Mezzo più mezzo non fa uno

E’ questione di matematica, alla fine: se vogliamo che il secondo matrimonio non fàccia la fine del primo, dobbiamo uscire dalla matematica logica e lineare e inventarcene un’altra, paradossale, asistematica. A cominciare da qui: la seconda volta dev’essere la prima. Perché se lasciamo che la cronologia e la statistica prevalgano sulla mitologia, allora forse è meglio lasciar perdere. La seconda volta che ti sposi non può non essere la prima — se non l’unica — per valore, senso, importanza, pienezza. Il primo matrimonio lo si deve considerare come una simulazione di volo, quindi èvnormale, la seconda volta si deve volare più alto.

La prima volta hai sbagliato, ci sta. Anche se non tutti gli sbagli sono uguali: perché ci sono sbagli che resteranno per sempre come un incubo, sbagli che ti chiedi come hai fatto a commetterli ma ormai è inutile perder tempo a pensarci, e sbagli piacevoli che non rimpiangi di aver fatto (a me personalmente è accaduto che io avessi ventitré anni e lei diciassette: meravigliosi, orgogliosissimi, grandi abbastanza da crescere con vera volontà di potenza un bambino, ma davvero troppo piccoli per orientarci nella nostra relazione). E’ triste se ti sei sposato solo per colmare un vuoto (due vuoti), per conformarti alle aspettative sociali, per timore della solitudine.  E’ classico che tu ti sia sposato perchè hai proiettato su di lei/lui le tue aspettative e i tuoi modelli, vedendo in lei/lui quello che c’era più no che si.
Poi c”è che quella persona che hai sposato ti corrispondeva in una fase particolare della tua esistenza, ma non al di là di essa. Naturale che finisse, sbagliato considerare la fine come un fallimento: è cosi e basta. L’importante, da lì in poi, è non portarsi dietro un bagaglio di disillusioni, risentimenti, cinismi, diffidenze. Don’t look back, never look back.  

Quanto a sposarsi ancora, ok, questo è il momento di tornare alla matematica. Perché esiste la formula del matrimonio perfetto, adesso ve la dico. Due metà non fanno uno, fanno ancora metà. Due incompletezze non si annullano unendosi, al contrario, immancabilmente producono un’incompletezza più grande.
Va già meglio se vi sentite uno più uno, ma con la semplice somma delle parti te lo sogni, di costruire una grande impresa. Se quello che serve è molto più di una somma e se di sottrazioni e divisioni — sacrificando o sublimando qualcosa di sé – nemmeno se ne parla, è lampante che delle quattro  operazioni soltanto una è ambiziosamente evolutiva: il segno X della moltiplicazione (che è sideralmente diverso da quello del pareggio…). Perché uno per uno fa uno — l’elettiva, inestricabile congiunzione astrale — ma fa anche due, tre, dieci, mille. Si vive se stessi ciascuno come un’entità assolutamente completa e indipendente, e insieme ci si espande a ogni gesto, a ogni scelta, a ogni nuova possibilità di gioco. Perché se non è così, se non è accettando di perderti con lei per essere ancora più te stesso, se questa cosa non è il tuo definitivo richiamo della foresta, sei proprio sicuro di volere un secondo matrimonio che sarebbe appunto soltanto il secondo? Sono quel minimo imbarazzato a buttare lì una parola che mai e poi mai mi sarei aspettato di usare in positivo. Questa parola è appartenenza. Sì, la sto scrivendo proprio io che ho sempre scansato come la peste ogni comune identità ideologica, politica, spirituale, culturale, professionale,  insieme a tutto ciò che definisce, che delimita, che — muori, schifoso zombie! — ti si attacca alle caviglie per immobilizzarti. Proprio io, che ho sempre sprezzato l’idea della coppia per tutto quanto di identitario, di istituzionale, di normativo, contiene in sé.
Così ho per un po’ tentato di contenere nei miei schemi “alternativi” — grandi incontri mitologici, non elevato interesse per la continuità — anche la ? donna che un bel giorno mi aveva folgorato (perché no, quella del colpo di fulmine non è una semplice metafora: in quel lampo – come un diamante che ti colpisce fra gli occhi — riceviamo una miriade di ultraessenziali informazioni genetiche, neurologiche, sessuali, vitali). Finché mi sono finalmente lasciato andare all’evidenza che questa cosa — ancora più che amore travolgente — si configura come vera e propria appartenenza, al di là del tempo, al di là di tutto. Risultato: mai sentito così libero come ora . Con lei ho scoperto che è possibile moltiplicare  grandi fuochi e quotidianità , e che anche a un’età anagrafica in parabola discedente si può vivere di continui slanci, lavorando sui propri margini di miglioramento. Chiaro che ogni storia fa storia a sé, non ci penso proprio a eleggere la mia a paradigma assoluto. Però adesso ne sono incondizionatamente certo: è quando si sente aria di destino, quando un incontro lo si vive come un’impresa, quando non è che senza di lei tu sei meno, è che con lei sei di più,  molto di più, che il I secondo matrimonio mette a posto le cose, non soltanto con la matematica e con la storia ma anche e innanzitutto con l’evoluzione. Come si fa ad accontentarsi di qualcosa in meno?

(F.B.)

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