GENOVA – Massacrata a calci e manganellate nell’inferno della scuola Diaz. Arrestata illegalmente con prove false. Trascinata via per i capelli, il volto ridotto ad una maschera di sangue. Ma Anna Nicola Doherty, cittadina inglese di 27 anni, quella notte maledetta entrando nella caserma di Bolzaneto dichiarava di “non temere per la propria incolumità fisica”. Di non voler parlare con i propri familiari, con un legale, tantomeno con l’ambasciata britannica. E come lei tutti gli altri no-global stranieri, 66 delle 93 vittime del blitz poliziesco durante il G8.
Secondo i verbali ufficiali del ministero della Giustizia – redatti nel centro di prima detenzione – i ragazzi non avevano paura e non volevano parlare con nessuno. Sei anni più tardi la Procura di Genova è riuscita a dimostrare la falsità di quei documenti, e stamani chiederà che venga ascoltato in aula il perito che ha smascherato la bugia delle forze dell’ordine. I rapporti erano stati compilati in anticipo.
Per evitare rogne e differire quanto più possibile i contatti tra le persone fermati nella scuola e l’esterno, circostanza che getta ombre ancora più cupe sulla sciagurata irruzione del 21 luglio 2001. Se oggi il presidente del tribunale non dovesse accettare l’inserimento della nuova indagine nel processo per i soprusi e le violenze di Bolzaneto – 47 imputati tra funzionari di polizia, ufficiali dei carabinieri e della polizia penitenziaria, guardie carcerarie e medici – , i pm Patrizia Petruzziello e Vittorio Ranieri Miniati apriranno l’ennesimo fascicolo per falso nei confronti delle persone allora responsabili della caserma.
Ancora un falso, ancora uno scandalo per coloro che durante il vertice internazionale dovevano garantire l’ordine pubblico. La perizia calligrafica dimostra che nel centro di prima detenzione furono preparati due modelli precompilati. In entrambi era scritto in anticipo che il detenuto sosteneva di “non” appartenere ad alcun clan criminale, ma soprattutto che “non” temeva per la propria incolumità personale o fisica e che “non” voleva che del proprio stato di detenzione venisse data comunicazione al consolato o all’ambasciata del suo paese.
La cosiddetta “dichiarazione di primo ingresso” recava l’intestazione Ministero della Giustizia – Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, e in calce il timbro del magistrato Alfonso Sabella, allora capo del servizio ispettivo del Dap (la sua posizione è stata archiviata nel gennaio scorso). All’arrivo a Bolzaneto, ciascun detenuto si vedeva intestare il relativo verbale. E via, chiuso in cella, costretto a restare per ore con le mani alzate. Insultato, minacciato, ancora picchiato. Accecato con i gas lacrimogeni gettati tra le sbarre. Spogliato, deriso, con gli agenti che mimavano atti sessuali. Senza distinzione tra detenuti maschi o femmine.
Ad uno di loro, un poliziotto divaricò le dita di una mano fino a strappare letteralmente la pelle.
Ma ufficialmente, secondo i verbali, i fermati non avevano paura e preferivano non parlare con l’esterno. Il falso, certificato dal perito Laura Parodi, è oggettivamente distinguibile anche ad occhio nudo. In 49 casi è stato usato un modello pre-compilato, in 17 un altro. In questi che i pm ricordano essere atti redatti da pubblici ufficiali, ci sono poi alcuni strafalcioni grotteschi. In calce a quello di Anne Nicola Doherty c’è scritto che “il dichiarante si rifiuta di firmare”.
La dichiarazione di Achim Nathrath, di Monaco di Baviera, non porta neppure la firma.
Quella di stamani è l’ultima udienza dei processi genovesi per i fatti del G8, prima della pausa estiva. Sabato è in programma l’interrogatorio dell’ex capo della polizia Gianni De Gennaro, indagato recentemente per aver istigato il questore Francesco Colucci a testimoniare il falso.