Watergate All italiana

dal libro “Veneto anno zero” di Renzo Mazzaro

In molti episodi l’inchiesta Mose regge il confronto con lo scandalo americano del Watergate. Anche da noi si comincia con i servizi segreti che tentano l’effrazione notturna in un palazzo per far sparire prove decisive ed evitare che parta l’ondata di arresti del 28 febbraio 2013, quella che ha aperto le cataratte.

Con i retroscena delle indagini si potrebbe girare il film del Watergate italiano. Qualcuno ci ha già pensato13: farà poca fatica perché la sceneggiatura è già fatta. È un Paese capovolto, in cui le guardie fanno anche la parte dei ladri. Non sempre, per fortuna, ma quanto basta da costringere gli inquirenti a darsi alla macchia per evitare le incursioni degli indagati. I magistrati veneziani che concordano una rogatoria per San Marino vanno a discutere i particolari con i colleghi su un motoscafo della Guardia di Finanza, a zonzo in laguna: non c’è altro modo per sfuggire alla pressione. La procura di Venezia è messa sotto assedio, mezzo mondo tenta di carpire informazioni. Negli uffici di piazzale Roma si fanno vedere persone che vi lavoravano anni prima, a salutare gli ex colleghi e, con una scusa o con l’altra, a fare domande sulle indagini. È una strana processione che induce a inasprire le misure di identificazione agli ingressi e a installare telecamere di controllo sugli armadi.

A dare una mano arrivano anche i servizi segreti. Gente dell’Aisi, l’Agenzia informazioni sicurezza interna, che ha il quartier generale per il Triveneto a Padova. Dal 2007 lo dirige il colonnello Paolo Splendore, un ufficiale che viene dall’arma dei carabinieri. I suoi uomini si fanno ricevere in procura, spiegano che sono in possesso di informazioni riservate sulla Mantovani, la più grossa impresa del Consorzio, allora sotto verifica fiscale. Ma prima di passare le informazioni ai magistrati vogliono sapere a che punto è l’indagine, per valutarne la serietà. «Li abbiamo messi alla porta senza complimenti», racconta il pm Stefano Ancilotto, il mastino del pool. «Forse credevano di avere a che fare con degli imbecilli. Questo fatto è accaduto alla fine del 2012 e ci lasciò molto perplessi».

Si saprà solo nel 2014 che la Mantovani aveva assunto la figlia del colonnello Splendore, per le insistenze – racconta Baita – di uno dei dirigenti dell’azienda, Paolo Dalla Via. Dopo il 4 giugno gli uffici dell’Aisi vengono perquisiti e Splendore trasferito a Roma, a disposizione e senza incarichi.

Il materiale probatorio più delicato in mano ai pm veneziani, non rimane di notte negli uffici. Ancilotto si porta dietro tutto, in borsa o nel pc, dovunque vada. A casa lo separa, nascondendo carte e chiavette tra i giocattoli della bambina. «Come si fa con una pistola», dice. «La smonti e nascondi fl caricatore da una parte e la canna da un’altra, così la rendi inservibile se te la trovano in caso di furto, sempre possibile. Anche se da me non c’è niente da rubare. Qualche cravatta, forse».

Gli inquirenti del Gruppo d’investigazione sulla criminalità organizzata (Gico) di Mestre hanno il fiato sul collo dei vertici romani. Li tallona un generale di corpo d’armata, Emilio Spaziarne, comandante interregionale della Finanza dell’Italia centrale e poi comandante In seconda del Corpo. Da Mestre cercano di tenerlo buono raccontando che l’inchiesta è in alto mare: «Le operazioni a rilento, generale, ci sono troppi riscontri da fare e troppo complessi. Chissà se finiremo mai».

In realtà viaggiano come schegge, sotto quota periscopica. Con modalità da spy-story.

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