Ad un bimbo amato non nuoce un pasto imperfetto

dalla rubrica delle lettere del “Mattino di Padova” di oggi

Prendendo ad esempio episodi recenti di cronaca cittadina, riproducibili ovunque, rileviamo un filo sottile ma tenace che collega bambini di asili e scuole inferiori a ragazzi e giovani, che nelle piazze del centro s’abbandonano ad eccessi di alcol, abuso di sostanze, atti di vandalismo contro il mondo circostante. Non erano trascorsi che pochi giorni dal cambio d’una società fornitrice di pasti ad asili ed elementari pubblici, che già i genitori “assaggiatori” riprendevano a lamentarsi: “la pastasciutta sì, i fagiolini no, il grado di cottura ni…”

Se è sacrosanto che papà e mamme controllino il funzionamento delle agenzie educative dei figli, lo è altrettanto che questi ultimi vengano abituati a tollerare le piccole (e meno piccole) disfunzioni, presenti in tutti gli organismi della società. Dando per scontato l’amore che i genitori provano per i figli, parrebbe scontata anche la “felicità” con cui i primi crescono i secondi. Ma chiediamoci: che specie d’amore? Soprattutto in un tempo segnato dalla patologìa del narcisismo, in cui individui dall’ autostima in apparenza grandiosa soggiacciono a disperanti sofferenze interiori riguardo il senso di sè e del proprio destino nel mondo. Sin dai primi anni di vita il genitore deve porsi come specchio dei bisogni autentici del bambino, il più urgente dei quali è l’essere da loro accettato per come avverte e manifesta i propri sentimenti. Che non saranno tutti “buoni” sentimenti: dal momento che fa parte della natura umana sentirsi di volta in volta soli, egoisti, gelosi, aggressivi, oltrechè solari, generosi, miti, solidali.

È dalla tolleranza con cui la madre identifica e contiene tutte le manifestazioni emotive del figlio, che quest’ultimo cresce sentendosi sempre più sicuro di sè, autonomo, amato in modo autentico; capace perciò di amare se stesso e nel tempo altri esseri umani. Se ciò non accade; se dev’essere il figlio lo specchio di bisogni non appagati dei genitori, ambasciatore nel mondo della loro idea di “figlio ideale” , egli crescerà estraneo a se stesso; cieco e sordo alle proprie istanze; privo d’identità ed oppresso da un ruolo, che comunque si sentirà costretto a rappresentare; abitato da un vuoto straziante, che nel tentativo d’essere lenito verrà riempito di cibo, alcol, droga, comportamenti trasgressivi al rialzo. Senza che nessuno di questi “rimedi sintomatici” attenui l’angoscia di non sapere chi si è e cosa si vuol fare della propria vita. Non si sentano colpevoli i genitori, ma responsabili sì: il figlio che stanno crescendo è dalla nascita un essere umano compiuto nella sua unicità ed aiutarlo ad estrinsecarla significherà rafforzarne i lati migliori e porre dei limiti a quelli socialmente non accettabili. Ad un bimbo davvero amato non nuocciono a scuola pasti imperfetti e soprattutto, una volta cresciuto, saprà distinguere tra momenti difficili, che tutti attraversiamo e spinte distruttive, che sgretolano la personalità e danneggiano il funzionamento della comunità di appartenenza.

Adina Agugiaro

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