LA STORIA E I GIOVANI
di ALCIDE PAOLINI
N on so come vedano il 25 aprile i giovani d’oggi. Non so nemmeno se sappiano cosa ricorda e cosa rappresenta per la storia d’Italia, soprattutto quest’anno che la ricorrenza capita di domenica. Né so se, nelle scuole, con lo studio della storia si arrivi a quella data. E neppure se, in caso positivo, se ne parli e se ne spieghi l’importanza, e se sia vista ancora da destra o da sinistra. Eppure, a distanza di quasi sessant’anni dovrebbe essere ormai diventata come una delle celebrazioni nazionali, al pari del Primo Maggio, o del 2 giugno. O no?
Apensarci bene, quando ero giovane io, a meno di non avere un insegnante appassionato, le ricorrenze storiche del secondo Ottocento ci apparivano così remote che non riuscivamo nemmeno a
renderci conto che, dopotutto, discendevamo anche da quegli eventi. Porta Pia, la Triplice alleanza, la disfatta di Dogali, l’uccisione di Umberto I, tanto per dire, erano unicamente noiose date da mandare a memoria o poco più. Ciò nonostante sono dell’opinione che il 25 aprile dovrebbe essere una ricorrenza diversa, qualcosa di importante anche per chi è giovane oggi. Perché, comunque la si pensi, essa rappresenta ormai la Liberazione dell’Italia dal nazifascismo: uno dei periodi più neri della nostra storia.
E’ vero che, purtroppo, la Liberazione non va ascritta del tutto a nostro merito; però, almeno per una parte, sia pure piccola, sì. Piccola in fatto di cifre, di uomini che vi hanno partecipato, di tramiti istituzionali; e comunque ancora vivissima nella memori a di chi vi ha aderito e di chi l’ha appoggiata, anche solo moralmente. E accolta a suo tempo con vero entusiasmo dalla maggior parte degli italiani, anche da quelli che t in lì, magari, si erano tenuti nel vago: sia perché significava la fine di una guerra che aveva coinvolto l’intera popolazione della Penisola con la sua dolorosa e brutale violenza; sia perché per il Paese ha finito per rappresentare una lenta ma profonda presa di coscienza del baratro in cui si era lasciato cacciare dalla dittatura.
Oggi, invece, obnubilati da un revisionismo che cerca la sua legittimazione in una sorta di chiamata generale di correità, da parte di coloro che sono rimasti attaccati al versante sbagliato, si assiste a
una masochistica corsa alla ricerca del male che è stato fatto in quel periodo da chi ha partecipato a quella liberazione, dimenticando che cosa erano stati più di vent’anni di fascismo, e quanto odio e risentimento e desiderio di rivincita avevano suscitato.
Si obietta che anche i giovani che si sono sacrificati per la Repubblica di Salò meriterebbero rispetto. Certamente, ci mancherebbe altro. Ma oggi, se siamo qui, se siamo in una democrazia dove, pur con qualche impasse, la libertà ci consente di dire ciò che pensiamo, e, se occorre, anche di opporci liberamente a ciò che non condividiamo, lo dobbiamo, in primis alle democrazie occidentali che hanno combattuto il nazifascismo, ma in una certa misura, anche a quegli italiani che si sono ribellati alla dittatura, schierandosi dalla parte della libertà, salvando in tal modo anche la nostra faccia nazionale. Insomma, per chiarirci le cose, il 25 aprile che cosa dovremmo festeggiare: la liberazione dalle dittature, alla quale hanno partecipato anche gli italiani, in armi o politicamente; o, insieme, come si è proposto, anche coloro che stavano dalla parte opposta, in nome di una pacificazione generale? Personalmente sono convinto che il 25 aprile sia e debba rimanere prima di tutto la festa della liberazione dal nazifascismo, e come tale vada celebrato. E ai giovani che non sanno, è giusto, è necessario, è obbligatorio spiegare che sì, allora, quando la guerra è iniziata, la maggioranza degli italiani stava dalla parte sbagliata o nascosta nell’ombra (anche per paura, come accade nelle dittature); ma alla fine di quella interminabile sequenza di sofferenze di sacrifici e di sangue, si è risvegliata, e (chi prima, chi dopo), ha preso coscienza del tragico errore in
cui era caduta, salvandosi in tempo per poter guardare in faccia, senza umiliarsi, chi stava già dalla parte giusta.
Si parla anche, a proposito di questa celebrazione, di trasformarla in un appuntamento per la pace. Non ne vedo il motivo. È vero che il 25 aprile lo si fa ormai coincidere con la fine della guerra, di tutte le guerre, ma non vorrei che finisse per farci dimenticare che la guerra partigiana è stata prima di tutto una rivolta contro la dittatura, contro tutte le dittature. Consapevolezza che forse non era presente in modo così chiaro in tutti coloro che vi hanno partecipato in quel particolare momento, ma che ha costituito in seguito un motivo di riflessione profondo sul significato della libertà e della democrazia; e un vaccino, che ci auguriamo duraturo, nei confronti di qualsiasi ideologia che le metta in discussione.
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