I furti di denaro pubblico in Veneto . Non solo Mose.

Mevorach ribalta la frittata: «Mai dato soldi a Claudia Minutillo, mai detto a Galan di averlo fatto. Al contrario è che mi ha chiesto in più occasioni di corrispondergli somme di denaro. Io non ho mai aderito e in ragione di ciò mi ha più volte apostrofato in modo poco simpatico». Mevorach è di famiglia ebrea, si può intuire il tipo di apostrofo.
«Volevo sviluppare un mio progetto con l’appoggio del la Regione», continua l’imprenditore a verbale. «Galan mi disse che avrei dovuto “mettermi d’accordo” con l’assessore Renato Chisso. Gli chiesi cosa intendesse con quella frase. Mi rispose: “Non fare il furbo, sai bene di cosa parlo, la politica va aiutata”. Ma non era il mio modo di fare l’imprenditore e lo mandai a quel paese».
La difesa di Galan sollecita il confronto con una persona che casualmente aveva assistito al colloquio tra Mevorach e l’ex presidente del Veneto. È una manager, si chiama Erika Bertin, lavora negli Stati Uniti e darebbe ragione a Galan. La procura la fa rientrare in Italia e il risultato è catastrofico per Giancarlo: la Bertin lo sconfessa totalmente.
Arriva un altro imprenditore ad aggravare il conto. È Pierluigi Alessandri, ex presidente della Sacaim, un’azienda veneziana sotto verifica della Guardia di Finanza. La Sacaim era fuori dal giro dei grandi lavori pubblici regionali. Per rimontare la corrente, tra il 2006 e il 2007 Alessandri versa a Galan 115.000 euro in diverse tranches. Una parte gliela va a portare direttamente nella villa di Cinto Euganeo. Un’altra è Galan che va a prendersela, a casa della figlia di Alessandri, a Monticelli di Monselice, in una busta chiusa che la donna gli consegna senza sapere cosa ci sia dentro. Nonostante i pagamenti, per la Sacaim non cambia niente. Allora Galan mette in contatto Alessandri con Renato Chisso, titolare delle infrastrutture, con il quale «era necessario accreditarsi». Nel febbraio 2010, all’hotel Laguna Palace di Mestre, Alessandri consegna all’assessore 30.000 euro: «Chisso prese il denaro come fosse una cosa dovuta, senza minimamente stupirsi». Ma alla Sacaim arrivano solo le briciole dei grandi appalti.

(dal libro “Veneto anno zero” di Renzo Mazzaro sulle tangenti per Mose e molto molto altro.)

Forza Italia, il partito del cemento. Moratti:” costruiremo per le fasce più deboli”. Chiaro, in centro a Milano….

http://milano.repubblica.it/dettaglio/Blitz-in-consiglio-comunale-piu-cemento-sulle-aree-verdi/1557053

Blitz in consiglio comunale
più cemento sulle aree verdi

In consiglio comunale è passato un emendamento di Forza Italia che fa salire a 1 metro quadrato l’indice di edificabilità su una parte delle cosiddette “aree standard a vincolo decaduto”, un tempo destinate a verde o servizi, che nessuno ha mai realizzato
di Alessia Gallione

È un altro tassello nel piano di densificazione della giunta Moratti. Un altro passo verso la città che nei prossimi vent’anni dovrà avere 700mila abitanti in più. Da ottenere anche sbloccando le aree destinate in passato a verde o a servizi mai realizzati: circa 9 milioni di metri quadrati ancora liberi da anni. Una possibilità già prevista nella delibera di urbanistica di Palazzo Marino, ma che ora vede aumentare ancora di più l’indice di edificabilità su una fetta di 2 milioni di metri quadrati: il documento fissava la quota massima a 0,30 metri quadrati di costruito per metro quadrato di terreno. Con un emendamento presentato da Forza Italia si arriverà fino a 1 metro quadrato, obbligando però a riservare il 50 per cento a edilizia convenzionata agevolata. Il tutto mentre Renzo Piano, in una lettera indirizzata a Marco Vitale e pubblicata sul Riformista, boccia come “criminale” la “strategia urbanistica” a Milano.

GUARDA La lettera di Renzo Piano

Per la maggioranza: «È un’opportunità per riqualificare pezzi di città abbandonati pensando alle fasce più deboli». E anche per l’a ssessore all’Urbanistica, Carlo Masseroli, non ci saranno speculazioni: «Non si alza il valore dell’area perché tutta la plusvalenza andrà in opere pubbliche». Ma il centrosinistra attacca: «Solo cementificazione». È stata una battaglia nella notte quella sull’urbanistica. A Palazzo Marino, la discussione iniziata mercoledì pomeriggio è proseguita fino alle 5.30: rimangono una trentina di emendamenti rimandati a martedì. Alle 3.30 è comparsa una richiesta di modifica che riguarda le cosiddette “aree standard a vincolo decaduto”. Sono porzioni di territorio che il Piano regolatore del 1980 ha vincolato a funzioni pubbliche per realizzare giardini, scuole, parcheggi, edifici pubblici. Nessuno, però, le ha mai utilizzate. «Zone condannate al degrado, terra di nessuno», le definisce Masseroli, che nella delibera ha previsto la possibilità di costruire. A un patto: che si utilizzino con un indice dello 0,30 e che il 35 per cento sia riservato all’edilizia convenzionata agevolata, anche in locazione.

«Il nostro obiettivo è indurre un mercato dell’affitto e vendere case a 2mila euro al metro quadrato», sostiene l’assessore. L’e mendamento prende in considerazione una parte di queste aree, quelle inferiori a 10mila metri quadrati, «già dotate di infrastrutture e delle necessarie opere di urbanizzazione secondaria» e alza l’indice a 1 metro quadrato. «È un modo per riqualificare e dare una destinazione a piccoli pezzi di città che rimarrebbero inutilizzati pensando alle fasce più deboli, dice il consigliere azzurro Fabio Altitonante, che l’ha presentato. Il centrosinistra accusa. «La maggior parte di queste aree sono in zone semicentrali in cui trovare spazio per un giardino o una scuola è difficilissimo. Il gruppo di Forza Italia ha superato l’a ssessore nel desiderio di cementificare», dice il consigliere pd David Gentili. E il capogruppo Pierfrancesco Majorino: «Potrebbero essere realizzati per la collettività e invece rischiano di essere utilizzati a fini speculativi».

Basilio Rizzo (Lista Fo) rincara: «Abbiamo concesso ai costruttori di riempire ancora di più la città: starò molto attento ai passaggi di proprietà che avverranno». In aula è passato anche un emendamento del Pd che destina in generale — ma dopo le modifiche della maggioranza solo su aree superiori a 10mila metri quadrati — una parte degli indici innalzati a 1 metro quadrato ad housing sociale in affitto o edilizia convenzionata. C’è un altro capitolo legato agli immobili: il piano di dismissioni che, nei prossimi tre anni, riguarderà 134 proprietà comunali. L’obiettivo è incassare 1,87 miliardi, anche rinunciando a gioielli come la sede dell’a nagrafe di via Larga, quella dei vigili di piazza Beccaria o case del centro. «Non sarà una svendita, ma una vera valorizzazione — assicura l’assessore alla Casa, Gianni Verga — con una pluralità di azioni che non riguarderà solo la vendita, ma anche l’affitto».

Per svuotare gli uffici, Palazzo Marino ha bisogno di trovare altri 100-150mila metri quadrati e sta lavorando anche a un piano per trasferire i dipendenti nei due grattacieli ex Fs a Garibaldi.

Che furbetto quel Brunetta…

dall’ultimo numero dell’Espresso

di Emiliano Fittipaldi e Marco Lillo

La trasferta a Teramo per diventare professore. La casa con sconto dall’ente. Il rudere che si muta in villa. Le assenze in Europa e al Comune. Ecco la vera storia del ministro anti-fannulloni

La prima immagine di Renato Brunetta impressa nella memoria di un suo collega è quella di un giovane docente inginocchiato tra i cespugli del giardino dell’università a fare razzia di lumache. Lì per lì i professori non ci fecero caso, ma quella sera, invitati a cena a casa sua, quando Brunetta servì la zuppa, saltarono sulla sedia riconoscendo i molluschi a bagnomaria. Che serata. La vera sorpresa doveva ancora arrivare. Sul più bello lo chef si alzò in piedi e, senza un minimo di ironia, annunciò solennemente: “Entro dieci anni vinco il Nobel. Male che vada, sarò ministro”. Eravamo a metà dei ruggenti anni ’80, Brunetta era solo un professore associato e un consulente del ministro Gianni De Michelis.

Ci ha messo 13 anni in più, ma alla fine l’ex venditore ambulante di gondolette di plastica è stato di parola. In soli sette mesi di governo è diventato la star più splendente dell’esecutivo Berlusconi. La guerra ai fannulloni conquista da mesi i titoli dei telegiornali. I sondaggi lo incoronano – parole sue – ‘Lorella Cuccarini’ del governo, il più amato dagli italiani. Brunetta nella caccia alle streghe contro i dipendenti pubblici non conosce pietà. Ha ristretto il regime dei permessi per i parenti dei disabili, sogna i tornelli per controllare i magistrati nullafacenti e ha falciato i contratti a termine. Dagli altri pretende rigore, meritocrazia e stakanovismo, odia i furbi e gli sprechi di denaro pubblico, ma il suo curriculum non sempre brilla per coerenza. A ‘L’espresso’ risulta che i dati sulle presenze e le sue attività al Parlamento europeo non ne fanno un deputato modello. Anche la carriera accademica non è certo all’altezza di un Nobel. Ma c’è un settore nel quale l’ex consigliere di Bettino Craxi e Giuliano Amato ha dimostrato di essere davvero un guru dell’economia: la ricerca di immobili a basso costo, dove ha messo a segno affari impossibili per i comuni mortali.

Chi l’ha visto Appena venticinquenne, Brunetta entra nel dorato mondo dei consulenti (di cui oggi critica l’abuso). Viene nominato dall’allora ministro Gianni De Michelis coordinatore della commissione sul lavoro e stende un piano di riforma basato sulla flessibilità che gli costa l’odio delle Brigate rosse e lo costringe a una vita sotto scorta. Poi diventa consigliere del Cnel, in area socialista. Nel 1993, durante Mani Pulite firma la proposta di rinnovamento del Psi di Gino Giugni. Nel 1995 entra nella squadra che scrive il programma di Forza Italia e nel 1999 entra nel Parlamento europeo.

Proprio a Strasburgo, se avessero applicato la ‘legge dei tornelli’ invocata dal ministro, il professore non avrebbe fatto certo una bella figura. Secondo i calcoli fatti da ‘L’espresso’, in dieci anni è andato in seduta plenaria poco più di una volta su due. Per la precisione la frequenza tocca il 57,9 per cento. Con questi standard un impiegato (che non guadagna 12 mila euro al mese) potrebbe restare a casa 150 giorni l’anno. Ferie escluse. Lo stesso ministro ha ammesso in due lettere le sue performance: nella legislatura 1999-2004 ha varcato i cancelli solo 166 volte, pari al 53,7 per cento delle sedute totali. “Quasi nessun parlamentare va sotto il 50, perché in tal caso l’indennità per le spese generali viene dimezzata”, spiegano i funzionari di Strasburgo. Nello stesso periodo il collega Giacomo Santini, Pdl, sfiorava il 98 per cento delle presenze, il leghista Mario Borghezio viaggiava sopra l’80 per cento. Il trend di Brunetta migliora nella seconda legislatura, quando prima di lasciare l’incarico per fare il ministro firma l’elenco (parole sue) 148 volte su 221. Molto meno comunque di altri colleghi di Forza Italia: nello stesso periodo Gabriele Albertini è presente 171 volte, Alfredo Antoniozzi e Francesco Musotto 164, Tajani, in veste di capogruppo, 203.

La produttività degli europarlamentari si misura dalle attività. In aula e in commissione. Anche in questo caso Brunetta non sembra primeggiare: in dieci anni ha compilato solo due relazioni, i cosiddetti rapporti di indirizzo, uno dei termometri principali per valutare l’efficienza degli eletti a Strasburgo. L’ultima è del 2000: nei successivi otto anni il carnet del ministro è desolatamente vuoto, fatta eccezione per le interrogazioni scritte, che sono – a detta di tutti – prassi assai poco impegnativa. Lui ne ha fatte 78. Un confronto? Il deputato Gianni Pittella, Pd, ne ha presentate 126. Non solo. Su 530 sedute totali, Brunetta si è alzato dalla sedia per illustrare interrogazioni orali solo 12 volte, mentre gli interventi in plenaria (dal 2004 al 2008) si contano su due mani. L’ultimo è del dicembre 2006, in cui prende la parola per “denunciare l’atteggiamento scortese e francamente anche violento” degli agenti di sicurezza: pare non lo volessero far entrare. Persino gli odiati politici comunisti, che secondo Brunetta “non hanno mai lavorato in vita loro”, a Bruxelles faticano molto più di lui: nell’ultima legislatura il no global Vittorio Agnoletto e il rifondarolo Francesco Musacchio hanno percentuali di presenza record, tra il 90 e il 100 per cento.

Se la partecipazione ai lavori d’aula non è da seguace di Stakanov, neanche in commissione Brunetta appare troppo indaffarato. L’economista sul suo sito personale ci fa sapere che, da vicepresidente della commissione Industria, tra il 1999 e il 2001 ha partecipato alle riunioni solo la metà delle volte, mentre nel biennio 2002-2003, da membro titolare della delicata commissione per i Problemi economici e monetari, si è fatto vedere una volta su tre. Strasburgo è lontana dall’amata Venezia, ma non si tratta di un problema di distanza. A Ca’ Loredan, nel municipio dove è stato consigliere comunale e capo dell’opposizione dal 2000 al 2005, il nemico dei fannulloni detiene il record. Su 208 sedute si è fatto vedere solo in 87 occasioni: quattro presenze su dieci, il peggiore fra tutti i 47 consiglieri veneziani.

Il bello del mattone
LA MAPPA DELLE PROPRIETA’ DI BRUNETTA
Brunetta spendeva invece molto tempo libero per mettere a segno gli affari immobiliari della sua vita. Oggi il ministro possiede un patrimonio composto da sei immobili (due ereditati a metà con il fratello) sparsi tra Venezia, Roma, Ravello e l’Umbria, per un valore di svariati milioni di euro. “Mi piacciono le case e le ho pagate con i mutui”, ha sempre detto. Effettivamente per comprare e ristrutturare la magione di 420 metri quadrati con terreno e piscina in Umbria, a Monte Castello di Vibio, vicino a Todi, Brunetta ha contratto un mutuo di 600 milioni di vecchie lire del 1993. Ma per acquistare la casa di Roma e quella di Ravello, visti i prezzi ribassati, non ne ha avuto bisogno. Cominciamo da quella di Roma. Alla fine degli anni Ottanta il rampante professore aveva bisogno di un alloggio nella capitale, dove soggiornava sempre più spesso per la sua attività politica. Un comune mortale sarebbe stato costretto a rivolgersi a un’agenzia immobiliare pagando le stratosferiche pigioni di mercato. Brunetta no.
Come tanti privilegiati, riesce a ottenere un appartamento dall’Inpdai, l’ente pubblico che dovrebbe sfruttare al meglio il suo patrimonio immobiliare per garantire le pensioni ai dirigenti delle aziende. Invece, in quel tempo, come ‘L’espresso’ ha raccontato nell’inchiesta ‘Casa nostra’ del 2007, gli appartamenti più belli finivano ai soliti noti. Brunetta incluso. Un affitto che in quegli anni era un sogno per tutti i romani, persino per i dirigenti iscritti all’Inpdai ai quali sarebbe spettato. Lo racconta Tommaso Pomponi, un ex dirigente della Rai ora in pensione, che ha presentato domanda alla fine degli anni Ottanta: “Nonostante fossi stato sfrattato, non ottenni nessuna risposta. Contattai presidente e direttore generale, scrissi lettere di protesta, inutilmente”. Pomponi ha pagato per anni due milioni di lire di affitto e poi ha comprato a prezzi di mercato, come tutti. Il ministro, invece, dopo essere stato inquilino per più di 15 anni con canone che non ha mai superato i 350 euro al mese, ha consolidato il suo privilegio rendendolo perpetuo: nel novembre 2005 il patrimonio degli enti infatti è stato ceduto. Brunetta compra insieme agli altri inquilini ottenendo uno sconto superiore al 40 per cento sul valore di stima. Alla fine il prezzo spuntato dal grande moralizzatore del pubblico impiego è di 113 mila euro, per una casa di 4 vani catastali, situata in uno dei punti più belli di Roma. Si tratta di un quarto piano con due graziosi balconcini e una veranda in legno. Brunetta vede le rovine di Roma e il parco dell’Appia antica. Un appartamento simile a quello del ministro vale circa mezzo milione di euro: con i suoi 113 mila euro l’economista avrebbe potuto acquistare un box.
GUARDA LO SFOGLIO: I documenti dell’acquisto della casa Inpdai

Un tuffo in Costiera Anche il buen retiro di Ravello è stato un affare immobiliare da Guinness. Brunetta, che si autodefinisce “un genio”, diventa improvvisamente modesto quando passa in rassegna i suoi possedimenti campani. “Una proprietà scoscesa”, ha definito questa splendida villa di 210 metri quadrati catastali immersa in 600 metri di giardino e frutteto. Seduto nel suo patio il ministro abbraccia con lo sguardo il blu e il verde, Ravello e Minori.

Per comprare i ruderi che ha poi ristrutturato ha speso 65 mila euro tra il 2003 e il 2005. “Quanto?”, dice incredula Erminia Sammarco, titolare dell’agenzia immobiliare Tecnocasa di Amalfi: “Mi sembra impossibile: a quel prezzo un mio cliente ha venduto una stalla con un porcile”. Oggi un rudere di 50 metri quadri costa circa 350 mila euro, e una villa simile a quella dell’economista supera di gran lunga il milione di euro. Il ministro ha certamente speso molto per la pregevole ristrutturazione, tanto che ha preso un mutuo da 300 mila euro poco dopo l’acquisto del 2003 che finirà di pagare nel 2018, ma ha indubbiamente moltiplicato l’investimento iniziale.

Ma come si fa a trasformare una catapecchia senza valore in una villa di pregio? ‘L’espresso’ ha consultato il catasto e gli atti pubblici scoprendo così che Brunetta ha comprato due proprietà distinte per complessivi sette vani catastali, affidando i lavori di restauro alla migliore ditta del luogo. Dopo la cura Brunetta, al posto dei ruderi si materializza una villetta su tre livelli su 172 metri quadrati più dépendance, rifiniture in pietra e sauna in costruzione. Per il catasto, invece, l’alloggio passa da civile a popolare. In compenso, i sette vani sono diventati 12 e mezzo. Come è stata possibile questa lievitazione? “Diversa distribuzione degli spazi interni”, dicono le carte. La signora Lidia Carotenuto, che fino al 2002 era proprietaria del piano inferiore, ricorda con un po’ di malinconia: “La mia casa era composta di due stanzette, al massimo saranno stati 40 metri quadrati e sopra c’era un altro appartamento (che misurava 80 metri catastali, ndr) in rovina. So che ora il Comune di Ravello sta costruendo una strada che passerà vicino all’abitazione del ministro. Io non avrei venduto nulla se l’avessero fatta prima…”. A rappresentare Brunetta nell’atto di acquisto della dépendance nel 2005 è stato il geometra Nicola Fiore, che aveva seguito in precedenza anche le pratiche urbanistiche. Fiore era all’epoca assessore al Bilancio del comune, guidato dal sindaco Secondo Amalfitano, del Partito democratico. I rapporti con il primo cittadino è ottimo: Brunetta entra nella Fondazione Ravello. E quest’anno, dopo le elezioni, Amalfitano fa il salto della barricata, entra nel Pdl e lascia la Costiera per Roma dove viene nominato suo consigliere ministeriale.

Il Nobel mancato “Io sono un professore di economia del lavoro, l’ho guadagnato con le unghie e con i denti. Sono uno dei più bravi d’Italia, forse d’Europa”, ha spiegato Brunetta ad Alain Elkann, che di rimbalzo lo ha definito “un maestro della pasta e fagioli” prima di chiedergli la ricetta del piatto. L’economista Ada Becchi Collidà, che ha lavorato nello stesso dipartimento per otto anni, dice senza giri di parole che “Renato non è uno studioso. È prevalentemente un organizzatore, che sa dare il meglio di sé quando deve mettere insieme risorse”. Alla facoltà di Architettura di Venezia entra nel 1982, dopo aver guadagnato l’idoneità a professore associato in economia l’anno precedente. Come ha ricordato in Parlamento il deputato democratico Giovanni Bachelet, Brunetta non diventa professore con un vero concorso, ma approfitta di una “grande sanatoria” per i precari che gravitavano nell’università. Una definizione contestata dal ministro, che replica: avevo già tutti i titoli.

In cattedra Secondo il curriculum pubblicato sul sito dell’ateneo di Tor Vergata (dove insegna dal 1991), al tempo il giovane Brunetta poteva vantare poche pubblicazioni: una monografia di 500 pagine e due saggi. Il primo era composto di dieci pagine ed era scritto a sei mani, il secondo era un pezzo sulla riduzione dell’orario edito da ‘Economia&Lavoro’, la rivista della Fondazione Brodolini, di area socialista, che Brunetta stesso andrà a dirigere nel 1980. Tutto qui? Nel mondo della ricerca esistono diverse banche dati per valutare il lavoro di uno studioso. Oggi Brunetta si trova in buona posizione su quella Econlit, che misura il numero delle pubblicazioni rilevanti: 30, più della media dei suoi colleghi. La musica cambia se si guarda l’indice Isi-Thompson, quello che calcola le citazioni che un autore ha ottenuto in lavori successivi: una misura indiretta e certo non infallibile della qualità di una pubblicazione, ma che permette di farsi un’idea sull’importanza di un docente. L’indice di citazioni di Brunetta è fermo sullo zero.

Le valutazioni degli indicatori sono discutibili, ma di sicuro il mondo accademico non lo ha mai amato: “L’università ha sempre visto in lui il politico, non lo scienziato”, ricorda l’ex rettore dello Iuav di Venezia, Marino Folin. Nel 1991, da professore associato, riesce a trasferirsi all’Università di Tor Vergata. In attesa del Nobel, tenta almeno di diventare professore ordinario partecipando al concorso nazionale del 1992. In un primo momento viene inserito tra i 17 vincitori. Ma un commissario, Bruno Sitzia, rimette tutto in discussione. Scrive una lettera e, senza riferirsi a Brunetta, denuncia la lottizzazione e la poca trasparenza dei criteri di selezione. “Si discusse anche di Brunetta, e ci furono delle obiezioni”, ricorda un commissario che chiede l’anonimato: “La situazione era curiosa: la maggioranza del collegio era favorevole a includere l’attuale ministro, ma non per i suoi meriti, bensì perché era stato trovato l’accordo che faceva contenti tutti. Comunque c’erano candidati peggiori di lui”. Il braccio di ferro durò mesi, poi il presidente si dimise. E la nuova commissione escluse Brunetta. Il professore ‘migliore d’Europa’ viene bocciato. Un’umiliazione insopportabile. Così fa ricorso al Tar, che gli dà torto. Poi si appella al Consiglio di Stato, ma poco prima della decisione si ritira in buon ordine. Nel 1999 era riuscito infatti a trovare una strada per salire sulla cattedra. Un lungo giro che valica l’Appennino e si arrampica alle pendici del Gran Sasso, ma che si rivela proficuo. È a Teramo che ottiene infine il riconoscimento: l’alfiere della meritocrazia, bocciato al concorso nazionale, riesce a conquistare il titolo di ordinario grazie all’introduzione dei più facili concorsi locali. Nel 1999 partecipa al bando di Teramo, la terza università d’Abruzzo. Il posto è uno solo ma vengono designati tre vincitori. La cattedra va al candidato del luogo ma anche gli altri due ottengono ‘l’idoneità’. Brunetta è uno dei due e torna a Tor Vergata con la promozione. Un’ultima nota. A leggere le carte del concorso, fino al 2000 Brunetta “è professore associato a Tor Vergata”. La stranezza è che il curriculum ufficiale – pubblicato sul sito della facoltà del ministro – lo definisce “professore ordinario dal 1996”. Quattro anni prima: errore materiale o un nuovo eccesso di ego del Nobel mancato?

Hanno collaborato Michele Cinque e Alberto Vitucci

Qualcosa sulla Carfagna

Ricevo da Alberto e ripubblico, tratto da http://insultaerika.blogspot.com/2007/11/persone-inutile-mara-carfagna.html



della serie persone inutili oggi parliamo di Mara Carfagna:
all’anagrafe Maria Rosaria Carfagna (Salerno, 18 dicembre 1975) è una showgirl e politica italiana, parlamentare di Forza Italia.
la carriera di Mara Carfagna è costellata di grandi successi televisivi: un sesto posto a miss italia, valletta di domenica in, piazza grande,la domenica del villaggio: insomma una tivù di qualità per una laureata in giurisprudenza come lei.
forte della sua laurea e della sua vocazione politica nel 2006 si candida con forza italia (circoscrizione campania) e viene eletta.
anche li,vorrei sapere cosa ne pensa della politica uno/a che vota la Carfagna.
la sua brillante carriera politica inizia con una affermazione giuridica, (eggià perchè lei è laureata in giurisprudenza e allora non è solo una topona sgallettata, è una colta) infatti, appena eletta, ad aprile afferma “Le coppie omosessuali sono costituzionalmente sterili” giustificando così in 5 parole la non necessità di riconoscere ad essi i diritti previsti nella proposta di legge dico.
e beh Mara? cosa vuol dire, che se non voglio o posso sfornare figli non ho diritto ad ottenere un riconoscimento giuridico della mio unione? ed io? se non volessi avere figli cosa fai, crei un impedimento al mio matrimonio?e tu poi,che hai già 33 anni,lo hai già sfornato un bambino?mi sembra di no… credi che la tua laurea in legge ti fornisca la possibilità di dire quel che cazzo ti pare, dandogli magari anche un peso con il termine “costituzionalmente”?
poco tempo dopo, intervistata da un giornalista riguardo alla manifestazione del gay pride 2007, le viene posta la seguente domanda:come mai in Italia non si riescono a fare i Pacs o i Di.Co. (i Cus ancora non c’erano)mentre in Spagna il Sindaco di Madrid può sposare una coppia di amici in Comune? lei ha giustamente risposto che la Spagna non ha la nostra tradizione cattolica…!?!
a questo punto, la Carfagna sarà anche laureata in legge, ma le elementari le ha saltate completamente: E la Santa Inquisinzione? I pellegrinaggi a Santiago de Compostela? Tutte le critiche al bigottismo cattolico di cui sono saturi i film di Almodovar? ma dove vive la Carfagna?
ma le iniziative politiche della carfagna non sono tutte cosi omofobiche, Mara ha presentato un impooorrrtaaantisssimaaaa proposta di legge in vista del «millenario dell’abbazia della Santissima Trinità di Cava de’ Tirreni» (Comune attaccato a Salerno, città della deputata) che ricorrerà nel 2011. Perché serve una legge? Semplice, per istituire un “fondo di 25 MILIONI di euro al fine di rilanciare la funzione civile e religiosa” (non è uno scherzo, ho letto la notizia QUI)
ad ogni modo,quando non insulta gli omosessuali, quando non fa dichiarazioni imbarazzanzi, quando non è intenta a convertirci tutti da brava cristiana praticante che difende i valori della moralità e della famiglia, a me piace ricordarla così come ritratta in queste foto:una donna nuda e muta.