Ferrovie al collasso

da “L’espresso” di questa settimana

 

Meno carrozze. Più ritardi. Pendolari in rivolta. E conti in profondo rosso. Sopravviverà Trenitalia fino al 2007?
 di Paola Pilati
 Di corsa, di corsa!… Lo scalpitante amministratore delegato di Trenitalia, Roberto Testore (che qualche ferroviere carogna ha soprannominato ‘l’indossatore delegato’ per via del suo aplomb e del taglio dei suoi abiti) non ha voluto indugiare neanche un attimo. Così, dopo che l’allarme cimici – ma anche zecche e persino scorpioni – precipitava l’immagine dell’azienda a livello da terzo mondo, e rischiava di tradursi in paranoia collettiva da punture di insetti, Testore ha applicato a se stesso l’esortazione con cui ama impartire gli ordini. E “di corsa, di corsa”, forse troppo, ha messo fuori servizio 508 carrozze su ottomila. Peccato che nessuno abbia considerato che il restyling non sarebbe finito per Natale ma per marzo. E che i treni delle feste sarebbero stati più corti del previsto. Così, mille passeggeri sono rimasti sui binari, con prenotazione e biglietto in mano, perché non sapevano che il loro posto era in manutenzione straordinaria. Nessuno li aveva avvertiti.

I mille sono andati a mangiare il panettone con i pullman e forse tornerano a casa nello stesso modo. Di certo ci pensaranno su prima di prendere un altro treno. Ma la grande operazione-boomerang di Testore non è l’unica amarezza che ha segnato questa fine 2005 per il gruppo guidato da Elio Catania. L’incidente del 20 dicembre, quando a Roccasecca un treno si è schiantato su un altro convoglio fermo in stazione, ha riacceso i riflettori sul tema sicurezza. E per quanto la statistiche squadernate sul tavolo del presidente dicano che le Fs sotto questo profilo sono molto meglio delle altre ferrovie europee, da Pietro Lunardi è partito un siluro: la proposta di una authority per la sicurezza dei binari. Come dire: da soli non ce la fateFatalità o sistema al collasso? Non è stata colpa della rete, ha protestato Mario Moretti, capo di Rti e storico dirigente delle Fs. In effetti, sulle rotaie era già stato montato il nuovo sistema Scmt, che consente il blocco elettronico del treno, ma solo se la locomotiva è in grado di captare l’allarme con un apposito apparato ricevente. Purtroppo quella dell’incidente era una delle cinque locomotive diesel destinata alla rete, non elettrificata, del Molise. E su cui il Scmt non è stato ancora istallato da Trenitalia. Sfortuna, si lagnano in azienda. Dove l’incidente ha anche mandato a monte il megafesteggiamento che il 22 doveva segnare l’entrata in funzione dell’alta velocità Roma-Napoli, con Silvio Berlusconi a bordo. Palazzo Chigi ha preferito annullare. Il nuovo supertreno è partito senza fanfare: ma ogni volta che arriva in stazione trilla il cellulare di Catania, che viene informato sul tempo di percorrenza (l’anticipo medio è di 10-12 minuti) e numero passeggeri. Così lui si consola. Sfortunato, certo, è stato l’avvio del nuovo orario, il 12 dicembre, in coincidenza con lo sciopero del personale: l’effetto caos è raddoppiato. Ma un sicuro appannamento l’ha rivelato la campagna pubblicitaria lanciata poche settimane fa per promuovere il servizio. “Andate a trovare lo zio Pietro a Matera in treno”, motteggiava lo slogan. Nessuno in azienda si era accorto che a Matera non c’è l’ombra di stazione. E che proprio la linea Ferrandina-Matera è una delle grandi incompiute del Sud. “La pubblicità deve sempre sorprendere”, l’ha rigirata Catania, a cui non mancano mai gli argomenti. Ma il clima aziendale si è rannuvolato ancora di più. Eppure questo poteva essere un anno buono per le Fs. I viaggiatori sono cresciuti, complici traffico e prezzo del pieno di benzina, del 5 per cento a livello nazionale, ma addirittura del 30-50 per cento sulle grandi città come Roma e Milano. C’è voglia di treno: peccato che i convogli fatichino a intercettare la nuova domanda. La lucidata ai vecchi ottoni dell’azienda attuata dal direttore generale di Trenitalia Massimo Ghenzer (catapultato in Ferrovie, dicono i maligni, grazie all’amicizia stretta con Paolo Berlusconi che spesso ospita nella sua casa di Ponza), ha dato i suoi frutti nel lancio del T-Biz, il nuovo treno veloce tra Roma e Milano pensato per fare concorrenza all’aereo: 4 ore e cinque minuti di viaggio, 25 in meno del normale Eurostar. Roba di lusso, mentre il 70 per cento dei clienti delle Fs sono pendolari e tengono soprattutto alla puntualità. Invece le statistiche dei ritardi dipingono una Beresina: il mese di dicembre è stato largamente sotto l’obiettivo dell’85 per cento di puntualità. Colpa delle linee intasate, recita l’azienda. Quando ci sarà l’alta velocità, la pressione sulla rete storica sarà inferiore e tutto filerà bene. Ma l’alta velocità da Nord a Sud sarà completata nel 2008; da Torino a Venezia non prima del 2009. Intanto? Intanto parte il nuovo orario. E qui l’arrivo dell’ingegnere ex Fiat ed ex Finmeccanica ha lasciato il segno. In Ferrovie l’orario si faceva ogni anno ‘a mano’, con carta e matita. Quest’anno Testore ha introdotto il computer, nonché il concetto di orario flessibile (potrà cambiare a livello locale a secondo delle necessità) e forse per questo elemento di imprevedibilità lo hanno ribattezzato ‘Merlino’. Non basta. Per far fronte alle proteste degli amministratori locali, che a loro volta fanno eco ai pendolari imbufaliti, ma soprattutto pagano con denaro sonante le Ferrovie per il trasporto regionale, Testore e Ghenzer propongono una soluzione che suona paradossale: il taglio dei treni. In base al principio: meno treni, meno cumulo di ritardi. Per la serie: se non si può risolvere il problema, meglio aggirarlo. Ma forse i due manager di Trenitalia non sono da biasimare, visto lo stress da performance ‘cinese’ a cui li ha sottoposti il mega presidente della holding. “Offro un tasso di crescita del 7 per cento annuo”, ha annunciato Catania in una intervista al ‘Sole 24Ore’ in maggio. E la sua previsione era di ridurre quest’anno la perdita da 125 a 100 milioni di euro. Peccato che il profondo rosso, invece, aumenterà: indiscrezioni indicano il deficit di Trenitalia tra i 400 e i 500 milioni di euro. Almeno cento milioni, se non di più, sono dovuti al settore merci, che in tutto ne fattura 700. Un vero buco nero, dove l’arrivo di Giuseppe Smeriglio, ex manager di Tnt-Traco, recapito pacchi internazionale, non ha invertito la rotta. La crisi non è solo italiana, è vero: in tutta Europa per fare i soldi con il trasporto merci sui treni bisogna sputare sangue. Ovunque vincono i camion, sia per il fatto che il servizio è porta a porta, sia perché hanno costi più flessibili, a cominciare dall’autista che può essere spremuto con pochi controlli. Senza contare il fatto che la lobby dei camionisti conta molto ovunque, e anche da noi. L’Italia, per di più, è considerata da questo punto di vista il ventre molle d’Europa, e la concorrenza delle altre ferrovie comincia a farsi sentire in casa. Per questo i vertici di Piazza della Croce Rossa hanno deciso di non lesinare mezzi e come contromossa hanno acquisito un’azienda di logistica in Germania, che si propone di aggredire il cuore del continente. Riuscirà? Non che Catania si scoraggi. Lui ha una sua filosofia: non bisogna fasciarsi la testa per il conto economico. I risultati buoni si vedranno dal 2007; intanto facciamo una cura massiccia di investimenti (“Stiamo caricando la molla”, ama ripetere il boss: “Vedrete che spinta!”). Per ora, quelli avviati stanno drenando risorse e spaventano anche un po’ i guardiani delle finanze del gruppo.Nel 2005 sono stati fatti investimenti di gruppo per 8 miliardi e 200 milioni di euro, un portafoglio che nessuno in Europa, di questi tempi magri, ha osato impegnare. Cifra che include tutto, dall’alta velocità ai progetti con cui il nuovo management intende lasciare il segno. Il progetto straordinario Scmt per la sicurezza ne richiede due e mezzo di qui al 2007. Quanto a Trenitalia, come s’è visto, ha affrontato di petto il tema invecchiamento delle carrozze e delle locomotive. Per il restyling delle 508 carrozze ritirate dalla circolazione spenderà 10 milioni tra fodere, bagni, moquette e via dicendo, cioè in media circa 286 euro a posto. Spiccioli, rispetto al piano acquisto di nuovi treni 2005-2008 messo in cantiere, che alla fine presenterà una fattura di 6 miliardi. Ma di questa cifra due miliardi sono stati spesi subito ques’anno, il che si traduce in una quota di ammortamento di 150 milioni che si carica immediatamente su un bilancio non troppo felice. Certo, la questione tariffe pesa. Sono inchiodate dal 2001 per volontà dell’azionista, cioè il ministro dell’Economia Giulio Tremonti, mentre quelle dannate autostrade, eterne rivali, ottengono gli aumenti che vogliono. E ai piani alti delle Ferrovie hanno buon gioco a ricordare le tariffe come una spina nel fianco, un tiro mancino del governo, e una loro virtuosa disciplina. Dai confronti internazionali, i biglietti del treno italiano appaiono straordinariamente a buon prezzo, la metà di quelli tedeschi e francesi (vedere il grafico in questa pagina). Se soltanto i biglietti fossero cresciuti di pari passo col tasso di inflazione, si sarebbero accumulati dal 2001 a oggi dai 300 ai 400 milioni di ricavi in più, che avrebbero spinto i conti a un
soffio dal pareggio. Un calcolo che resta puro esercizio, perché i vertici Fs non hanno mai voluto contraddire i niet della politica. Scavando scavando, però, si scopre che le tariffe potrebbero tranquillamente salire di un 4,5 per cento. Basterebbe volerlo. Il decreto che accordava l’aumento era già passato al Cipe e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale a ottobre 2001. Era quindi operativo. Anzi, era stato già inserito nei computer che dal primo gennaio 2002 cambiavano la lira in euro e tradotto nel nuovo tariffario. Ma Tremonti, sotto Natale, ci ripensò, e fece pesare la sua ‘moral suasion’ su Giancarlo Cimoli, all’epoca a capo delle Fs, per bloccare tutto. Da allora quell’aumento è di fatto dormiente. Ma non è mai decaduto. Ed essendo le Ferrovie dello Stato una società per azioni, il loro amministratore potrebbe andare in assemblea a pretendere che venga rispettato. Invece si è preferito imboccare la strada, più comoda, di andare avanti in deficit. Come se quel buco non lo pagassimo, prima o poi, tutti noi. Anche chi non prende il treno. Bei tempi quando alle Ferrovie arrivavano circa tre miliardi di euro l’anno. Ora è finita. La Finanziaria per il 2006 ha messo l’azienda a stecchetto. Trenitalia ha subito un taglio di risorse di 640 milioni di euro. E Rti non riceverà una lira da dedicare alla rete storica, cioè all’allargamento della rete tradizionale, quella non ad alta velocità (che viene finanziata dalla cassa Depositi e Prestiti). Che rinunce comporteranno i tagli? I cantieri già avviati, fanno sapere dall’azienda, andranno avanti, ma molti dei programmi annunciati dovranno per forza slittare. Il pagamento dei conti per i lavori in corso non sarà facile. Così Catania ha già deciso che ricorrerà alla vendita dei gioielli di famiglia. Cioè dei beni immobili che non sono utilizzati per lo svolgimento del servizio. Un patrimonio cospicuo, a cui aveva già fatto ricorso, negli anni scorsi, Giancarlo Cimoli, e che è ancora in parte giacente. La vendita straordinaria dovrà portare in cassa 2 miliardi di euro. E in questo modo il 2006 potrebbe essere salvo. Ma poi? Si indebiterà. Ma per pagare il debito occorre avere un bel cash flow. Certo, il bilancio Fs è solido grazie ad asset da 45 miliardi di euro, e un crac come quello rischiato da Alitalia non è possibile. Ma la crisi di cassa non è scongiurata. Potrebbe diventare critico, per esempio, il fronte dei proventi regionali, che finora hanno coperto con un contributo medio di 8 euro per treno/km (quindi indipendentemente dal numero dei passeggeri) parte del servizio. Le Regioni, che di fatto sono i principali clienti delle Ferrovie, hanno a loro volta bilanci in difficoltà e mezzi finanziari in diminuzione. Quelle a statuto speciale non daranno una lira. Quelle a statuto ordinario hanno annunciato che manterranno gli impegni, ma certo pretenderanno di più sul fronte del servizio. Che spesso è svolto con costi molto più alti per Fs, in quanto si tengono in piedi tratte con pochi treni e ancor meno passeggeri. C’è chi stima che un privato taglierebbe il 30 per cento del servizio, perché antieconomico: perché allora non iniziare una bella operazione trasparenza sui rami secchi?

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