuati, rintracciati e visitati. “E cinque di loro sono stati salvati per miracolo, operati d’urgenza negli ospedali di Catania”, ricorda il magistrato di Gela. La sua inchiesta scava sulle malformazioni ma punta anche a verificare un collegamento “tra la presenza del petrolchimico e i tumori”. Una prima analisi ha accertato quanti morti di cancro ci sono stati negli ultimi 40 anni tra i dipendenti: 641. Una seconda analisi ha selezionato 195 casi, quelli di “elevata probabilità di ricondurre la morte all’esposizione” dei veleni dello stabilimento. Gli esperti stanno lavorando su questi 195 decessi. Per tumore al polmone se ne sono andati in 60, 35 quelli morti per un male all’apparato respiratorio e 34 per leucemia. Tutti gli altri per mesoteliomi, nefropatie, morbo di Parkinson. A Gela è stato riscontrato un tasso di mortalità superiore alla media italiana del 57% in più per i tumori allo stomaco per i maschi e del 74% in più al colon retto per le femmine, più del 13% gli uomini e più del 25% le donne gelesi decedute per malattie cardiovascolari, 20% in più le cirrosi diagnosticate a maschi e femmine. “Fino a questo momento abbiamo individuato 25 casi sicuri di persone colpite da tumore che lavoravano là dentro”, dice Sutera Sardo, dipendenti del petrolchimico morti di petrolchimico.
Per le esalazioni di acido solforico e per l’amianto, per l’ammoniaca respirata, per il benzene e per il benzolo, per il mercurio. L’inchiesta giudiziaria sull’impianto di Gela sarà probabilmente chiusa alla fine dell’anno. Ma già i primi numeri raccontano quanto è costato il sogno industriale siciliano.
(14 luglio 2005)