Gli USA, l’Esercito del Bene che esporta la “democrazia”

WASHINGTON – Prigionieri rinchiusi in celle grandi non più di uno scatolone, con gli occhi coperti da nastro isolante e assordati da musica ad altissimo volume diffusa dagli altoparlanti: sono solo alcuni degli abusi che i detenuti in Iraq sono stati costretti a subire da parte dell'esercito statunitense, secondo il rapporto stilato dal generale di brigata Richard Formica in risposta alla richiesta di informazioni presentata dalla magistratura federale al Pentagiono. Gli inquirenti hanno avviato il procedimento in seguito a un'azione legale intentata oltre due anni fa dall'associazione umanitaria Aclu, (American Civil Liberties Union) sulla scia dello scandalo scoppiato in quel periodo per le sevizie inflitte ai detenuti nel carcere di Abu Ghraib.

Secondo quanto risulta dal rapporto, i detenuti potevano essere alimentati a pane e acqua anche per 17 giorni consecutivi, e non avevano accesso a servizi igienici: di uno, in particolare, è stato accertato che era sempre nudo poiché in precedenza "non aveva fatto che orinare incessantemente sui propri indumenti".

Denunciati anche casi in cui i prigionieri sono stati denudati, immersi nell'acqua fredda e poi interrogati in stanze con l'aria condizionata. Il generale Formica ha ammesso nel rapporto che i membri dei Navy seals hanno usato questa tattica con il detenuto morto dopo l'interrogatorio a Mosul nel 2004, ma ha sottolineato di non aver specifici elementi che possano provare un collegamento. Anzi ha escluso che la salute dei detenuti possa essere stata danneggiata in modo serio da questo tipo di comportamenti.


Testimoni hanno "confermato che i prigionieri erano incatenati al pavimento" e che le catene misuravano circa un metro, tanto da consentire loro di alzarsi in piedi, sedersi o sdraiarsi, ma non di muovere un passo. Il documento si riferisce a fatti avvenuti fra il 2003 e lo stesso 2004, l'anno di Abu Ghraib: conta ben un migliaio di pagine, ma è pesantemente censurato; sono infatti cancellati nomi, indicazioni di luogo ed elementi che permettano di identificare le unità militari coinvolte.

L'intento del generale Formica non è accusatorio, nega che i detenuti fossero sottoposti a torture o altri abusi fisici, oppure che fossero umiliati psicologicamente. Il generale arriva persino a giustificare l'adozione delle micro-celle, di 1,2 metri di altezza e larghezza per 50 centimetri di lunghezza, in quanto "necessarie alla protezione" dei componenti delle cosiddette 'forze tattiche', nonché per "impedire ai reclusi di fuggire".

Eppure, lo stesso estensore del rapporto ammette: "E' ragionevole concludere che ciò sarebbe stato accettabile per brevi periodi, 24-48 ore, coincidenti con la cattura e fino a che non divenisse logicamente fattibile il trasferimento in strutture idonee. Due giorni", sottolinea, "sarebbero stati ragionevoli. Da cinque a sette, no". Formica riconosce altresì che, in almeno uno dei centri di detenzione sottoposti a indagine, "le condizioni di custodia non erano conformi allo spirito dei principi sanciti nelle Convenzioni di Ginevra" sul trattamento dei prigionieri.

Secondo uno degli avvocati della Aclu, la signora Amrit Sing, la relazione, al pari di altri documenti analoghi, "dimostra come il governo non abbia preso davvero sul serio le indagini riguardanti gli abusi contro i prigionieri", che "in Iraq, nella baia di Guantanamo e in Afghanistan erano generalizzati e sistematici"; dimostra inoltre come "le forze speciali fossero ripetutamente coinvolte in casi di sevizie a danno dei detenuti".

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