“Mamma mi disse: fammi morire”

La donna accusata per l’eutanasia della madre malata
racconta il lungo calvario: un giorno crollò l’ultima illusione
Il memoriale choc di Paola

"Non aveva neppure più la forza di leggere"
dal nostro inviato MARCO MENSURATI

 

MONZA – "Quel giorno mia madre mi chiamò e mi disse: "Paola, voglio morire, uccidimi"". Questa è la storia di una donna di 54 anni, di sua figlia di 22 e di un segreto terribile, un patto di morte custodito per mesi. Confidato solamente dopo, a cose fatte, al resto della famiglia, l’ex marito e l’altra figlia.

In un giorno qualunque dell’inverno del 2001, Paola e sua madre scoprono dai medici che contro la sclerosi laterale amiotrofica non funziona neanche la cura con le cellule staminali. Quel giorno crolla l’ultima illusione, la disperazione travolge tutto e la morte diventa l’unica via di uscita. "Quella notizia – dice Paola – annullò definitivamente ogni prospettiva". Fino ad allora, la lotta di Paola un senso ce l’aveva avuto. E’ lei stessa a spiegarlo nel memoriale che ieri mattina il suo avvocato, Luca Ricci ha consegnato al giudice che la sta processando per agevolazione al suicidio.

"Cercavo di fare tutto quanto possibile, trascorrevo con lei ore e ore, non le imponevo mai niente, ma cercavo spesso di convincerla a curarsi e a coinvolgerla nella mia vita. Le raccontavo per ore tutto quello che mi succedeva, del mio lavoro, conosceva ormai ogni minimo dettaglio della mia vita. Addirittura mi capitava spesso di immaginare il racconto che avrei fatto a mia madre e le sue reazioni nello stesso momento in cui vivevo le situazioni che mi si presentavano". Una simbiosi totale che ha buoni effetti sull’umore di quella donna che, in fondo all’animo, un minimo di speranza continua ad averla.

Fino a quel giorno d’inverno, però: perché da quel momento in poi, dal crollo di quella illusione, non c’è null’altro se non la speranza di una morte il più vicina possibile. La donna non può più muoversi, non può più parlare, è immobilizzata nel letto e ora non può più nemmeno sperare: "Anche dormire era per lei ormai impossibile". Né può continuare a dedicarsi alla sua più grande passione, la lettura: "Non perché avesse difficoltà di comprensione ma perché non riusciva più a sorreggere il libro e voltare le pagine".

Gli effetti della sclerosi laterale amiotrofica – a differenza delle cause e della cura – sono ben noti in letteratura, come qualcuno si è premurato di spiegare a Paola: "E’ una malattia che colpisce le cellule nervose che trasmettono i comandi per il movimento dal cervello ai muscoli. Le mani sono spesso colpite per prime, ma con il passare del tempo sempre più muscoli vengono paralizzati finché la malattia assume una distribuzione simmetrica. Il malato assiste lucidamente alla perdita progressiva delle proprie capacità motorie: nella fase avanzata della malattia è incapace di muovere qualunque muscolo ad eccezione degli occhi. La morte di solito avviene per soffocamento".

La speranza media di vita è di due anni. Praticamente tutti i malati di sclerosi, arrivati a metà del periodo, pensano di farla finita. Così capita anche alla mamma di Paola. "Prima – spiega la ragazza ai carabinieri del Nas durante gli interrogatori – ha rifiutato le cure, poi mi ha confidato che voleva morire. Alla fine è arrivata al punto di chiedermi che fossi io a toglierle la vita". Anche perché intorno le si era creato il vuoto. "Questo – spiega l’avvocato della ragazza, Luca Ricci – è un dramma in cui la solitudine ha giocato un ruolo decisivo". "Mia mamma iniziò ad essere sempre più giù di morale perché si sentiva abbandonata dalle persone vicine, anche le amiche diradarono le visite. Così iniziò a rifiutarsi di uscire e di parlare. Se non con me".

Un giorno Paola decide di piegarsi o finge di piegarsi alla volontà della mamma, va su Internet e comincia la ricerca. "Ricordo bene la sera in cui per la prima volta feci una ricerca sull’argomento, piangendo digitai la parola "eutanasia" su un motore internazionale. Da quel giorno mia madre cambiò atteggiamento. Uscì dallo stato di disperazione e accettò di venire in vacanza con me e la badante. Mi disse che era contenta di essere riuscita ad avere informazioni che avrebbe fatto belle vacanze fino a settembre ma che per ottobre voleva ricorrere al suicidio assistito". A ottobre Paola prova a temporeggiare ma ormai la decisione è presa. "Nessuno era a conoscenza della scelta di mia madre, eccetto me. Continuamente divisa tra la mia angoscia e la volontà di stare vicino a mia madre in tutto e per tutto, ho vissuto in quel periodo momenti terribili". Momenti che diventano sempre più frequenti mano a mano che si avvicina l’ultimo giorno, quello cioè in cui la clinica Dignitas dalla Svizzera chiama e fissa il giorno. La signora morirà il 26 giugno.

"La mattina della sua partenza per la clinica andai in ufficio come se niente fosse e cercai di lavorare senza fare trasparire nulla. Quando tornai a casa la badante mi raccontò che mia madre le aveva detto che partiva per tre giorni di vacanza".

Ma la cosa più difficile, ancora più difficile del processo e del giudizio che le piomberà addosso a dicembre, è dire tutto, raccontare nei dettagli come sono andate le cose a suo padre che da tempo non vede più la mamma e a sua sorella il cui mondo ordinato e pieno di certezze si scontra da sempre contro il suo più irrequieto e aperto ai cambiamenti. "Quel giorno – racconta il papà – Paola mi ha chiamato. Piangeva: "Vieni qui subito, perché la mamma…" e non ha concluso la frase. Sono andato da lei, e mi ha detto tutto". Quelle parole, forse, non sarebbero bastate a capire. Ma prima di farsi portare in Svizzera per l’ultimo viaggio la mamma detta un messaggio alla figlia: "Io nelle mie piene facoltà mentali decido di recarmi in Svizzera per riflettere e poi deciderò di porre fine a questa mia sofferenza. Vi voglio tanto bene".

(2 ottobre 2003)

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